Il biennio rosso a Livorno 1919-1920: gli scioperi e la violenza contro gli operai.

L’avvento della amministrazione socialista nel Comune di Livorno è preceduta da un periodo di forti agitazioni di piazza in cui esplodono i contrasti sociali ed economici.

16novembre 2014 di Paola Ceccotti

mercato centrale antico di livornoIl 5 luglio 1919 iniziarono i moti del caroviveri quando giunsero le notizie delle agitazioni in corso ad Ancona e Firenze e in Liguria. Il movimento si tradusse nell’assalto e nel saccheggio di negozi dove la merce aveva subito un rilevante aumento di prezzo, sembra che la scintilla fu data dall’assalto ad un negozio di calzature in centro; le scarpe erano tra gli articoli che avevano avuto gli aumenti più considerevoli.

I negozianti reagirono chiudendo le botteghe; la Camera del Lavoro dovette intervenire coordinando e regolando la requisizione delle merci, trasportate in posti di raccolta come il Mercato e il Teatro S. Marco, per essere poi vendute ma con prezzi calmierati, fornendo ai negozianti comunicazioni da affiggere nei loro negozi, che la merce era sotto il controllo della CdL al fine di proteggerli dalla esasperazione popolare; il Comune emanò in tal senso un’ordinanza che stabilì la riduzione dei prezzi del 50/70 per cento.[1]

Mentre i moti per il caroviveri esplosero in maniera spontanea, lo sciopero indetto nello stesso mese di luglio a solidarietà e sostegno del proletariato internazionale con le rivoluzioni di Russia e Ungheria, fu  programmato e organizzato in modo che potesse avere una stessa direzione politica ed essere simultaneo sul territorio nazionale.

Quello del 20-21 luglio fu il primo sciopero generale del dopoguerra dal carattere potenzialmente rivoluzionario.

Già il 2 luglio il Prefetto di Livorno comunicava al Ministero dell’Interno di aver disposto la più accorta vigilanza, chiedendo conferma che l’organico dell’Arma fosse mantenuto al completo, per scongiurare il pericolo di sommossa in una città conosciuta come sovversiva:

prefettura antica di livorno “Devesi poi tenere presente che Livorno conta oltre centocinquemila abitanti tutti rinchiusi nel ristretto territorio della città, che si tratta di una popolazione impulsiva e facile a trascendere, che vi sono oltre ventimila operai, che vi è una Camera di Lavoro in piena balia degli estremisti, che vi è un partito di anarchici numeroso e vi sono associazioni, sodalizi e partiti in contrasto tra loro per fini e tendenze diverse, e che anche all’isola d’Elba, vi sono due centri con masse operaie numerose, uno minerario in quattro comuni dell’isola e l’altro metallurgico negli alti forni di Portoferraio…”[2]

Il 1920 iniziò percorso da fermenti rivoluzionari; a partire da gennaio si susseguirono lo sciopero dei postelegrafonici, le agitazioni dei tranvieri, dei ferrovieri, degli edili, dei barbieri, dei tipografi, dei portuali. Nel mese di maggio si ebbero gli scontri più intensi, prendendo le mosse dai fatti di Viareggio, in cui nel corso di incidenti era stato ucciso un lavoratore da parte dei carabinieri.

biennio rosso a livornoA seguito di questi avvenimenti il 4 maggio a Livorno ci fu uno sciopero spontaneo che poi prese la forma di una rivolta con il saccheggio delle armerie del centro. I carabinieri allora aprirono il fuoco; rimase ucciso Flaminio Mazzantini un falegname iscritto al partito socialista. La Camera del Lavoro proclamò la sera stessa uno sciopero che si svolse compatto il giorno 6 con grande partecipazione di folla.

Nell’agosto in seguito al mancato accoglimento delle richieste della Fiom, tra cui quella di incrementi salariali per far fronte all’aumento del costo della vita, e alla reazione padronale di chiusura degli stabilimenti, fu decisa l’occupazione delle fabbriche a partire dagli ultimi due giorni di agosto.

cantiere navale livornoIl 2 settembre il prefetto scriveva che al Cantiere Orlando e negli stabilimenti Soc. metallurgica, Gallinari, Vetrini, Bossoli, Martelli e Parodi erano state issate le bandiere rosse e gli operai avevano sospeso il lavoro occupando gli stabilimenti, operai con bracciali rossi facevano guardia agli ingressi.

In tutto si trattava di undici stabilimenti occupati, ed altri si sarebbero aggiunti, la quasi totalità di quelli metallurgici livornesi. La bandiera rossa con lo stemma dei soviet fu innalzata sulle fabbriche occupate.[3]

[1] Queste notizie in L. Tomassini, Il Biennio Rosso,  AA.VV. Le Voci del lavoro

[2] Gab. Prefettura Li nota n. 1877 del 2 luglio 1919

[3] L. Tomassini, op. cit.

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