Sugli sgomberi della Limonaia e del Mala Servanen Jin a Pisa: “Caro Sindaco, apra le porte del Comune e ascolti”

Lettera aperta al Sindaco Filippeschi sugli sgomberi della Limonaia e Mala Servanen Jin

29 maggio 2017 da Associazione Casa della Donna

In queste settimane abbiamo vissuto con grande sorpresa, amarezza e profonda preoccupazione gli sgomberi della Limonaia e dell’immobile di via Garibaldi. Quei luoghi, occupati pacificamente dopo la manifestazione dell’8 marzo da un gruppo di giovani donne, erano due spazi del patrimonio pubblico abbandonati da anni con grande danno per tutta la città. Grazie all’impegno di tante giovani donne e uomini erano tornati finalmente ad essere aperti e fruibili, luoghi di confronto, creatività e socialità per le donne della città e non solo. La Limonaia e il suo giardino erano stati sistemati e restituiti agli abitanti del quartiere e ospitavano quotidianamente associazioni, gruppi di cittadine e cittadini interessati a lavorare su temi importanti: dalla sessualità alla contraccezione, dall’obiezione di coscienza all’interruzione di gravidanza.

Questa esperienza è stata brutalmente interrotta il 3 maggio. Anche lo stabile di via Garibaldi, da tempo in stato di abbandono e degrado, era stato ripulito – con grande soddisfazione di chi vi abita vicino – e trasformato in uno spazio pubblico e in un luogo di ospitalità per le donne che si trovassero in una situazione di disagio abitativo. Tuttavia anche questo edificio è stato sgomberato con grande dispiegamento di forza pubblica, blocco di via Garibaldi per ore e, quello che è più grave, in modo molto violento: cariche e manganelli, insulti sessisti, donne colpite e ferite, una è addirittura finita al pronto soccorso. Il tutto in orario scolastico e nelle vicinanze dell’Istituto Alberghiero, dove gli studenti e le studentesse hanno visto persone in divisa, che dovrebbero garantire la sicurezza, agire con violenza gratuita e immotivata su persone inermi, soprattutto donne, che protestavano pacificamente. Per noi che, insieme alla rete Educare alle differenze, conduciamo programmi educativi nelle scuole parlando di diritti, rispetto e non violenza, tutto questo è inaccettabile e vergognoso.
Chiediamo al Prefetto e al Questore di spiegare i motivi di questa scelta, che certo non è stata dettata dalla sicurezza! Una risposta ottusa e repressiva, che ferisce la città e ignora quello che negli ultimi mesi è accaduto a Pisa e in tutta Italia: la nascita con “Non una di meno” di un grande movimento femminista che per la prima volta ha visto tante giovani donne mobilitate e ha messo in dialogo associazioni, realtà cittadine ed esperienze diverse sul tema della violenza, dei diritti e della libertà delle donne.
Come è possibile, caro Sindaco, che di fronte ad un movimento cittadino così ampio e nuovo, che pone problemi concreti che riguardano in primis le donne e i diritti su sessualità, aborto, violenza, casa, lavoro, non ci sia ascolto da parte di chi amministra questa città? Come è possibile che da settimane tantissime persone si incontrino in assemblea sotto le Logge davanti ad un Comune chiuso e con le forze di polizia a difenderlo? Come è possibile che né lei né la giunta abbiate desiderio di ascoltare e capire cosa abbiano da dire tutte quelle persone riunite proprio sotto quella che dovrebbe essere la “casa comune” di tutte le cittadine e i cittadini di Pisa?
Forse erano davvero altri tempi quando nel 1981 occupammo la palazzina di via Galli Tassi. Poco dopo vennero a parlare con noi l’allora Presidente della Provincia Fausta Giani Cecchini e l’assessora alle Pari opportunità Patrizia Dini e con l’amministrazione iniziammo una lunga trattativa per avere quella che dall’8 marzo 1990 è diventata la Casa della Donna.
Da allora abbiamo continuato a dialogare, a confrontarci con le istituzioni cittadine, talvolta con fatica e conflitti, ma convinte che un punto di incontro si possa e si debba sempre trovare. E in questi anni lo abbiamo trovato anche con la sua amministrazione che ci ha garantito l’uso della sede di via Galli Tassi e con la quale da tempo collaboriamo, nel rispetto dei ruoli, sui temi della violenza e dei diritti delle donne.
Noi crediamo che quel confronto e dialogo ci debba essere anche in questo caso, che non possa venir meno e lasciare il posto a violenza e repressione. È dovere dell’istituzione pubblica e della politica ascoltare, dare risposte ai bisogni, rendere concreti i diritti.
Ecco perché, caro Sindaco, la invitiamo ad aprire le porte del Comune e ascoltare.
Associazione Casa della Donna

