“In Guerra” il film di Stephan Brizè, l’impossibile dialogo tra operai e manager

Non sono molti I registi che sanno raccontare i conflitti sociali senza cadere nel melodramma o riducendoli  a piccole storie individuali

20novembre 2018 di Dontella Nesti

La grande tradizione del neorealismo italiano sembra senza eredi ed allora occorre guardare ad autori come Ken Loach, i Dardenne  e Brizè per vedere sullo schermo iI drammi del nostro tempo. Proprio nei giorni della protesta dei ’gilet’ gialli in Francia esce nelle sale l’ultimo film di Stephane Brizè che già dal titolo ‘In guerra’ riprende il tema caro a De Andrè ’non ci sono poteri buoni’. Il regista francese aveva già affrontato il problema con il film  ‘La legge di mercato’ e in questo film presentato a Cannes descrive ancora più duramente l’impossibile dialogo tra chi detiene le leve del mercato e chi chiede semplicemente di poter lavorare. Il film descrive la storia di 1.100 dipendenti di una fabbrica, la Perrin Industries, che prima ha ridotto i salari per non licenziare, dopo decide di chiudere senza nessuna intesa e senza discussioni. Il sindacalista Laurent Amédéoun il bravissimo Vincent Lindon si impegna fino allo spasimo per scongiurare questo dramma e salvare i lavoratori.

Il regista francese ha spiegato di aver voluto “legittimare la collera degli operai. Oggi c’è una situazione particolare, non ci sono più personaggi carismatici in politica la quale ha affidato ormai tutto il potere alla borsa. E questo attraverso leggi, votate sia dalla destra che dalla sinistra, che di fatto hanno dato le chiavi del potere alla finanza. Oggi lo strapotere dei soldi è totale, certo non basta un film per fare la rivoluzione, ma questo è il mio modo di fare politica”. C’è un’implicita accusa ai media, al giornalismo che sembra non saper raccontare I drammi sociali e il totale sfacelo provocato dal totem’mercato’ al quale si sono inchinati senza ritegno  sindacati e forze politiche che avrebbero dovuto denunciare e contrastare lo strapotere dei pochissimi  che detengono tutta la ricchezza mondiale.

“Il racconto si sviluppa attorno alla descrizione di un meccanismo economico che ignora i fattori umani e in parallelo all’osservazione della rabbia crescente dei lavoratori sottoposti alla pressione della negoziazione di un accordo per un licenziamento collettivo. Una rabbia incarnata in particolare da un delegato sindacale che mette in campo, senza alcuna retorica politica, proprio la necessità di farsi portavoce del dolore e dell’indignazione che sono tanto suoi quanto degli altri lavoratori. La sua ragione per lottare: rifiutarsi di essere privato del lavoro solo per permettere alla società di aumentare ulteriormente i propri profitti, quando questa stessa azienda si era impegnata a tutelare i posti di lavoro dei dipendenti in cambio della loro disponibilità a ridurre il proprio salario”. Dichiara il regista.

Coinvolgenti le scene della protesta nelle quali sembra di vivere la situazione di disperazione dei lavoratori e originale la scelta di descrivere la scena finale ripresa con un cellulare, inoltre le operaie e gli operai hanno le vere facce di lavoratori che ricordano il grande cinema italiano del secolo scorso.  

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