Dossier Lipu: ‘il cemento ha invaso la città di Livorno’

Rapporto sull’urban sprawl che ha causato gravi danni ambientali, ecologici e sociali, contribuendo in modo sostanziale al disastro dell’alluvione

06ottobre 2017 da e a cura di: Marco Dinetti (Lipu), Paola Ascani e Daniele Selmi (Redazione Ecologia Urbana. Con i contributi di: Simona Corradini (dottore di ricerca in pianificazione urbana territoriale e ambientale),  Alexander Palummo (Università di Firenze Dipartimento di Architettura-DiDA)

Introduzione

“Quando ero bambino, mio nonno mi portava a passeggiare in quei campi vicino alla ferrovia, che adesso sono diventati distese di edifici. Nel cortile si giocava tra gli alberi e sul retro del palazzo vi erano orti, giardini e terreni incolti, mentre adesso solo muri, garage e lastricati”.

Dopo decenni di cementificazione a Livorno, di cui le testimonianze principali sono la costruzione di nuovi quartieri residenziali e di aree industriali e commerciali, vedi: Banditella, Leccia, Scopaia, Salviano, Magrignano, Porta a Terra, Viale Boccaccio, Picchianti, la città si sarebbe dovuta fermare rispetto al consumo di suolo, destinando a verde urbano i terreni aperti che ancora rimanevano non sigillati da asfalto e cemento. Questo anche considerando che la popolazione del comune di Livorno è in calo: era di 171.265 abitanti al 31 dicembre 1990 (Comune di Livorno, 1992) scendendo agli attuali 158.699 abitanti (dati Istat, popolazione residente al 30 Marzo 2017); pertanto non vi è una richiesta abitativa correlata alla popolazione residente. Il disastro della recente alluvione ci induce a compiere una profonda analisi e riflessione del modello urbanistico che è stato portato avanti negli ultimi decenni.

Si è costruito troppo, anche in zone rischiose dal punto di vista idrogeologico (incluse le zone collinari di Montenero) ed allo stesso tempo non sono stati intrapresi interventi importanti per una corretta gestione ambientale, che dovrebbero prevedere la valorizzazione e lo sviluppo delle aree verdi ed una gestione ecologica e sostenibile dell’ecosistema urbano, anche per trarre il massimo vantaggio dai servizi ecosistemici (inclusa la protezione dal rischio idraulico). Analogamente, nella pianificazione e progettazione manca del tutto un approccio che applichi in maniera sistematica le misure di mitigazione per gli ecosistemi ed il concetto di compensazione ecologica preventiva. In quello che purtroppo è successo a Livorno, oltre alle circostanze meteorologiche straordinariamente avverse (con le quali dovremo però fare i conti sempre più spesso, causa i cambiamenti climatici, a loro volta indotti da un modello non sostenibile della nostra civiltà), non possiamo non individuare una responsabilità nelle scelte urbanistiche che da qualche decennio sono state portate avanti. Rispetto alla situazione che ha provocato il dramma maggiore sotto il profilo umano, è inevitabile considerare il ruolo che ha giocato la costruzione del centro commerciale e del quartiere residenziale del Parco di Levante (Nuovo Centro), ubicato nella immediata sinistra del corso del Rio Maggiore. Un terreno che invece doveva restare come zona a verde, esondabile in caso di piena dei corsi d’acqua, discorso che vale anche per altri terreni posti vicino ai torrenti, che invece sono stati edificati o asfaltati. Vogliamo provare a pensare se le acque, invece di questo impedimento e di tutta la superficie impermeabile retrostante, avessero trovato un ampio terreno aperto e permeabile? A maggior ragione poiché poco più a valle il Rio Maggiore è tombato, e un po’ più avanti ancora, quasi al livello del Viale Italia (lungomare) vi è il palazzo dove c’è stato il maggior numero di vittime.

Da parte nostra, sono ormai decenni che ripetiamo l’importanza di lasciare dei terreni aperti nel tessuto urbano, perché oltre a tutelare la biodiversità ed a assicurare numerosi servizi ecosistemici, questi spazi liberi da costruzioni possono rendersi utili proprio in caso di emergenza. Ad esempio se deve atterrare un elicottero, se occorre allestire una tendopoli, o far sfollare temporaneamente delle persone per una qualsiasi ragione. A maggior ragione, i terreni aperti e permeabili consentono la captazione delle acque meteoriche, contrastando gli allagamenti e le alluvioni.