La solidarietà al Mala Servanen Jin, dal collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud:

“Giú le mani delle nostre menti, dai nostri corpi e dai nostri spazi!”

“Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud esprimiamo la massima solidarietà alle compagne della Mala Servanen Jin, che lo scorso 24 maggio hanno subito lo sgombero. La Casa delle donne che combattono, nata l’8 marzo durante il partecipatissimo corteo organizzato da #Non una di meno. Donne coraggiose che hanno deciso di organizzarsi e combattere difendendo uno spazio da esse liberato e portato a nuova vita, uno spazio che versava in stato di abbandono e degrado ma che grazie al loro impegno era divenuto un centro per le donne che vogliono aggregarsi, informarsi, fare cultura e organizzarsi in lotte importanti come quella contro l’emergenza abitativa”. Il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.

Dalla Rete dei Comunisti piena solidarietà alla Mala Servanen Jin – Casa delle donne che combattono.

“Dura condanna del blitz poliziesco contro la legittima occupazione di Via Garibaldi. Ennesimo episodio di repressione poliziesca a Pisa, dove l’amministrazione comunale, fiancheggiata e sostenuta da questore e prefetto, ha ordinato lo sgombero dell’ex centro di accoglienza di Via Garibaldi, occupato lo scorso 8 marzo al termine della manifestazione “Non una di meno”.

“Il comportamento delle forze dell’ordine chiarisce gli obiettivi di questo ennesimo blitz repressivo in città: Il fatto che sia stato effettuato alle 8, in coincidenza con l’ingresso degli studenti nell’attigua scuola alberghiera, imprigionati durante il blitz sino alle 13 nel plesso scolastico e poi scortati all’uscita, le offese maschiliste al gruppo di donne che resistevano allo sgombero, le cariche a freddo su un gruppo che per numero e atteggiamento non poteva in alcun modo suscitare allarme, le ferite riportate da una decina di manifestanti indica che l’obiettivo è stato quello di intimidire, provocare, dividere, ammonire, escludere ogni interlocuzione con la piazza. Un comportamento coerente con gli accadimenti degli ultimi mesi, che ha visto una recrudescenza di atti repressivi contro manifestazioni nazionali, come nel caso dei pullman e dei manifestanti bloccati il 25 marzo in occasione della manifestazione contro il vertice UE a Roma, di cortei di lavoratori – come avvenuto il 30 marzo, quando la polizia ha bloccato 15 pullman di lavoratori provenienti da Napoli e Bari per lo sciopero nazionale dei precari pubblici al casello di Roma sud – di atti amministrativi contro centinaia di militanti sindacali e politici, con processi, condanne e multe per centinaia di migliaia di euro a Bologna, Roma, Livorno e in altre città.

