The Waterboys a Peccioli – Report e photogallery

Il ritorno di Mike Scott e soci con un concerto potente e sanguigno

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15 Luglio 2025, di Michele Faliani

So che interessa a praticamente nessuno, ma quando alla fine del liceo giravo con la mia 2 Cavalli rosso fiammante e tettino rigorosamente aperto (ovviamente d’estate), erano gli anni in cui un certo gruppo irlandese, chiamato U2, aveva da poco iniziato la propria collaborazione con Brian Eno. “The unforgettable fire” era ancora estremamente presente nei miei ascolti, e “The Joshua Tree” lo sarebbe stato anche di più. L’Irlanda cominciò a diventare un sogno, tanto da diventare la meta del primo Interrail poco tempo dopo, e qualsiasi band arrivasse da lì diventava immediamente preda degli ascolti miei e dei amici. I Clannad, i Boomtown Rats di Bob Geldof, gli An Emotional Fish. Immaginate cosa successe quando un amico si presento con i primi album dei Waterboys, un gruppo scozzese che faceva rock con forti influenze di folk irlandese. Fu amore a prima vista, e canzoni come “A girl called Johnny” cominciarono ad uscire dalle casse della mia 2CV con una frequenza da ascolto compulsivo. Poi, se devo essere sincero, verso la metà degli anni 90, in contemporanea allo scioglimento del gruppo, i Waterboys sparirono dai miei ascolti, per rientrarci solo più recentemente con le ristampe monumentali dei primi dischi, ed anche con l’ultimo lavoro in studio “Life, death and Dennis Hopper”. Comunque, l’altra sera mi sono recato a Peccioli (a proposito, che paesino incantevole) con molti dubbi. Pensavo a uno dei soliti ritrovi fra vecchietti nostalgici, con la ‘solita band con il solo cantante come superstite della formazione originale’ da reparto geriatrico a timbrare il cartellino. Quanto mi sbagliavo. A parte la grandissima emozione di riascoltare la canzone di cui parlavo qui sopra, e della quale mi sono ricordato TUTTE le parole del testo, ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto vero, potente, sanguigno. Un quintetto di musicisti affiatatissimi che hanno tenuto in pugno un migliaio di persone per novanta minuti stecchiti bis compresi, senza un attimo di pausa o di calo di tensione, che si può permettere di iniziare il concerto con una bomba atomica come “Be my enemy”. Pochi brani dal nuovo album (anzi, a pensarci bene solo uno), a sorpresa pochi anche da Fisherman’s blues, una sorta di Greatest Hits della band e tanto rock’n’roll, con tanto di keytar in un paio di brani (“Ladbrake” e “Glastonbury song”), tanto sudore, tanta bellezza. E addirittura due cover inaspettate, entrambe bellissime, entrambe applauditissime.
Ho incontrato parecchia gente che conoscevo, alla fine del concerto, che magari mi aveva visto e sentito passare con la macchina scoperchiata mentre suonavo “A girl called Johnny” a tutto volume ma che all’epoca non conoscevo. Tutti un po’ sudati, tutti un po’ invecchiati, ma tutti contenti di aver assistito a un’ora e mezzo di appuntamento con la storia del rock.

Grazie a Il Post per l’ospitalità

 

La scaletta del concerto:

1. Be My Enemy
2. Medicine Bow
3. Ladbrake
4. A Girl Called Johnny
5. Glastonbury Song
6. How Long Will I Love You?
7. The Tourist
8. When Ye Go Away
9. This Is the Sea
10. Easy Rider
11. The Pan Within
12. Knockin’ on Heaven’s Door (Bob Dylan cover)
13. Fisherman’s Blues
14. In My Time on Earth
Encore:
15. The Whole of the Moon
16. Purple Rain (Prince cover)

 

La photogallery del concerto:

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