Sembra invece che ci sia una corsa alla cementificazione e sigillamento dell’ultimo terreno, dal più piccolo al più grande. Palazzi, centri commerciali, capannoni, ma anche garage o semplicemente marciapiedi, parchi e piazze sempre più coperte da lastricati, cementificazioni e asfaltature. L’esatta negazione di un terreno permeabile, che oltre ad assorbire le piogge riduce l’accumulo di calore nelle torride estati, che a sua volte è fonte di disagio per le persone, contribuendo al dissesto climatico. Per fare dei semplici esempi:

  • Basta guardare a Piazza Grande e Piazza del Municipio
  • Oppure al tratto che costeggia la darsena (dai Quattro Mori all’ex cantiere): un unico lastricato, destinato ad allagarsi in caso di forti piogge
  • Oppure a Piazza Damiano Chiesa, dove le aiuole dapprima sono state ridotte per la realizzazione di vialetti interni, e poi ulteriormente cementificate per costruire dei chioschi
  • E adesso la stessa sorte sta toccando alla Rotonda di Ardenza.

Dobbiamo mettere insieme tutti questi interventi, per non doverci meravigliare se poi la città si allaga. Dove è tutto questo ‘consumo di suolo zero’, che abbiamo sentito ripetere dagli amministratori, più o meno recentemente?

  • Ricordando che il consumo di suolo zero non è solo bloccare l’espansione dell’area urbana verso l’esterno, ma anche impedire una ulteriore densificazione del tessuto urbano.

A quanto pare -ahimè- i fatti ci stanno dando ragione. Evidentemente quello che proponevamo non serviva solo per proteggere la natura, ma anche per salvare la pelle della gente e risparmiare milioni di danni. Questo dossier è anche un modo per dire che gli ambientalisti non proteggono soltanto “gli uccellini ed i ranocchi” ma anche il benessere e la sicurezza delle persone. Tradotto in altri termini, si tratta di una serie di esigenze primarie, di tipo sia ambientale che sociale (servizi ecosistemici). Perché tutti insieme, in quanto esseri viventi, condividiamo una stessa “casa”, che è il Pianeta Terra. In poche parole:

  • Si è costruito troppo (consumo di suolo).
  • Si è costruito in luoghi pericolosi per il rischio idrogeologico e/o in ambienti con valore ecologico.
  • Si è costruito male (senza interventi di mitigazione per gli habitat e la biodiversità).
  • Non sono state attuate misure di compensazione per gli ecosistemi danneggiati.

Consumo di suolo e qualità dello spazio pubblico nelle aree urbanizzate in relazione all’alluvione del 10 settembre 2017 (Simona Corradini, dottore di ricerca in pianificazione territoriale, urbana e ambientale)

trasformazioni urbane e il consumo di suolo dal 1995 ad oggi

Per comprendere quanto è avvenuto il 10 settembre dobbiamo avere un quadro su come si presentava il nostro territorio esattamente al momento prima e ripercorrere la recente storia urbanistica. Dal 1998, ma anche da prima, ad oggi il territorio di Livorno ha avuto trasformazioni importanti a destinazione residenziale e commerciale di nuova costruzione, che hanno prodotto un elevato consumo di suolo in termini di modificazione di terreni agricoli al margine della città, cui si deve aggiungere la realizzazione di opere infrastrutturali, tipo nuove rete stradali, parcheggi, varianti stradali, attraverso il meccanismo dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, che ha di fatto sostituito il progetto pubblico di città, quello che prima era il cosiddetto piano delle urbanizzazioni. Siamo oggi a parlare di un disastro del territorio, nonostante le numerose leggi e piani che hanno come obiettivo la tutela ambientale, normative che dal 1985 ad oggi (piano paesaggistico e legge Galasso, Piano di bacino e legge di difesa del suolo 1989, leggi regionali di governo del territorio basate su sviluppo sostenibile e valutazione ambientale etc..) hanno lo scopo di garantire una maggiore salvaguardia degli ambienti naturali, dei terreni agricoli, dei fiumi e della costa e indurre ad uno sviluppo della città più contenuto e sostenibile riguardo il nuovo consumo di suolo. Occorre ricostruire la geografia del nostro territorio attraverso l’osservazione attenta di ciò che è stato realizzato e a quali condizioni in termini di attrezzature pubbliche e sicurezza ambientale e di occasioni mancate rispetto a finanziamenti europei e nazionali per il recupero ambientale e paesaggistico.

