Nelle sale i film italiani presentati alla Mostra del Cinema di Venezia: ”Nico 1988” e “Una famiglia”

29 settembre 2017 di Donatella Nesti

Ha vinto il premio “Orizzonti” della 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di  Venezia il film  “Nico 1988” regia di Susanna Nicchiarelli con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek II, Thomas Trabacchi.

Il  film è stato accolto con molti applausi al Lido sia nelle proiezioni riservate alla stampa sia in quelle del pubblico. Il film ripercorre gli ultimi anni di vita di Christa Päffgen, in arte Nico. Musa di Warhol, cantante dei Velvet Underground e donna la cui bellezza era indiscussa, Nico vive una seconda vita quando inizia la sua carriera da solista. Nel film seguiamo gli ultimi tour di Nico e della band che l’accompagnava in giro per l’Europa negli anni ’80: anni in cui la “sacerdotessa delle tenebre”, così veniva chiamata, si è liberata del peso della sua bellezza e inizia a ricostruire una nuova vita insieme al figlio dimenticato.

Il film è interpretato da una bravissima Trine Dyrholm (Orso d’argento per la migliore attrice a Berlino nel 2016) – nata come cantante e poi attrice feticcio di Susanne Bier e Thomas Vinterberg – che fa rivivere l’artista-icona Nico interpretandola con la sua voce e trasformandosi fisicamente.  Ambientato tra Parigi, Praga, Norimberga, Manchester, nella campagna polacca e il litorale romano, Nico, 1988 è un road-movie dedicato agli ultimi anni di Christa Päffgen, in arte Nico.

La sua musica è tra le più originali degli anni ‘70 e ‘80 ed ha influenzato tutta la produzione musicale successiva. È la storia di una rinascita, di un’artista, di una madre, di una donna oltre la sua icona. La regista Susanna Nicchiarelli ha dichiarato: «Questa è la storia di Nico dopo Nico. Di lei di solito si parla solo in funzione degli uomini con cui è stata da giovane: Brian Jones, Jim Morrison, Bob Dylan, Alain Delon, Iggy Pop. Una volta in un’intervista lessi che “a 34 anni Nico era una donna finita”. Falso. Dopo l’esperienza con i Velvet Underground Nico diventa una grande musicista. Ho voluto raccontare la sua parabola al contrario: la perdita del consenso e il cambiamento della sua immagine, hanno significato la conquista della libertà. Di Nico mi sono innamorata anche per la sua ironia e credo, o spero, di aver raccontato la sua storia con la distanza e l’assenza di drammatici sentimentalismi con cui l’avrebbe  raccontata lei”.

Il primo dei film italiani in concorso nella sezione Venezia 74 “Una famiglia” di Sebastiano Riso con Micaela Ramazzotti, affronta da questa settimana il giudizio del pubblico dopo le proiezioni veneziane non del tutto applaudite specialmente quelle riservate alla stampa.

Vincent è nato cinquant’anni fa vicino a Parigi ma ha tagliato ogni legame con le sue radici. Maria, più giovane di quindici anni, è cresciuta a Ostia, ma non vede più la sua famiglia. Insieme formano una coppia che non sembra aver bisogno di nessuno e conducono un’esistenza appartata nella Roma indolente e distratta dei giorni nostri, culla ideale per chi vuole vivere lontano da sguardi indiscreti. In più, Vincent e Maria sono bravi a mimetizzarsi: quando prendono il metrò, si siedono vicini, teneramente abbracciati.

A volte cenano al ristorante, più interessati a guardarsi negli occhi che al cibo nei loro piatti. Quando tornano a casa, fanno l’amore con la passione degli inizi, in un appartamento di periferia che lei ha arredato con cura. Eppure, a uno sguardo più attento, quella quotidianità dall’apparenza così normale lascia trapelare un terribile progetto di vita portato avanti da lui con lucida determinazione e da lei accettato in virtù di un amore senza condizioni. Un progetto che prevedere di aiutare coppie che non possono avere figli. Arrivata a quella che il suo istinto le dice essere l’ultima gravidanza, Maria decide che è giunto il momento di formare una sua vera famiglia. La scelta si porta dietro una conseguenza inevitabile: la ribellione di Maria a Vincent, l’uomo della sua  vita. Micaela Ramazzotti, la protagonista Maria,  descrive così, con il consueto entusiasmo, l’ennesimo ruolo di donna (e madre) problematica: “Sembra non avere un passato. Vincenzo è il fidanzato, amico, padrone, carceriere. Rimane schiava del progetto che ha condiviso e accettato, non è innocente, ma succube tanto da diventare complice. Le madri che ho scelto di interpretare le ho scelte, volute; più sono disperate e disgraziate, più le voglio fare. Mi sento portavoce di queste donne, le voglio difendere, forse sono un po’ masochista. Questa madre bambina volevo farla a tutti i costi, lei che va in giro con il suo giubbottino di lana cotta rosa per proteggersi. Fin dalla prima scena si intuisce come mediti un piano di emancipazione, si vuole ribellare dopo essere stata complice, per scrollarsi di dosso il continuo alternarsi di sesso, gravidanza, vendita dei bambini; verso una rinascita. Sono sempre per queste donne, a me non piacciono le eroine”. “Esiste un mercato nero di bambini anche in Italia, come in molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo, che si tiene in piedi grazie a una fortissima richiesta.”dichiara il regista” Prova ne sono le numerose inchieste che si sono susseguite in questi ultimi anni dal Nord al Sud di Italia.” Per quanto ispirato ad una storia vera il film risulta talora ai limiti della credibilità ed anche il protagonista maschile, Patrik Bruel, fin troppo perverso, con la sua recitazione quasi assente non permette di comprendere le reali motivazioni dei suo comportamento.

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