ADOLESCENZA E SPORT: Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza è caratterizzato dall’uccisione simbolica del bambino interiore, ovvero dalla ricodifica, attraverso momenti rituali, di una serie di atteggiamenti che fanno comprendere al giovane l’importanza di tentare di essere significativo in un mondo non più caratterizzato dalla protezione familiare.

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14luglio2014 Di lamberto Giannini

Le fasi fondamentali dell’esistenza sono sempre state caratterizzate, in tutte le culture, da “riti di iniziazione” o transizione la cui funzione era, da una parte, selezionare gli individui che avessero le capacità e le caratteristiche per poter sostenere la nuova fase dell’esistenza, dall’altra rendere meno traumatico l’avvio verso un nuovo stile di vita. Oggi non si avverte più la mancanza di riti selettivi; è vero, però, che non marcare, come un tempo,  i passaggi dell’esistenza, cosa che purtroppo sta avvenendo nella nostra società, impedisce ai giovani di esprimere le loro emozioni per il timore di non essere capaci di contenere il materiale esistenziale che emerge.

E’ particolarmente difficile per gli adolescenti, infatti, riconoscere e vivere le emozioni. Sarebbe invece necessario che i giovani fossero educati ad “emuovere”, esprimendo la rabbia o la malinconia con un linguaggio teatrale e poetico in grado di rivelare la meraviglia e la straordinarietà del loro mondo. A questo proposito lo sport può aiutare gli adolescenti ad esprimere le proprie emozioni attraverso il mantenimento del rapporto col gioco e quindi con la ludicità dell’infanzia. Il gioco sportivo ricollega la dimensione antropologica a quella magica; esso infatti risponde all’esigenza triadica della personalità, Io, Es, Super-Io, intervenendo sulla creatività, sulla narrazione di sé e sul senso civico e rispondendo, in questo modo, alle esigenze di tutti i luoghi della psiche umana col favorire il senso ed il fascino del limite.

adolescenza e sportLo sport è un gioco nel senso di “mettersi in gioco”, ovvero scoprire quel margine di se stessi che consente di evadere dall’insopportabile nebbia della realtà per entrare in una dimensione magica dove è possibile dare espressione a parti di sé ancora sconosciute. Lo sport è un linguaggio che aiuta il bambino e l’adolescente a disvelarsi attraverso i veicoli della socializzazione, della lucidità e dell’agonismo, tre elementi fondamentali per la strutturazione della personalità in età evolutiva. La socializzazione aiuta il soggetto a staccarsi dalla famiglia per affrontare il mondo attraverso un centro di interesse mediante il quale confrontarsi col mondo dei pari. Lo sport è un veicolo di emotività sia collettiva che individuale: a livello personale, infatti, le emozioni dell’attesa, del successo, della sconfitta,mettono in contatto il soggetto con la propria interiorità. E’ vero che, oggi sempre di più, il bombardamento mediatico spinge a ritenere legittima l’emozione soltanto di chi si afferma, creando nei ragazzi aspettative di successo che potranno essere probabilmente deluse: la frustrazione che ne deriva induce così a desertificare le emozioni collegate al gioco sportivo.

Lo sport, quindi, in quest’ottica,rimanda un messaggio antietico, per cui ha sempre ragione chi vince in quanto la vittoria elimina il negativo precedente mentre la sconfittail positivo. Tuttavia nello sport è comunque possibile trovare dei significati ed un’opportunità per comunicare: lo sport libera le emozioni perché il ragazzo racconta chi è, si esprime, fa affiorare la sua fantasia ed acquisisce consapevolezza dei suoi limiti. L’aggressività agonistica porta, inoltre, l’io a sperimentarsi nei confronti di se stesso e dell’altro da sé; specialmente negli sport di squadra, infatti, si fa parte di un gruppo che ha la funzione di aiutare il soggetto a dimensionare lo specchio sociale nel quale riconoscersi come “non solo al mondo” perché gli altri condividono le stesse gioie ed i medesimi drammi. Inoltre lo sport vive di regole dotate di significato ed insegna anche ad avere un rapporto con chi le fornisce, ad esempio l’arbitro. Lo sport, quindi, rafforzal’identità di chi lo pratica, sia a livello individuale che di gruppo. E’ un luogo di concentrazione di sé, dimensiona, perché i gesti del corpo possono essere interpretati come codici per stare al mondo. Un adulto significativo a cui i giovani si riferiscono spesso è sicuramente l’allenatore, una figura che diventa a volte mitica a volte castrante.

istruttori sportiviTalvolta, però, gli istruttori sportivi non vengono formati all’ascolto dei bisogni dell’adolescente e neppure a lavorare sul proprio vissuto emotivo per assumere in modo appropriato il ruolo di adulti significativi. Sarebbe importante invece che gli adolescenti in questo contesto non trovasseroinvece intorno a sé allenatorianti-patici nel senso di anti-pathos, cioè senza passione, ma figure abituate a lavorare sul proprio vissuto emotivo e formate all’ascolto.L’adulto significativo- genitore, insegnante o allenatore che sia- deve fornire all’adolescente una serie distrumenti per affrontare il mondo derivanti dai valori fondanti della propria personalità. Il sistema valoriale non può essere, tuttavia, trasmesso in modo acritico come unico ed assoluto, con l’utilizzo di meccanismi demagogici e retorici per persuadere il giovane che quellasostenuta sia l’unica lettura possibile della realtà.Lo sport è, inoltre, un veicolo di emotività collettiva che è diventato, nel ventesimo secolo, uno strumento fondamentale per la politica e la propaganda. Questa visione ha contribuito a fare acquisire allo sport, nella Seconda Metà del XX secolo, una prevalenza sociale rispetto ad altri linguaggi creativi, come la musica o il teatro, con i quali il soggetto scopre caratteristiche di sé attraverso l’emozione.