Espansione edilizia e rischio idraulico

Carta del sistema fluviale di Livorno e dei fenomeni di consumo di suolo recenti

Numerose varianti urbanistiche di nuova edificazione hanno contribuito alla saturazione delle fasce agricole e periurbane poste lungo i rii in prossimità della città. Il tema della capacità edificatoria meriterebbe un capitolo a sé, al fine di conoscere le quantità effettivamente realizzate e dove, poiché con il meccanismo di trasferimento degli indici, questi hanno subito variazioni e non si è in possesso al momento di dati dettagliati sul consumo e sui carichi urbanistici. Di seguito alcuni dei principali interventi di nuova edificazione localizzabili nell’area centro-sud della città, ovvero quella più colpita dall’evento alluvionale eccezionale del 10 settembre 2017:

  • Piano Scopaia 2 (variante anticipatrice al Piano strutturale, 1993-1999 progetto, realizzata);
  • Salviano 2 Borgo di Magrignano (2003-2004, realizzazione parziale), dalla prima variante nel 2003 al regolamento urbanistico con cui si trasferiscono volumetrie aggiuntive in Via della Padula e Salviano fino ai problemi odierni legati alla mancata realizzazione delle parti pubbliche;
  • Porta a Terra (1999-2016 piano di completamento approvato recentemente);
  • Nel 2002 ad esempio viene variata la cassa di espansione del Rio Cignolo per far posto a strade, tra varianti di assestamento e varianti di completamento si arriva ad oggi;
  • Nuovo centro/area CTT/Distretto sanitario (2003-2008, 2016 variante approvata recentemente, in corso di realizzazione), nel 2003 ad esempio viene diviso in due sub ambiti, ha avuto varianti e modifiche in corso d’opera;
  • Variante abitare sociale, approvata nel 2013 prevede un ulteriore consumo di suolo dei terreni rimasti liberi a Coteto e si basa sulle previsioni idrauliche della variante Nuovo Centro.

Tutte le varianti sono state accompagnate da studi relativi al sistema idraulico, che in base a parametri relativi al suolo e alle aree esondabili definiscono un sistema di casse di espansione in diversi punti del territorio, lungo i principali corsi d’acqua che dalle colline livornesi giungono al mare con percorsi torrentizi. Dall’elenco degli studi disponibili dal 1998 al 2013, tratti dal quadro conoscitivo ambientale del futuro piano strutturale, ad oggi i corsi d’acqua oggetto di studi sono stati: Botro Banditella, Rio Cigna, Rio Maggiore, Rio Maroccone, Torrente Ugione, Botro Prugnoliccia, Rio Ardenza.

Il fenomeno dell’espansione diffusa collinare

L’altro significativo fenomeno degli ultimi anni è il consumo del territorio collinare attraverso la nuova edificazione sparsa. Le aree a ville con giardino e le aree di riqualificazione ambientale, come definite dal vigente Regolamento Urbanistico, consentono la nuova edificazione residenziale e su questa non abbiamo dati certi relativi al consumo di suolo avvenuto dal 1998 ad oggi. Si tratta di interventi realizzati singolarmente, seppur in forma di vere e proprie lottizzazione, che hanno dato origine a tutta una serie di terreni agricoli interclusi, frutto della cessione da parte del privato che fino ad oggi fanno parte del patrimonio pubblico e che potrebbero avere un ruolo importante per il recupero ambientale diffuso delle aree collinari e pedecollinari.

Scomputo delle urbanizzazioni pubbliche

L’area del Nuovo Centro a confronto nel 2008 e nel 2016.
L’area del Nuovo Centro a confronto nel 2008 e nel 2016.

Allo stato attuale se prendiamo in esame un’espansione edilizia quale il Nuovo Centro possiamo osservare un paesaggio caratterizzato da una forte impermeabilizzazione del suolo ed un uso estensivo delle destinazioni d’uso in termini di articolazione di usi e di attrezzature pubbliche. L’unica previsione di verde pubblico realmente attrezzato è costituita da una fascia di terreno posta lungo la ferrovia di cui si attende la realizzazione. Il restante verde è costituito da aree poste in fregio alla viabilità e residuali rispetto all’edificato e dalle casse di espansione. 

