Lettera di Jacopo, condannato No Tav: “ne è valsa la pena”

Image and video hosting by TinyPicPubblichiamo una lettera di Jacopo, No Tav condannato a due anni di carcere dalla corte d’appello del Tribunale di Torino per le giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011. Jacopo, ricercatore presso la Facoltà di Fisica, è ai domiciliari dal mese di marzo per altro procedimento No Tav.

18 novembre 2016 da No Tav

Alla fine si è chiuso l’appello del maxi-processo ai No Tav e mi ritrovo con una condanna a due anni a cui si andrà ad aggiungere una somma di denaro più elevata del reddito annuo della maggior parte delle persone che conosco. C’è chi ha avuto condanne più pesanti, chi meno e chi è stato assolto (a dir la verità pochi).

Hanno detto che andavamo condannati perché non abbiamo mostrato segni di pentimento. Di conseguenza non si sono neanche impegnati granché a dimostrare quali siano state effettivamente le nostre condotte materiali. I fatti sono stati sostituiti dai fantasmi: l’opposizione ad una decisione dello Stato (presa da chi? Quando? chi è lo Stato?), il pericolo di escalation di violenza a.k.a le FARC in Val Susa (…), la Libera Repubblica della Maddalena, pericolosa perché “territorio sottratto al controllo dello stato”. Il maxi-processo è stato caricato più che altro di valore simbolico e politico: andavamo condannati per intimorire, per dimostrare a tutti che ribellarsi non è consentito – o, almeno, non tanto da rischiare di cambiare effettivamente le cose. D’altronde, con il TAV, non si parla di bruscolini, ma di miliardi di euro di denaro pubblico da spartirsi: non è un tema su cui vogliono che una popolazione determinata e ben informata possa mettere bocca.

Non mi sono pentito – non ci siamo pentiti – di niente.

Se ripenso alle due grandi giornate messe sotto accusa durante questo processo, se guardo al passato, al presente e al futuro del movimento No Tav non posso che essere orgoglioso di averne condiviso una parte, anche quando diventa più difficile. Perché è proprio questo che ha dato veramente fastidio ai magistrati, ai politici e tutta la banda loro. Avrebbero voluto insegnarci, con anni di carcere, chi tra di noi è tra i cattivi (e i cattivissimi), chi tra i buoni.

  • Eppure noi ci riconosciamo tra pari in una comunità in lotta, saldando dei legami che sono più forti delle loro condanne. Avrebbero voluto insegnarci a badare ai fatti nostri, a pensare esclusivamente alla nostra sopravvivenza individuale, a non alzare lo sguardo oltre la fatica quotidiana di sopravvivere tra lavoro e sfighe varie, a rimanere atomi solitari in competizione tra di loro. Perché le decisioni, quelle che influenzano la vita di tutti, le prendono altri, possibilmente senza discussioni.
  • Eppure abbiamo scoperto che, insieme, possiamo mettere in crisi quei meccanismi del potere che siamo stati abituati a subire nell’impotenza. Abbiamo scoperto la bellezza e la profonda dignità di mettere il nostro tempo, le nostre capacità e, all’occorrenza, la nostra libertà al servizio di qualcosa più grande di noi: qualcosa che va costruito insieme, qualcosa per cui bisogna lottare.

Questa condanna me la porterò con orgoglio e dignità. Ne è valsa la pena.

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