Se vogliamo farepedagogia dello sport  pedagogia dello sport non possiamo, quindi, non partire dal fatto che lo sport abbia sostituito l’imperialismo coloniale nel momento in cui questo è entrato in crisi. Basti pensare a come i Mondiali di Calcio e le Olimpiadi riescano a richiamare un’attenzione di altissimo livello da parte dell’opinione pubblica ed a coinvolgere milioni di persone imponendo spesso un falso sentimento di identità nazionale. Questo non è naturalmente un elemento di per sé negativoma permette di comprendere quanto lo sport possa essere utilizzato come momento di strumentalizzazione politica.

sport e fascismoPensando alle Olimpiadi, per esempio, non si può naturalmente non evidenziare l’importanza dei Giochi di Berlino del 1936, organizzati da Hitler per mostrare la potenza del Terzo Reich. Tuttavia, l’uso maggiore della propaganda sportiva si è sviluppato parallelamente alla Guerra Fredda. Visto che non era  realisticamente possibile lo scoppio reale del conflitto bellico, lo sport divenne uno degli elementi principali, oltre alla conquista dello spazio, per tentare di dimostrare la supremazia di un blocco su un altro. Gli Usa, per questo, aumentarono i guadagni degli atleti che, grazie ai mezzi di comunicazione, divennero dei veri e propri eroi nazionali amplificando in questo modo la pratica sportiva, mentre nei paesi “oltrecortina” vennero costruite vere e proprie Scuole dello Sport, la più famosa delle quali era quella di Berlino Est, dove gli atleti venivano sottoposti a massacranti allenamenti e terapie farmacologiche ed ormonali, specialmente le donne, con risultati sportivi eccezionali ma danni incalcolabili a fine carriera. Alle Olimpiadi di Monaco del 1972 fu memorabile la finale di Basket dove, dopo il suono della sirena che segnalava la fine dell’incontro, gli Americani si trovavano davanti all’Unione Sovietica di un solo punto ma, a causa di un errore dei cronometristi, si fecero recuperare una manciata di secondi comunque sufficienti a ribaltare la situazione a favore degli atleti sovietici. L’influenza della Guerra Fredda fu chiara durante la premiazione, quando gli atleti americani rifiutarono con disprezzo la medaglia d’argentoma ancor più eclatanti furono le manifestazioni post-partita di molti comunisti nei paesi occidentali.

Sono, inoltre, ormai entrate nell’immaginario collettivo le immagini olimpiche che hanno dato forza al movimento di emancipazione della popolazione di colore negli Usa: si tratta della premiazione dei 200 metri di atletica leggera alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, quando i due atleti americani di colore, Tommy Smith e John Carlos, rispettivamente medaglia d’oro e di bronzo, durante l’inno americano alzarono il pugno sinistro chiuso, con guanto nero, ed abbassarono la testa per non guardare la bandiera a stelle e strisce. Solo le Olimpiadi potevano dare tanta risonanza alla problematica emancipazionista dell’epoca.

Cassius ClayTuttavia nella Seconda Metà del Novecento, da un punto di vista storico-sportivo, non dobbiamo sottolineare solo lavalenza socio-politica delle Olimpiadi. Mitica è divenuta la figura di Cassius Clay, il più grande pugile di tutti i tempi divenuto un’icona per molte battaglie civili e politiche. Nel 1967, sorprendendo il mondo, si rifiutò di andare a combattere in Vietnam e per questo si vide togliere la corona dei pesi massimi oltre a ricevere l’inibizione a combattere per tre anni. Questo gesto, anziché portarlo nel dimenticatoio, come ipotizzava il governo Usa, fece diventare Clay un mito per le neonate rivolte giovanili e per l’emancipazione razziale. Nel 1974 il pugile della Lousiana riconquistò il titolo ma si trattò di un evento prevalentemente di carattere politico: per la prima volta il campionato mondiale dei pesi massimi non si svolse negli USA ma addirittura in un paese islamico, lo Zaire, ex Congo Belga. Infatti Clay, che si era ribattezzato Moumhad Ali, aveva abbracciato il Corano e voleva combattere nella terra dalla quale erano stati prelevati gli schiavi dai colonizzatori europei, decisione che rese il pugile un mito per tutta l’Africa nera.

Mobutu, presidente e fondatore dello Zaire, realizzò strumentalmente una grande campagna pubblicitaria politico-religiosa facendo concentrare l’opinione pubblica locale ed internazionale sull’evento e facendo passare in secondo piano i caratteri violenti del suo regime. L’esempio di Clay risulta pertanto emblematico per dimostrare come i personaggi sportivi di successo possano arrivare ad assumere, più o meno consapevolmente, il ruolo di adulti significativi simbolici, perché, pur non potendo i giovani stabilire con essi una relazione concreta, rappresentano, con le loro gesta eclatanti, dei punti di riferimento ideali.

Tale aspetto di mitizzazione del personaggio pubblico, sportivo, cantante o politico che sia, presenta, però, oltre ad una valenza positiva, anche un risvolto negativo; spesso, infatti, tali miti possono essere creati ad arte dal marketing pubblicitario e le gesta, di per sé banali, di figure rese celebri non dai valori perpetrati ma da un ingaggio strepitoso o da atti trasgressivi compiuti col solo scopo di attirare l’attenzione venire esaltate oltre misura per irretire i giovani con uno scopo puramente consumistico.

 

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