Il caso di Magrignano presenta criticità analoghe, nel senso che non dispone di aree a verde attrezzato né di un sistema di connessioni verdi, si tratta di aree agricole residuali intercluse tra gli edifici per le quali vi è la mancanza di progetto pubblico e di sicurezza che offra la possibilità di viverle sia per il tempo libero che per pratiche agricole, presenti storicamente nell’area di Salviano.

Le casse di espansione in questo modello di urbanizzazione sono considerate veri e propri servizi pubblici (verde pubblico) e le aree hanno dato origine a capacità edificatorie da concentrare all’interno delle aree oggetto delle varianti, la loro realizzazione così come tutte le altre opere di urbanizzazione è stata gestita all’interno di una convenzione tra Comune e privati, a scomputo degli oneri. Il risultato, al momento, è un paesaggio che possiamo definire ‘avulso’, che non ha mantenuto le tracce del paesaggio preesistente, da una parte insediamenti residenziali, tutt’oggi in fase di cantiere, dall’altro grandi centri commerciali, con enormi cartelloni pubblicitari che producono un forte impatto visivo sulle colline livornesi.

Alberi storici tra strade e rotatorie.

Scarsi, quasi assenti i collegamenti del trasporto pubblico un po’ in tutte le nuove aree di Magrignano, Porta a Terra, Nuovo Centro, basta osservare l’attuale mappa del servizio di trasporto pubblico.

Rete trasporto pubblico e aree di nuova urbanizzazione residenziale e commerciale periferiche.

Rete trasporto pubblico e aree di nuova urbanizzazione residenziale-commerciale
periferiche
Immagine antica dell’abitato di Salviano ricco di corsi d’acqua

Il Borgo storico di Salviano e in generale i borghi storici -Collinaia, Montenero, Ardenza- sono stati circondati dai nuovi quartieri e dall’edilizia diffusa, causando una frammentazione sociale e una forte pressione di traffico dovuta all’attraversamento per raggiungere i centri commerciali periurbani. Tutta la nuova edificazione dal 2000 ad oggi non ha contribuito come invece sarebbe richiesto per legge, a creare nuove strutture scolastiche o centri di quartiere, centri sociali e culturali, attrezzature sportive pubbliche (unica realizzazione il palazzetto), musei, biblioteche etc… obbligatori in base agli abitanti potenziali. Il carico urbano continua ad oggi a gravare sulla città esistente e sui piccoli borghi e centri collinari, i più colpiti dall’alluvione.

Il parco fluviale lungo rii e torrenti come esempio di recupero ambientale per la sicurezza del territorio

Le aree in cui sono sorti i grandi complessi residenziali e commerciali a Livorno sono localizzati in prossimità e lungo i tratti di pianura dei corsi d’acqua che poi defluiscono in mare. Se si guarda ad esempi di simili situazioni viene immediato il riferimento ai parchi fluviali e ai contratti di fiume sperimentati sia in Toscana che nel resto d’Italia. Si può portare come esempio il parco fluviale del torrente Lura in Lombardia, che abbraccia più comuni ed è declinato nei diversi piani urbanistici tramite un vero e proprio piano del parco (sito web http://www.parcolura.it/index.php).

L’importanza della vegetazione in una riqualificazione fluviale per la mitigazione del rischio. (Alexander Palummo, Università di Firenze, Dipartimento di Architettura – DiDA)

Eventi climatici di straordinaria intensità, come le alluvioni, sono spesso le uniche occasioni in cui la rilevanza delle infrastrutture diventa universalmente percepibile e, con esse, il loro bisogno di adeguamento continuo e interdipendente rispetto all’ambiente circostante. Gli eventi catastrofici infatti irrigidiscono irreparabilmente questi sistemi, in realtà estremamente dinamici, specialmente nelle situazioni in cui l’intervento antropico ha indotto modificazioni esasperate e irreversibili. Ad esempio, un letto fluviale cementificato, arginato e costretto a improbabili traiettorie lineari non viene percepito in tutta la sua problematicità fino a che la sua esondazione non evidenzia l’inadeguatezza strutturale degli spazi che gli sono stati riservati in sede di progettazione: spazi che non ammettono le ‘naturali’ variazioni anche importanti di portata nel corso della sua vita costringendo il fiume a scorrere perennemente in uno spazio spesso artificiosamente rettilineo e/o a portata regimentata. Un altro esempio può essere quello di una fascia riparia popolata solo da leguminose da prato:

  • la problematica assenza di copertura boscata non viene di solito percepita fino a quando non interviene un innalzamento del livello del fiume con aumento della velocità di scorrimento delle acque – e quindi anche del trasporto solido – che insieme causeranno ingenti danni a valle. In questo caso la vegetazione non spontanea non sarà in grado di frenare lo scorrimento dell’acqua e di gestire un fenomeno (l’innalzamento del livello d’acqua) normalmente previsto dalla natura.

