Diritto di sciopero: tra libertà individuali, crociate ideologiche e norme restrittive. Solidarietà ai 5 tranvieri della Ctt Nord denunciati per interruzione di pubblico servizio

5 autoferrotranvieri della Ctt Nord sono stati rinviati a giudizio dalla Procura con l’accusa di interruzione di pubblico servizio per uno sciopero del 2013 quando tutti i bus si fermarono, era il dicembre 2013, contro la disdetta (aziendale) del contratto integrativo che sanciva per molti la perdita economica di centinaia di euro al mese.

29luglio 2017 da Antonio Piro e Federico Giusti da Sindacato Generale di Base e Delegati e Lavoratori Indipendenti Pisa

Al contrario di altre aziende, i vertici della Ctt hanno deciso di non costituirsi parte civile ma resta la gravita del rinvio a Giudizio dopo l’intervento della Commissione di garanzia che aveva decretato decine di migliaia di euro di sanzioni a carico dei sindacati. Scioperare nei pubblici servizi è sempre più arduo tra fasce di reperibilità obbligatorie e precettazioni senza dimenticare i periodi nei quali è proibito di fatto scioperare e la lunga trafila burocratica da seguire tra indizione, procedure di raffreddamento e le modalità con le quali, settimane dopo, lo sciopero avviene. Ma queste norme estremamente rigide che minano di fatto l’esercizio dello sciopero, il Governo vuole approvare a Settembre regole ancora più restrittive.

Ne hanno parlato in questi giorni anche ai tavoli sindacali tra sindacati cosiddetti rappresentativi, Governo e Confindustria per estendere e rafforzare l’accordo capestro sulla rappresentanza del Gennaio 2014 che oggi (ma per quanto tempo ancora?) non si applica ancora al pubblico impiego. Dopo lo sciopero generale dei trasporti del 16 giugno 2017, è partita la nuova crociata contro il ‘diritto di sciopero’ ricorrendo ad un autentico linciaggio mediatico sugli scioperi nei trasporti regolarmente indetti (quindi secondo quelle regole inique). Lo stato in cui versano i trasporti tutti è comatoso e le responsabilità sono del Governo che procede con le privatizzazioni, i mancati investimenti, la mancata manutenzione dei messi e delle strade e accordi sindacali che hanno intensificato i tempi di guida determinando cosi’ il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

I lavoratori dei trasporti sono non solo sottoposti al linciaggio mediatico ma additati come i responsabili di un dissesto del quale, al pari dei cittadini, sono invece vittime, all’occorrenza poi, come avviene a Pisa,  deferiti alla autorità giudiziaria quando decidono di attuare forme di protesta forti. Deve insomma vincere la paura e la rassegnazione per non mettere sul banco degli imputati le politiche governative. Nel mese di Luglio così le commissioni congiunte Lavoro e Affari Costituzionali hanno iniziato   lavorare  per trasformare in legge un testo preparato dal relatore senatore Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro e da sempre fautore di regole che se approvate eliminerebbero il diritto di sciopero. Non a caso alcune organizzazioni sindacali di base hanno già proclamato uno sciopero generale per fine Ottobre perché è in gioco la libertà sindacale. Obiettivo del Governo è consentire scioperi solo se proclamati dai sindacati con rappresentatività superiore al 50% o in caso contrario passando da un referendum tra i lavoratori interessati. Ma, il 16 giugno  ha dimostrato che non avere la rappresentatività non determina assenza di consenso tanto è vero che i dati della adesione sono decisamente superiori a quelle di scioperi proclamati da Cgil Cisl Uil. 

