E’ ormai da mesi che l’AD del Gruppo ENI De Scalzi sta manifestando la volontà di ridurre, se non dismettere, la produzione della benzina in Italia, scelta che sarebbe imposta dalle perdite, negli ultimi anni, derivate dal settore della raffinazione.
06ottobre 2014 da il sindacato è un’altra cosa – Opposizione CGIL
Una politica di dismissione sbagliata, in quanto si prefigurerebbe l’abbandono definitivo da parte dello Stato che, ricordiamo, controlla più del 30% dell’ENI tramite il Ministero del Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti, mantenendo così il Golden Share di un settore strategico che metterebbe l’intero Paese in balia del mercato e dei capricci dei produttori e dei paesi raffinatori (soprattutto di quelli asiatici e americani che non rispettano le normative ambientali e dove lo sfruttamento dei lavoratori è più intenso).
Gli effetti di questa scelta sarebbero devastanti dal punto di vista occupazionale, in modo particolare per la Sicilia (dove si parla di una riconversione bio, non sappiamo quanto credibile, dello stabilimento di Gela), ma anche per Livorno, dove si preannuncia un ridimensionamento iniziale degli attuali 750 dipendenti, ed una perdita importante di posti di lavoro nelle ditte esterne e nell’indotto. La trasformazione in deposito dello stabilimento di Stagno, pur rimanendo ENI, sarebbe la conclusione peggiore possibile dal punto di vista occupazionale. Neanche la paventata vendita a società dai dubbi scopi industriali (speculativi) garantirebbe occupazione e tanto meno tutela ambientale. In questo caso l’Eni, dopo decenni di inquinamento di terreni e falde, si troverebbe libero di non procedere alle bonifiche e a fuggire dalle proprie responsabilità. Proprio oggi che l’UE richiede ai petrolieri investimenti per 7 miliardi per abbattere le emissioni inquinanti.
Chi inquina deve pagare le bonifiche e occorre mantenere il controllo pubblico sul settore della raffinazione.
L’ENI, società per altro in attivo (grazie all’estrazione che ha garantito nel 2013 ricavi per 114.72miliardi di euro), non può oggi sottrarsi ad investire negli stabilimenti esistenti, con una graduale riconversione finalizzata alla produzione di energie alternative, secondo la logica del mantenimento del potenziale di raffinazione e della produzione dei derivati. Che la politica intervenga affinché sia lo Stato a riprendere il controllo dell’ENI, tramite investimenti nella bonifica dei terreni e nell’innovazione tecnologica, con un piano industriale che sia in grado di garantire la produzione strategica e la graduale riconversione in tutti gli stabilimenti!