Un intervento sulle infrastrutture ha quindi senso solo quando è non invasivo e ben ponderato in rapporto alle esigenze ecosistemiche dell’area oggetto dell’intervento. Il CIRF -Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale- a tal proposito propone di intervenire con:

1 “…l’insieme integrato e sinergico di azioni e tecniche, di tipo anche molto diverso (dal giuridico-amministrativo-finanziario, allo strutturale), volte a portare un corso d’acqua, con il territorio ad esso più strettamente connesso (“sistema fluviale”), in uno stato più naturale possibile, capace di espletare le sue caratteristiche funzioni ecosistemiche (geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale, cercando di soddisfare nel contempo anche gli obiettivi socio-economici“.

Quest’ultima ottica è ribaltata rispetto agli storici interventi invasivi e malamente riparativi che si sono sovrapposti, creando scomposti rattoppi, lungo tutta la penisola italiana: il focus, qui spostato sulla pianificazione ecosostenibile, la prevenzione ma anche l’efficacia, l’efficienza e l’economicità (perché valorizza e rinforza l’esistente, il naturale, il ‘subito accessibile’) orienta dunque gli interventi di monitoraggio e supporto alla pianificazione territoriale, anche in ambito fluviale, restituendo protagonismo alla vegetazione ripariale e in generale al mondo vegetale spesso sbrigativamente additato come responsabile (o corresponsabile) dei disagi conseguenti, invece, alla cattiva gestione dei fiumi. La riqualificazione fluviale promossa in Italia dal CIRF sostiene la rinaturalizzazione delle aree fluviali/perifluviali come tentativo di ripristino dello stato naturale del sistema fluviale. Un modo per valorizzare le sue caratteristiche geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche, cercando al contempo di soddisfare anche obiettivi socio-economico-culturali. Questo perché solo ricostruendo un’interconnessione ecologica tra reticolo idrografico e corridoi di vegetazione riparia si può ridurre la frammentazione ambientale e mitigare i rischi idraulici/idrogeologici.

Alluvioni, dissesti idrogeologici, frane, ecc. vanno quindi interpretati non come “mali” ma come “sintomi” di un “malessere ambientale” causato da interventi antropici decontestualizzati, non conseguenti ad una adeguata riflessione strategica, quindi inappropriati e non di rado contraddittori, perchè fondamentalmente basati sull’innaturale presupposto che un’infrastruttura naturalmente -o entropicamente- preposta a favorire lo scambio e il movimento da un momento all’altro si “adegui” a esigenze imposte dall’alto, mantenendosi staticamente uguale a se stessa. Non sono infatti rari i casi già sofferenti per interventi staticizzanti (es. cementificazione) che subiscono ulteriori e decontestualizzati interventi invasivi per “necessita” antropologicamente determinate in maniera del tutto estemporanea. Rinaturalizzare non è sempre facile e, va detto, non sempre è ancora possibile. Ma in molti casi è possibile declinare in maniera meno aggressiva gli interventi che si dovessero rendere necessari: sarebbe già sufficiente che venissero pensati come ecologicamente responsabili e strutturalmente reversibili.

1 Nardini A. e G. Sansoni, (a cura di), 2006, CIRF. La riqualificazione fluviale in Italia. Linee guida, strumenti ed esperienze per gestire i corsi d’acqua e il territorio. Mazzanti editori, Venezia.

