Il lavoro che uccide. Un altro operaio morto all’Ilva, che non ha bisogno di retorica

Ancora un morto morto all’Ilva, si chiamava Angelo Raffaele Fuggiano, lavorava in una azienda di manutenzione dentro lo stabilimento. Era di Taranto, aveva 28 anni e due bambini in tenera età, ucciso dal cavo tranciato di una gru.

17maggio 2018 da Confederazione Unitaria di Base e Sindacato Generale di Base

Ormai i lavoratori e le lavoratrici sono sempre più impauriti, codici disciplinari, repressione e la cultura dell’arrendevolezza hanno prodotto danni incalcolabili, imprigionato le menti in una prigione fatta di luoghi comuni, arrestata ogni azione conflittuale piegandola alle logiche compatibili con il sistema. Non sono slogans ma l’amara riflessione dopo l’ennesima morte sul lavoro, non passa giorno in cui non ci sia un morto e decine di feriti, dei quali quasi nessuno parla, molti dei feriti riportano danni permanenti. E dopo  le morti e gli infortuni?

La retorica mediatica, la manifestazione sindacale di rito, la solidarietà ipocrita delle istituzioni locali, molte delle quali non muovono un dito anche quando potrebbero farlo per chiudere una produzione industriale dannosa all’uomo e all’ambiente, per coadiuvarsi con altre istituzione per il controllo dei cantieri. 
Al contrario invece decine di agenti di Pm a inseguire migranti per le misure di contrasto dell’abusivismo commerciale, ispettori Inps e Inail ridotti ai minimi termini, documenti di valutazione del rischio secretati ai dipendenti, Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza sempre piu’ complici dei datori di lavoro a scambiare la filiera della sicurezza in supina accettazione delle regole imposte dalle aziende, pubbliche o private che siano.

Non è il primo operaio morto all’Ilva di Taranto, non sarà l’ultimo perché si lavora in condizioni di grave pericolo e disagio, non siamo noi a dirlo ma gli operai e i dati statistici. Intanto la Magistratura aprirà una inchiesta, individuerà alcuni responsabili, ci sarà un processo in tempi lunghi e un risarcimento, ma nessuno restituirà la vita all’operaio. Il problema è quindi un altro ma non si vuole affrontare, anzi è l’ argomento tabu:

  • Perché in Italia ci sono tanti morti e feriti sul lavoro?
  • Perché in Italia interi siti contaminati attendono da anni la bonifica?
  • Perché il testo unico sulla sicurezza è stato rivisto in piu’ occasioni con l’intento di addolcire le pene ai responsabili del mancato controllo in materia di salute e sicurezza?
  • E quale ruolo hanno i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza? In tante aziende li vediamo più vicini ai datori che ai lavoratori, svolgono un ruolo inutile e rituale e non solo perché le normative impediscono una azione veramente conflittuale ma perché si considera l’Rls una figura non conflittuale, che hanno fatto della sicurezza un rito e non una pratica finalizzata a conquistare migliori condizioni di lavoro e di vita, che sappia contrastare l’aumento dell’età pensionabile, la intensificazione dei ritmi e dei tempi di lavoro, rifiutare il sistema delle deroghe che porta ad aumentare gli orari giornalieri mettendo a rischio la nostra salute e sicurezza.

Sta qui allora il problema,

se il Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza non è messo in condizione anche di poter confliggere con l’azienda sulla tutela della salute e sicurezza di tutti\e, finisce con il diventare una figura di rito, inutile e/o certe volte funzionale a sottovalutare i livelli di rischio.

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