Non solo Shoah

28gennaio 2017 da Aldo Zanchetta

Ieri 27 gennaio si è celebrata, come ogni anno, la Giornata della Memoria, di fatto estesa a più giorni con manifestazioni collaterali, dedicata alla Shoah, il terribile eccidio di milioni di ebrei da parte del regime nazista (e fascista) ma anche di altre realtà sociali quali ad es. i rom o gli omosessuali. Di fatto la centralità della memoria è imperniata sulle vittime ebraiche. Mi sento di dover esprimere qualche opinione che ad alcuni risulterà sgradevole.

  • Primo. Non mi pare negabile che questa celebrazione sia anche diventata funzionale allo Stato di Israele per far dimenticare le sue politiche razziste nei riguardi del popolo palestinese, e non solo. Di questo sono pochi a parlare.
  • Secondo. La celebrazione viene promossa da governi, fra i quali il nostro, le cui politiche sono chiaramente neo-coloniali (e il nostro ne abbonda con le vecchie e ora nuove ‘missioni umanitarie’ in due paesi africani, la Tunisia e il Niger, giunte al numero di 29 distribuite in 20 paesi), coperte da ipocrisie e retoriche irritanti. Ho espresso nei giorni scorsi il mio sdegno sul dibattito svoltosi alla Camera su queste missioni di fronte a un ridottissimo nucleo di deputati (una quindicina) che dimostra quale sia la sensibilità morale e la responsabilità politica dei nostri parlamentari. Dibattito conclusosi col solo voto contrario dei 5 stelle e di LeU. Da un lato celebriamo vecchi olocausti mentre dall’altro ne alimentiamo di nuovi.
  • Terzo. Come ricorda il testo dello storico Antonio Moscato dal titolo Memoria intermittente
    sotto riportato (utile per una riflessione personale e collettiva) il Presidente Mattarella, gliene diamo atto, ha scelto di celebrare la giornata con un discorso storicamente più corretto e con le presenza di rappresentanti anche di altre categorie allora perseguitate. Quando anni or sono, come incaricato delle attività della Scuola per la Pace della Provincia, chiesi di poter derogare dal programma della Giornata della Memoria imposto dalla Regione Toscana, inserendo nel ricorso oltre alle vittime  della Shoah (parzialmente indicate nei soli ebrei) altri casi eclatanti e attuali, mi fu risposto negativamente dall’allora assessore regionale alla Pace e alla Cooperazione che ribadì che la Giornata della Memoria era dedicata esclusivamente alle sole vittime ebree.
  • Quarto. Per inciso. In Yemen è in corso da anni, dimenticata, una delle repressioni più tragiche contro popolazioni civili, condotta da paesi ‘amici’ e con largo impiego di armi e munizioni italiane. Ma con la celebrazione della Shoah riteniamo di essersi ripuliti storicamente la coscienza e di non avere altre ‘pendenze’ morali da affrontare.

Memoria intermittente, di Antonio Moscato

La giornata della memoria come tutti gli anni è stata concepita con alcune caratteristiche che la rendono rituale e poco efficace nella spiegazione della tragedia dello sterminio. Prima di tutto nella maggior parte delle celebrazioni non si accenna neppure agli altri popoli finiti nei Lager nazisti, e in particolare ai rom o sinti, e ancor meno alle vittime del colonialismo europeo in Africa e nelle Americhe. Quest’anno eccezionalmente, sono stati invitati alla cerimonia commemorativa al Quirinale alcuni rappresentanti dei rom, ma senza alterare il messaggio principale della giornata, che è quello dell’eccezionalità della sorte riservata agli ebrei. Ad accennare ad altre tragedie che coinvolgono altri sventurati è stata per fortuna Liliana Segre, riferendosi a quelli che cercano di raggiungere l’Europa per sfuggire a condizioni insopportabili. La Segre, va detto, ha aggiunto che era colpita che lo stesso Stato che la aveva consegnata ai boia era quello che ora la nominava senatrice a vita. Un accenno che è sfuggito a molti, ma ha imposto al presidente Mattarella un discorso meno generico e più convincente di quelli a cui altri presidenti ci avevano abituato.

Nell’insieme delle celebrazioni locali, a cui negli anni di insegnamento ho spesso partecipato, avevo verificato che si ricorreva talvolta alla “testimonianza” non di veri sopravvissuti (anche perché sono ormai pochi) ma di esponenti della comunità ebraica più vicina, che a volte, oltre a ricalcare lo schema interpretativo israeliano classico sull’eccezionalità dello sterminio degli ebrei, minimizzavano la denuncia delle complicità di importanti settori dell’apparato statale italiano nella ricerca e nella consegna di ebrei ai nazisti. Mi riferisco non solo a polizia, carabinieri, guardie carcerarie, ma anche ai funzionari delle ferrovie impegnati nell’organizzazione delle partenze verso i campi di sterminio da binari riservati, come il famoso 21 della stazione di Milano Centrale, collocato nei sotterranei per effettuare l’imbarco sui carri merci lontano dagli occhi dei normali cittadini. Insomma, la “banalità del male” denunciata lucidamente da Hannah Arendt, in polemica con l’interpretazione prevalente nel processo ad Adolf Eichmann. E naturalmente penso anche a tutti quelli che in Italia collaborarono zelantemente col regime fascista anche negli anni precedenti ai rastrellamenti nazisti, sia nell’applicazione di norme razziste nei confronti delle popolazioni delle colonie (che precedettero di ben cinque anni le leggi antiebraiche), sia nell’isolare e magari rimpiazzare i pochi docenti universitari che nel 1931 preferirono perdere la cattedra piuttosto che giurare fedeltà a un regime di sopraffazione. [Su questo aspetto vedi qui].