Il Governo vuole una rappresentanza sindacale a suo uso e consumo, con sindacati complici delle decisioni governative e disposte sottoscrivere intese contrattuali a perdere come quelle che hanno sancito l’aumento della settimana lavorativa o barattato aumenti contrattuali con bonus e welfare aziendale. Ci sembra poi assolutamente lesivo della libertà individuale e collettiva sancire l’obbligo della comunicazione preventiva del singolo lavoratore ad uno sciopero o la impossibilità di revocare una serrata se non con diversi giorni di anticipo. La bocciatura al referendum del dicembre 2016 sulle riforme costituzionali non ha scoraggiato il Governo e i suoi alleati che tornano ad attaccare le libertà della Costituzione, per esempio l’art.3, comma 2, che tratta del principio di eguaglianza, e giustifica lo sciopero come diritto fondamentale, una sorta di strumento giuridico in grado di eliminare gli “ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. come leggiamo nella lettera inviata al Parlamento dal sindacato generale di base. 

L’obiettivo finale non è solo quello di impedire un autentico diritto di sciopero (dei cittadini a chi governa interessa ben poco visto lo stato in cui versa il trasporto su gomma e su rotaia) e delegittimare il ruolo stesso dei sindacati conflittuali con una contrattazione individuale con i singoli lavoratori che alla fine saranno sopraffatti dalla paura, dalle minacce e dalla rassegnazione. 

Un passaggio della lettera inviata da Sgb:

Il diritto di sciopero è un diritto a titolarità individuale ma, questo non impedisce che la legge possa (come già accade) introdurre disposizioni riguardanti, per esempio, il momento deliberativo dello sciopero, l’obbligo di preavviso al datore o simili. Ne è esempio la legge 146/1990 così come modificata dalla legge 83/2000 che in materia di conflitto nei servizi pubblici essenziali già prevede l’obbligatorietà di un preavviso minimo di 10 giorni.

Lo sciopero – per il quale il nostro ordinamento non attua nessuna differenza tra sciopero spontaneo, che prevede un’organizzazione spontanea tra lavoratori attuata per sostenere un interesse collettivo e lo sciopero organizzato che avviene mediante un’iniziativa intrapresa per volontà di un sindacato – rappresenta il più importante mezzo a disposizione per rivendicare le proprie idee e posizioni nei confronti della controparte politica. Altra conseguenza importante al fatto di essere un diritto individuale, ma ad esercizio collettivo, è che le organizzazioni sindacali non hanno la possibilità di disporre di un diritto appartenente al singolo prestatore di lavoro. Questo, tra l’altro, comporta che le clausole di tregua, i sistemi di raffreddamento del conflitto e di conciliazione delle controversie inseriti in clausole di contratti collettivi (vedi T.U. Del 10 gennaio 2014 e accordi applicativi successivi) producono effetti solo nei confronti dei sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro, che li hanno stipulati perché, si ribadisce, lo sciopero è riconosciuto come un diritto in capo al singolo lavoratore.

Ora lo sciopero economico-politico del 16 giugno 2017 si configura come uno sciopero per quanto riguarda il destinatario (Governo, Regioni, Enti Locali) e ha avuto ed ha lo scopo di indurre il Governo o il Parlamento a deliberare o a ritirare un provvedimento riguardante le condizioni socio-economiche dei lavoratori (es. il ritiro dell’abrogazione del Regio decreto148/31) ed è uno sciopero legittimo come afferma l’art. 40 della Costituzione in quanto è stata una manifestazione di sciopero avente per oggetto rivendicazioni inerenti l’insieme degli interessi dei lavoratori (nonché cittadini) disciplinati nelle leggi contenute sotto il titolo III della prima parte della Costituzione.

Si osserva inoltre che la formazione della nozione di sciopero, da parte del Governo, dei vari Ministri e dal Presidente della Commissione di Garanzia, è caratterizzata da un tenace apriorismo che di fatto non si sofferma ad analizzare i fatti ed i motivi che hanno spinto i lavoratori ad attuare lo sciopero del 16 giugno 2017 con tali modalità finendo con l’astrarre fino ad evitare l’integrazione tra l’esperienza sindacale ed il contesto economico-sociale che l’ha determinato. Sarebbe più opportuno che chi governa valutasse la reazione dei lavoratori dei trasporti comprendendone le motivazioni piuttosto che rifiutarle a priori facendo riferimento a teorie di pensiero che si soffermano al fatto che i soggetti che hanno indetto lo sciopero del 16 giugno 2017 sono sindacalmente minoritari e non firmatari di contratti (quest’ultima tesi supportata dalle Associazioni Datoriali che in tal modo si scelgono gli interlocutori).