Il contesto ecosistemico e le proposte gestionali. (Marco Dinetti, Paola Ascani, Daniele Selmi – Lipu)

Indagini e progetti ornitologici ed ecologici

Il primo studio organico dell’avifauna urbana di Livorno è stato pubblicato nel 1985 sui Quaderni del Museo di Storia Naturale di Livorno (Dinetti e Ascani, 1985) e venivano suggerite azioni per una corretta gestione del verde urbano, compreso lo sviluppo di zone umide (canneti, torrenti, laghetti) nei luoghi adatti. Successivamente è stato delineato il quadro completo dell’avifauna, attraverso la compilazione dell’Atlante degli uccelli nidificanti a Livorno, i cui rilievi sul campo avvennero negli anni 1992-1993 (Dinetti, 1994). Le elaborazioni dei dati raccolti portarono alla realizzazione di una “Carta di valutazione ambientale dell’area urbana di Livorno su basi ornitologiche” (sotto riportata) dove tra le zone con valore “ottimo” comparivano tra le altre l’area del Podere Loghino (Viale Boccaccio)-Via dei Pelaghi, il corso del Rio Ardenza e Banditella, mentre considerando anche le zone con valore “buono” si comprendeva anche la zona retrostante alla stazione ferroviaria (Casa Castronaia) e la zona a nord della Fattoria di Magrignano fino al Rio Cigna. Risultati che -veniva scritto- indicano che le zone ecologicamente migliori comprendono le zone umide (torrenti con sponde naturali, relitti di stagni e canneti) le quali appaiono molto importanti per gli aspetti ecologici, in quanto indispensabili per il ciclo dell’acqua e per gli equilibri idrogeologici.

Carta di valutazione ambientale della città di Livorno, su basi ornitologiche (Dinetti, 1994)

Nel 1996 il Comune di Livorno fece proprie le indicazioni per una gestione ecologica della città, che derivavano anche dall’Atlante, tanto da coinvolgere la Lipu nella redazione del nuovo P.R.G. (convenzione tra Comune di Livorno e Lipu del 6 dicembre 1996). Tale rapporto venne regolarmente redatto dalla Lipu, e fu anche presentato pubblicamente. 

Ma nel concreto, le indicazioni che ne scaturivano rimasero sulla carta. Tanto che, una dopo l’altra, le zone ancora aperte che restavano vennero inesorabilmente urbanizzate:

  • Banditella, 
  • Magrignano,
  • Porta a Terra,
  • Viale Boccaccio…

A seguito della pubblicazione dell’Atlante ornitologico, il Comune di Livorno affidò alla Lipu anche il compito di realizzare il “Monitoraggio ambientale della città di Livorno con indicatori biologici”, eseguito negli anni 1997 e 2001.

Delle 177 unità di rilevamento (UR) ampie ciascuna 0,25 km2 (500 x 500 metri) che compongono l’Atlante (e quindi l’area urbana e periurbana di Livorno) ne vennero selezionate 11 quali rappresentative delle diverse situazioni ambientali. Tra esse figura la UR 110 di Via dei Pelaghi, che all’epoca era caratterizzata da incolti, torrente (Rio Maggiore) e nuovi insediamenti, e la UR 119 di Via di Levate, definita quale zona in corso di trasformazione (Nuovo Centro).

Le variazioni dell’avifauna avvenute in questo periodo sono riassunte di seguito e dettagliate nelle tabelle successive. 

Unità 110:

  • Specie nuove: Gheppio, Tortora
  • Specie “riapparse” (presenti nel 1992-93 e assenti nel 1997): Torcicollo, Usignolo
  • Saltimpalo, Cinciallegra, Passera mattugia
  • Specie scomparse: Civetta, Averla piccola

Saldo totale specie: + 5

Unità 119:

  • Specie nuove: Gheppio, Cinciarella, Gazza, Cornacchia grigia
  • Specie “riapparse” (presenti nel 1992-93 e assenti nel 1997): Balestruccio
  • Specie scomparse: Civetta, Ballerina bianca, Usignolo, Saltimpalo, Cinciallegra, Verdone

Saldo totale specie: – 1

Arriviamo più vicino ai giorni nostri, e precisamente nel 2006 quando decidemmo di ripetere l’Atlante ornitologico con una edizione aggiornata, i cui rilievi sul campo terminarono nel 2013 (Dinetti et al., 2013). Rispetto alla prima edizione dell’Atlante, il quadro ambientale di diverse zone della città appariva drasticamente mutato, in quanto ambienti che prima erano occupati da terreni coltivati, oliveti, incolti e zone con arbusti e siepi, erano stati trasformati in quartieri residenziali, zone industriali e commerciali. Significativo quindi che le sette specie indicatrici degli ambienti incolti (Usignolo, Saltimpalo, Usignolo di fiume, Beccamoschino, Canapino comune, Averla piccola, Cardellino) sono diminuite del 41% negli ultimi 20 anni, a testimoniare la marcata contrazione dei loro  habitat, compromessi dal consumo di suolo ad uso urbano (urban sprawl). 

