Intervista ad Alberto Prunetti. “Amianto, una storia operaia” pisornese.

prunettiAbbiamo posto alcune domande a Alberto Prunetti, autore dell’opera di narrativa “Amianto, una storia operaia”, di ambientazione decisamente “pisornese”, visto che il racconto rimbalza spesso tra Piombino, Rosignano Solvay e Livorno.

Il libro racconta la vita del padre dell’autore, un saldatore e coibentatore livornese morto dopo una lunga esposizione professionale all’amianto, seguendone i percorsi attraverso le acciaierie e i cantieri industriali di mezza Italia.

12ottobre 2014 di Luca Stellati

Una cosa che colpisce chi legge il tuo libro è il continuo cambio di marcia tra umorismo e tragedia, tra lacrime e riso. Vuoi parlarne?

Ho cercato di mettere assieme la greve serietà del maremmano con l’umorismo corrosivo del livornese. L’umorismo serve per coibentare il dramma della storia che racconto. Serve a isolare quel terribile isolante che era l’amianto: proteggeva dal fuoco eppure ha bruciato tante vite umane e continua lentamente a assassinare centinaia di persone ogni anno in Italia. Eppure non volevo scrivere un “mattone”: cercavo di riscattare la memoria operaia e popolare della costa dell’Etruria e la comicità in questo senso è l’ingrediente principale del racconto.

Quanto alla localizzazione geografica, è molto “pisorniana”, scorrendo lungo la via Aurelia dalla Maremma grossetana fino a Livorno per poi salire più a nord.

Sono nato a Piombino, vicino alle acciaierie. Ogni finesettimana da piccolo con babbo andavamo a vedere le partire del calcio di seconda categoria della provincia di Livorno e di Pisa: Guasticce-Tuttocalzatura, Ponsacco-Cantiere Orlando… non proprio la Champions, insomma. E poi andavamo dai nostri parenti a Solvay e da lì ci scappava spesso uno spaghetti-western in un cinema di Livorno. La mia famiglia dal lato paterno ha origini poi nella zona mineraria all’interno della province di Pisa e di Livorno, nella Pomarance segnata dagli scavi minerari della Montecatini. Nonno si spostò prima a Casale Marittimo, dove nel 1945 nacque mio padre, e poi a Rosignano Marittimo e infine a Solvay: era un muratore e lo sviluppo della città fabbrica significava pane, per lui. La conquista del pane ha poi spostato mio padre prima verso l’Alta Maremma, poi a nord.

La geografia del libro è comunque più vasta, infatti…

prunetti tessera acciaierie terniSì, c’è tanta Liguria e Piemonte, le raffinerie liguri, il triangolo industriale… e poi Terni, Taranto, Siracusa. Perché mio padre era un operaio trasfertista e si spostava dopo 4-5 mesi in un nuovo cantiere. Ti dirò: a casa la lettera R della rubrica telefonica è piena di numeri telefonici di trattorie. Quando non c’erano i cellulari, gli operai trasfertisti lasciavano alle mogli i numeri di telefono delle locande e degli alberghi in cui mangiavano e dormivano.

E’ attraverso questa rubrica che ho ricostruito tanti spostamenti di mio padre come operaio manutentore. Questo per dirti che non mi sono sorpreso troppo quando qualche tempo fa è uscita sui giornali una lista dei dieci siti industriali più inquinati e pericolosi d’Italia. Ho controllato sull’agenda. La pagina “R di Renato” della rubrica telefonica di mia madre aveva già preparato quella classifica. Su dieci siti, lui aveva lavorato in otto: la classifica stava già a casa mia, prima di finire sui giornali.

“Amianto” lega la storia degli operai del passato con quella dei precari dei nostri giorni, mettendo assieme padri e figli. E’ questo il nodo principale del tuo romanzo, secondo me. Sei d’accordo con quest’idea?

Sì. Il libro lega due generazioni: niente guerra tra poveri tra padre e figlio, come vorrebbero certe retoriche tossiche che contrappongono “padri garantiti” a “figli precari”. Il libro lega la storia del padre e del figlio, dell’operaio (presunto) garantito e del precario (presunto) cognitivo. Perché la sconfitta dell’uno è la chiave per comprendere il precariato dell’altro. E’ sconfiggendo i padri che è stato possibile precarizzare i figli. Il figlio dell’operaio diventa un lavoratore intellettuale nel momento in cui i cognitivi sono trasformati in operai della conoscenza: non è col lavoro che si esce dalla subalternità di classe, insomma, né con gli studi. E infatti il figlio si ritrova a lavorare come il nonno muratore: senza contratti, fa il cottimista, ovvero traduce a cottimo, contando byte e battute sulla tastiera, fino a prendersi una tendinite ai polsi. E allora scrive contro i bastardi, contro chi ci ha fatto credere al miracolo economico, all’ascesa di classe, al successo delle nuove professioni cognitive. Il libro è insomma la storia di un’ingiustizia.

prunetti amiantoMa non rimane al lettore l’idea di una sconfitta…

Meglio sconfitti che svenduti, in ogni caso. Comunque no, non volevo svendere la mia storia, non volevo offrirla su un piatto agli appetiti facili di chi ha bisogno di vedere gli operai rassegnati, umiliati, a testa bassa. In Amianto scaglio maledizioni e indico i padroni col loro nome. A chi cerca sottomissione, dico che in Amianto troverà orgoglio. E chi cerca vittimismo, troverà sorrisi e sberleffi. Non a caso il libro si chiude con una sorta di resurrezione cinematografia della classe operaia: tornano con gli occhi di ghiaccio come in un western crepuscolare, i miei operai, e scatenano l’inferno attorno a loro.

AMIANTO, UNA STORIA OPERAIA è stato ristampato di recente dalla casa editrice Alegre in una nuova edizione.

Alberto Prunetti presenterà il suo libro mercoledì 15 ottobre alle ore 18, presso il Cinema Teatro Lux di Pisa, in Piazza Santa Caterina 6.

 

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