Il fenomeno dello sciopero del 16 giugno 2017 perderebbe la sua efficacia dal momento in cui verrebbe a mancare quella che è l’essenza dello sciopero sensibilizzare la controparte (il Governo, il Parlamento, le Regioni, gli Enti Locali) per far si che le proprie pretese vengano prese in considerazione.

A tale riguardo si rappresenta il fatto che:

  • A seguito dell’invito da parte del Ministro dei trasporti Graziano Delrio, di sospendere lo sciopero del 16 giugno 2017 la scrivente O.S. assieme al Cub Nazionale e la Cub Trasporti hanno fatto richiesta di essere sentite;
    Essendo lo scopo dello sciopero del 16 giugno 2017 quello di sensibilizzare le controparti non è possibile pensare che i lavoratori mettano in atto proteste nei modi e con le modalità più confacenti a chi governa senza ritenere di essere tenuto a rispettare per primo le leggi ed i vari regolamenti in essere e cioè di convocare in audizione preventiva (procedura di raffreddamento?) cosa che non è avvenuta.
  • Ribadendo che lo sciopero è un diritto individuale ad esercizio collettivo si osserva che quest’ultimo non sta a significare che le varie OO.SS. che hanno dichiarato sciopero debbano avere un numero elevato di iscritti per poter avere un tavolo di confronto (cosa che evidentemente anche il Governo come le associazioni datoriali prende a pretesto), ma che risulta fondamentale che l’azione di protesta miri a salvaguardare e rappresentare non un interesse individuale bensì l’interesse di una collettività di lavoratori (cosa che sembra essersi significativamente manifestata vista l’adesione dei lavoratori dei trasporti allo sciopero). E’ importante sottolineare che la proclamazione di uno sciopero, come lo sciopero del 16 giugno 2017, poteva e può avvenire anche senza l’intervento del sindacato, che tuttavia nella gestione dello sciopero ha svolto un ruolo fondamentale. Ciò, semmai, segnala l’assenza del sindacato “Confederale” e la crisi di rappresentatività dello stesso.
  • Si osserva che nell’indizione dello sciopero del 16 giugno 2017 sono state rigorosamente rispettate le regole nei servizi pubblici normate dalla legge n. 146/90 così come modificata dalla legge 83/2000 garantendo le prestazioni indispensabili contenute e qualificate come “essenziali” nelle Delibere Provvisorie della Commissione di Garanzia, che si è avvalsa dell’interpretazione estensiva nello stilare una lista di servizi, specialmente nel trasporto aereo, definiti “strumentali”, in quanto la loro mancata esecuzione potrebbe portare gravi disagi per gli utenti. Sono sempre stati rispettati, come previsto dalla Commissione di Garanzia, che ha deciso che per l’incolumità dei passeggeri dovessero essere garantiti determinati servizi, il servizio di rifornimento del carburante, il servizio a terra per i passeggeri, i voli entro le fasce (individuate dalla Commissione di Garanzia), i voli intercontinentali, per le isole, con merci deperibili e o sanitari (regolamentazione che invece non è stata rispettata da ENAC, Gestori Aeroportuali, Handlers non applicando la regola che prevede la convocazione delle OO.SS. che hanno dichiarato lo sciopero per definire il personale minimo da comandare e di esporre i voli da garantire 5 giorni prima dello sciopero). E’ stato rispettato quanto deliberato dalla Commissione di Garanzia con delibera n. 14/387 del 13/10/2014 che ha sostituito quella del 19 luglio del 2001 (quindi recente con buona pace del Commissario della Commissione di Garanzia Giuseppe Santoro Passerelli) con la quale ha aumentato il termine di preavviso minimo di proclamazione dello sciopero da 10 a 12 giorni, ha elevato il preavviso massimo da 45 a 60 giorni quindi aumentando il tempo entro cui cercare la composizione del conflitto tempo che non ha ritenuto di utilizzare il Ministro dei Trasporti Delrio.
  • Si osserva, ancora, che nel trattare il diritto di sciopero oltre a fare riferimento all’art. 40 della Costituzione non devono essere trascurate le fonti internazionali. In primo luogo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, attraverso l’art.11 relativo alla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà sindacali, ha definito il diritto di sciopero come “corollario inseparabile” del diritto di associazione sindacale.
    Anche l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (chiamata Carta di Nizza), ribadisce che:

“i lavoratori ed i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi a livelli appropriati e di ricorrere, in caso di conflitto di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, quindi compreso lo sciopero”.

Di fatto l’Italia dispone già di una delle regolamentazioni più restrittive in vigore in Europa, severamente e pedissequamente controllata e spesso “liberamente” interpretata dalla Commissione di Garanzia, il cui intervento produce quasi sempre il deleterio effetto di distanziare di molti mesi le cause scatenanti il conflitto dal conflitto stesso, prolungando di fatto le vertenze e svuotandolo di effetti, a tutto ed esclusivo vantaggio delle parti datoriali.

Vista anche la situazione di generale decadimento in cui si trovano i servizi essenziali nel nostro Paese, la forte compressione e limitazione del conflitto ha in effetti contribuito a provocare danni ai cittadini stessi, alle prese con servizi sempre più costosi e qualitativamente peggiori. Cittadini che si sono sobbarcati i costi di fallimenti e pesanti ristrutturazioni societarie, insieme ai lavoratori che hanno visto tagliare l’occupazione e i salari mentre è aumentata in modo esorbitante la precarietà in tutti i settori coinvolti.
A chiusura di questa esposizione si osserva che purtroppo si vuole dipingere strumentalmente un Paese ostaggio di torme di lavoratori intenti solo a scioperare e danneggiarne l’immagine.

SGB esprime il timore che tutto ciò nasconda, in modo neanche tanto velato, il tentativo di consegnare un ‘nemico’ all’opinione pubblica per lanciare l’affondo finale alla legislazione sociale e del lavoro in Italia, a partire dallo Statuto dei Lavoratori, insieme all’unico reale strumento in mano ai lavoratori per difenderla: lo sciopero.
Ma questo attacco cela anche la volontà di estendere e rilanciare il processo complessivo di privatizzazione dei servizi pubblici, in modo da garantire nuovi margini di guadagno ad imprese e finanza che non si preoccupano certo della qualità e della quantità dei servizi offerti ai cittadini, ma esclusivamente di ricavare profitti riducendo i costi, a cominciare da quello del lavoro, e comprimere pericolosamente la qualità, la sicurezza e la fruibilità dei servizi.

Ciò che emerge è che si vuole trasferire l’esercizio del diritto di sciopero dal singolo lavoratore al sindacato: sarebbe come trasferire il diritto di voto dal cittadino al partito.

In un sistema nel quale il ruolo del cittadino/elettore è sempre più emarginato, al pari di quello del cittadino/lavoratore che poca voce ha in capitolo nei rapporti economici tra aziende e sindacati, la indebita trasformazione costituzionale del diritto di sciopero produrrebbe, e già sta producendo, un estremo squilibrio nei rapporti sociali di questo paese.
Tra l’altro si sta cercando di prefigurare un mondo del lavoro senza pluralismo sindacale e dove tutto viene affidato al monopolio di tre sole organizzazioni sindacali.

Per queste ragioni pensiamo che il diritto di sciopero non solo debba essere salvaguardato ma rappresenti ormai l’ultimo baluardo da difendere perché sono in gioco le libertà democratiche del nostro paese. Che poi queste normative siano in discussione in altri paesi della Ue dimostra quello che abbiamo sempre detto, ossia che l’Europa della Bce è contraria alla democrazia e ai lavoratori. Una ragione in più’ per mobilitarci e resistere alla barbarie che avanza.

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