Con i rilievi sul campo del secondo Atlante ancora in corso, veniva definita la scelta di urbanizzare l’ampia area lungo la Via di Levante (Nuovo Centro) che in origine era stata destinata a verde pubblico, per realizzare un nuovo centro commerciale ed una serie di edifici per edilizia privata (che peraltro sono ancora in fase di costruzione). La Lipu, grazie anche ai dati del nuovo Atlante, riteneva che tale area dovesse essere mantenuta come zona a verde, ed allo stesso tempo proponeva delle misure di mitigazione per eventuali interventi urbanistici che avessero dovuto interessare l’area. Si apriva così un lungo dialogo e confronto con il Comune di Livorno, fatto di incontri e riunioni, e scaturito nel progetto presentato dalla Lipu all’Amministrazione comunale in data 28 novembre 2011  dal titolo ‘collaborazione biodiversità Nuovo Centro’ di cui si riportano alcuni passaggi:

“Si richiama l’attenzione sul notevole impatto del progetto, a livello ambientale, ecosistemico e faunistico, in un’area che negli ultimi anni ha ospitato diverse decine di specie avifaunistiche (protette ai sensi della Legge nazionale 157/92 e Legge regionale toscana 3/94), tra cui alcune di interesse conservazionistico europeo (SPEC). Oltre all’occupazione fisica del suolo (land take) che comporta un ulteriore consumo di suolo in una città già fortemente interessata dal fenomeno dell’urban sprawl (dati ISPRA), si determina una drastica trasformazione ecosistemica, la frammentazione degli habitat, il disturbo -sia in fase di cantiere che relativo a vari fattori di pressione- per la fauna che deriveranno dagli edifici e dalle infrastrutture (traffico stradale, pannelli trasparenti, sistema idraulico, ecc.). Il sigillamento del suolo con materiali impermeabili altera i cicli ecologici fondamentali (scambi di energia, acqua, gas), i perde la produttività primaria (azione fotosintetica delle piante) e la disponibilità di habitat, mentre aumenta l’inquinamento ed il rischio idraulico. Più in particolare, le tematiche di nostra competenza, che desideriamo sottoporre, sono le seguenti: Progettazione aree verdi (scelta essenze, elementi per una progettazione ecologicoorientata, tutela alberi presenti, gestione naturalistica cassa espansione Rio Maggiore).”

A seguire arrivava la Decisione n. 47 del 13 febbraio 2012 della Giunta Comunale di Livorno, che prevedeva una collaborazione con le Associazioni ambientaliste (inclusa la Lipu) per una valorizzazione naturalistica del comparto del Nuovo Centro. Purtroppo, da qui a poco questo percorso finì nel niente, per ragioni assolutamente non comprensibili. Di tale proposta, siamo riusciti a salvare soltanto il filare di alberi nella zona verso i Cimiteri di Ardenza, anche grazie al parere espresso dal Corpo Forestale dello Stato.

Nelle foto: La zona del Nuovo Centro prima della cementificazione, 26 maggio 2011
  
Nelle foto: Parco Levante in costruzione, 22 luglio 2015

  

Nelle foto: Il filare di alberi che è stato salvato grazie all’intervento di Lipu e Corpo Forestale, e che comunque è stato parzialmente danneggiato dalla costruzione di una strada, 20 febbraio 2017

 

 

  

Riferimenti normativi e tecnici generali sulle aree verdi e la biodiversità

Il panorama dei riferimenti normativi e dei documenti tecnici in tema di tutela della biodiversità è molto ampio, a partire dalla Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) delle Nazioni Unite. Tra essi ne riportiamo alcuni di particolare rilievo rispetto alla gestione del verde urbano:

  • Legge 14 gennaio 2013, n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”.
  • Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” e s.m.
  • Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile, redatte nel 2017 dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  • Primo Rapporto sullo stato del Capitale Naturale in Italia, redatto nel 2017 dal Comitato per il Capitale Naturale dei Ministeri competenti.

La gestione dei corsi d’acqua

Da diversi anni, tutti i corsi d’acqua ed i canali del livornese (e non solo) sono sottoposti a periodiche azioni di “ripulitura” che consistono nel fare entrare in alveo un trattore con trinciastocchi, che macina tutta la vegetazione presente. Parliamo in particolare del Rio Maggiore, del Rio Ardenza – partendo dalla località Lo Stillo fino ai Tre Ponti (sbocco in mare) – mentre l’Ugione è stato “pelato” per l’ennesima volta proprio nelle settimane precedenti l’alluvione. Ma tutto questo non è servito a evitare la catastrofe della notte del 9 settembre scorso.