Ma c’è un altro aspetto che viene dimenticato: lo sterminio degli ebrei fu possibile per la complicità di molti governi “democratici”, in primo luogo evitando fino alla fine della guerra di denunciare lo sterminio in atto, di cui sia funzionari della Croce rossa, sia sacerdoti cattolici polacchi avevano dato notizie precise tempestivamente attraverso il Vaticano e il governo svizzero. Ne avevano parlato sia Walter Laqueur, Arthur Köstler ed altri, sia un importante saggio di pochi anni fa di Theodore S. Hameron, Perché l’Olocausto non fu fermato. Europa e America di fronte all’orrore nazista, Feltrinelli, Milano, 2010, che in cinquecento pagine riporta molte testimonianze e un’interpretazione sconvolgente: dopo l’arrivo di Hitler al potere, e soprattutto per effetto della grande Depressione, anche in Germania e soprattutto nei paesi dell’Europa Orientale (Polonia, Paesi Baltici, Ungheria e perfino la Cecoslovacchia, ancora guidata dalle sinistre) cresceva l’antisemitismo di una parte degli strati popolari. D’altra parte negli stessi anni Henry Ford distribuiva ai suoi operai il famoso falso della polizia zarista, I protocolli dei savi di Sion. Si veda una recentissima ricostruzione della vicenda di quel libro infame: http://www.storiastoriepn.it/i-protocolli-dei-savi-anziani-di-sion/

Di conseguenza anche il governo degli Stati Uniti pur diretto da Roosevelt sinceramente convinto di dover arrivare a un conflitto con Giappone e Germania, aveva bloccato le immigrazioni ebraiche (nel quadro di una riduzione più generale delle quote di immigrazione dovuta alla crisi). Fino al 1933 le correnti migratorie ebraiche che provenivano dai paesi più deboli e più colpiti dalla crisi, si erano dirette soprattutto in Germania, e ora puntavano sulla Francia o la Gran Bretagna, ma le forze di governo in quei paesi, pur denunciando l’antisemitismo hitleriano, rifiutavano di accogliere profughi ebrei, per “non rafforzare i pregiudizi antisemiti della popolazione”. Lo stesso farà la Svizzera, che accoglierà solo una piccola parte dei richiedenti asilo di origine ebraica, selezionando quelli più ricchi e ed escludendo quindi la massa degli ebrei dell’Europa Orientale, troppo visibili per l’abbigliamento, la pronuncia, la povertà. Particolare abietto, molti dei rifiutati avevano un conto in Svizzera in cui in tempi migliori avevano depositato i loro risparmi, e sarà necessaria una lunga controversia giudiziaria per far riconoscere ai discendenti superstiti il diritto a recuperare in parte le somme incamerate dalle banche. Lo aveva denunciato il deputato svizzero socialista Jean Ziegler in uno dei suoi coraggiosi libri.

Gran parte dei morti nelle camere a gas avrebbero potuto essere salvati, se non fossero stati respinti da una parte all’altra di un confine: ad esempio migliaia di ebrei polacchi che si trovavano in Germania furono respinti verso la Polonia tra il 1937 e il 1938, e rinchiusi in campi provvisori al confine, come i migranti di Calais o di tanti altri accampamenti di oggi. La responsabilità non era solo della Germania e della Polonia (che non era meno antisemita) ma di tutti i paesi che dicevano di essere democratici e denunciavano il nazismo e l’antisemitismo, ma non mossero un dito per salvare quegli sventurati, per timore di portare acqua al mulino della propaganda nazista. Ma si arrogarono poi il diritto, a guerra finita, di appoggiare il progetto di Stato Sionista facendo pagare ai palestinesi colpe che erano non solo della Germania nazista ma di tutti gli stati democratici che avevano chiuso le porte in faccia al 90% degli ebrei richiedenti asilo. Ma questa è altra storia, di cui abbiamo parlato spesso e che ci è stata ricordata poco fa da un bel testo di Gilbert Achcar: Achcar: all’origine del progetto sionista. E sul fascismo, che era difficile affrontare in questo spazio, non posso che rinviare a un mio testo che avevo quasi dimenticato: Fascismo vecchio e nuovo.

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