La tremenda sconfitta subita dall’establishment italiano ed europeo il 4 dicembre 2016, con il sonoro No alla distruzione della Costituzione, non ha evidentemente fermato i progetti reazionari dell’esecutivo Renzi, che continua a governare attraverso il prestanome Gentiloni. Come per il referendum sull’acqua del 2011, nel quale la maggioranza dei votanti sconfisse il tentativo di privatizzare questo bene primario, anche in questo caso il governo in carica – il quarto eletto da nessuno – fa carta straccia della volontà popolare, procedendo a marcia forzata nell’affossamento del dettato costituzionale”.

“Lo fa attraverso Leggi come la Minniti Orlando, incubata non a caso in città come la nostra, dove le due Giunte a guida Filippeschi (sostenute sino a poco tempo fa da coalizioni che vedevano partecipi SEL ed esponenti della “sinistra” interna al PD, recentemente smarcatisi perché “rottamati” e ora in affannoso recupero, nel tentativo di rifarsi una verginità in vista delle prossime elezioni politiche ed amministrative), hanno indicato la strada a suon di ordinanze e provvedimenti razzisti e antipopolari, chiudendo ermeticamente le porte a qualsiasi interlocuzione sociale. Il Partito Democratico incarna un progetto reazionario che deve veicolare politiche lacrime e sangue dettate dall’Unione Europea, per garantire margini di profitto a imprese e banche piegate da una concorrenza internazionale sempre più feroce, che assume i connotati di una vera e propria guerra, interna contro le maggioranze, esterna contro i paesi che circondano l’Unione Europea. Alla base di queste politiche sta quindi la crisi sistemica internazionale, che dal 2008 attanaglia soprattutto i paesi occidentali e che non trova soluzioni, costringendo gli esecutivi ad adottare provvedimenti sempre più antipopolari. Da qui la stretta repressiva che stiamo subendo. Le organizzazioni che nel nostro paese si misurano sul terreno del conflitto politico e sociale devono prendere atto di questa nuova condizione, adeguando il proprio agire: In ogni luogo dove si determineranno conflitti troveremo il personale politico del PD – e chi lo sosterrà in coalizioni elettorali,  giunte locali e regionali – alla guida di polizia, carabinieri, esercito, polizia municipale, sguinzagliati per reprimere ogni tipo di insorgenza sindacale e politica. Il blocco sociale potenzialmente interessato a intraprendere la strada del conflitto è enorme, per numeri e composizione, dato che la crisi unisce oggettivamente figure una volta divise dalla propria posizione nella società”.

“Parliamo dei Soliti Noti: lavoratori dipendenti, precari giovani e adulti, immigrati, pensionati, ai quali la crisi unisce partire IVA, piccoli imprenditori, tecnici e dirigenti ridotti a mano d’opera precarizzata e pauperizzata”.

“Settori sociali diversi, che ad oggi si esprimono a livello di massa attraverso il voto o specifiche vertenze, evidenziando un malessere e una rabbia sociale che aumenta, ma che non trova ancora sintesi politica in un progetto generale di opposizione, in grado di porsi l’obiettivo della rottura dell’ordine di cose esistenti e della costruzione di una società emancipata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Per avviarci su questa strada e vincere la pesante sfida che oggi le politiche repressive impongono a tutti noi, di cui il blitz di mercoledì 25 maggio a Pisa è una plastica espressione, occorre colmare il gap esistente tra la rabbia sociale montante e la capacità di organizzarla in un progetto razionale e indipendente, che per noi significa individuare il mandante principale nell’Unione Europea, di cui gli esecutivi nazionali e locali sono gli interpreti ed esecutori materiali. Solo mettendo solide radici nella nostra classe di riferimento e nella società possiamo ipotizzare un rovesciamento dei rapporti di forza a nostro favore, forza in grado di stoppare queste politiche di guerra sociale e militare. Nell’esprimere piena solidarietà agli occupanti dell’ex centro di accoglienza di Via Garibaldi e dura condanna dell’operazione poliziesca ordinata dalla locale giunta PD, indichiamo in questi percorsi un contributo per rispondere alla presente e futura stretta repressiva implementata degli esecutivi continentali, nazionali e locali”.

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