Tali interventi vengono condotti anche in piena primavera, durante la nidificazione dell’avifauna (in violazione della Legge nazionale 157/92 che tutela i nidi degli uccelli), come peraltro la Lipu ha avuto modo di evidenziare in varie occasioni (vedere rassegna stampa più avanti e lettera riportata in allegato). Tale approccio appare peraltro difforme da una serie di indirizzi normativi che si sono succeduti, sia a livello nazionale che regionale:

  • ad esempio il D.P.R. 14.04.1992 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recanti criteri e modalità per la redazione dei programmi di manutenzione idraulica” nel quale si esprime la volontà di conservare le formazioni di vegetazione che colonizzano gli habitat ripariali e le zone di deposito alluvionale adiacente (art.3), individuando nel corpo idrico capacità funzionali meccaniche e si relazione ecologica;
  • mentre nel D.lgs n° 152/1999 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento” si riafferma la necessità di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e per gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell’alveo.
  • A livello regionale ricordiamo il D.C.R. Toscana n° 155/1997 “Direttive concernenti criteri progettuali per l’attuazione degli interventi di competenza regionale (opere pubbliche) in materia di difesa del suolo nel territorio della Toscana” il cui art. 4 comma 4.1 punto 5 recita “Itagli di vegetazione in alveo devono essere effettuati preferibilmente nel periodo tardoautunnale e invernale, escludendo tassativamente il periodo marzo-giugno in cui è massimo il danno all’avifauna nidificante.
  • Nella direzione di una corretta gestione dei corsi d’acqua si è mosso anche il volume pubblicato dalla Regione Toscana (Guarnieri et al., 2009). Da considerare che la presenza di “verde incolto” in ambito urbanizzato viene prevista anche dalle “Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile” del Ministero dell’Ambiente.

Considerando che alcuni cittadini, ma anche degli amministratori pubblici, continuano a vedere nella “pulizia dei fiumi” uno degli interventi più necessari, vogliamo porre l’attenzione sul fatto che la furia delle acque ha divelto e trascinato per decine di metri il traliccio che era vicino al ponte sull’Aurelia nella zona della chiesa dell’Apparizione, oltre ad aver distrutto parte del ponte in località Tre Ponti e sfondato porte blindate nelle abitazioni.

  • Per cui abbiamo diverse perplessità nel pensare che questa massa d’acqua incontri resistenza da parte di qualche pianta o di un canneto. Senza contare che una persona si è salvata dalla corrente dell’acqua proprio aggrappandosi alle piante ed al canneto. Togliendo la vegetazione e rettificando il percorso non si fa altro che accelerare la corsa delle acque e gonfiare ancora di più il torrente; ciò causerà anche una maggiore erosione delle sponde e dei terreni, e questo fango andrà ad ostruire le campate dei ponti e le altre aperture, molto più pericolosamente di quanto fanno le canne.
  • Inoltre un intervento di costante disturbo della vegetazione ripariale non fa altro che favorire la diffusione della Canna comune Arundo donax che è una pianta molto resistente, che si diffonde tramite rizomi sotterranei, con “effetto gramigna”.

Una gestione tradizionale che guarda al fiume come ad un “nemico”, come se fosse un contenitore da isolare dove portare via rapidamente le acque piovane, necessita di argini molto alti e robusti. Tra questi muri rettificati, che andrebbero a segnare il territorio ed il paesaggio, le acque si accumulerebbero in maggiore quantità, e scorrerebbero più rapidamente. Ciò significa la necessità di avere un recettore dapprima intermedio (lo stesso torrente) e poi finale (mare) disponibile ad accogliere la massa delle acque, ed ovviamente ponti resistenti alla maggiore onda d’urto. Senza parlare della sicurezza, immaginando cosa possa succedere ad una persona oppure a un’auto che finisce dentro un canalone con argini alti ed una corrente rapida. Ricordiamo che anche altri ambientalisti livornesi si erano espressi sui rischi idraulici connessi con le tombature dei torrenti e le edificazioni lungo i corsi d’acqua, vedi l’intervento di Francesco Marani: Rio Ardenza: lui l’aveva detto… nel 2013 su Sequenze Cultura.

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