Nel film “Il labirinto del silenzio”. Il giorno della memoria ed una riflessione sul negazionismo

giornata-della-memoriaSi avvicina la data dedicata alla commemorazione dell’olocausto e dovunque vengono riproposti documentari, interviste, film

Auschwitz17gennaio 2016 di Donatella Nesti

Una data che serve a ripensare il passato ed a riflettere sul presente, a combattere il negazionismo, a contrastare il rinascere di un assurdo pericoloso antisemitismo.

Chiunque dovrebbe, una volta nella vita, fare un viaggio ad Auschwitz in qualsiasi stagione e con qualunque temperatura per rendersi conto dal vivo il dramma di milioni di persone. Ci sono andata l’estate scorsa con una temperatura intorno ai 38 gradi e tuttora non riesco a descrivere quello che ho visto e quello che ancora sento.

In questo mese usciranno due nuovi lungometraggi sull’argomento “Il figlio di Saul” candidato all’Oscar e “Il labirinto del silenzio” dell’italo-tedesco Giulio Ricciarelli. Quest’ultimo è ambientato nella Germania del 1958 durante la  ricostruzione ed il  miracolo economico.

Il labirinto del silenzio.Il protagonista del film  Johann Radmann (Alexander Fehling) è stato recentemente nominato Pubblico Ministero e, come tutti i novizi, si deve accontentare di occuparsi dei verbali automobilistici. Un giorno, il giornalista Thomas Gnielka (André Szymanski) causa un gran trambusto in tribunale, Radmann lo ascolta con interesse: un amico di Gnielka avrebbe riconosciuto un insegnante, che secondo lui sarebbe un’ex guardia di Auschwitz, ma nessuno è interessato a perseguirlo legalmente.

Contro il volere del suo diretto superiore, Radmann inizia ad esaminare il caso, e così cade in una rete di repressione e negazione, ma anche di idealizzazione. In quegli anni, “Auschwitz” era una parola che alcune persone non avevano mai sentito pronunciare, mentre altri volevano solo dimenticarla il più presto possibile. Solamente il Pubblico Ministero Generale, Fritz Bauer (Gert Voss), incoraggia la curiosità di Radmann; lui stesso, da tutta la vita, spera di riportare all’attenzione pubblica i crimini commessi ad Auschwitz, ma gli mancano i mezzi legali per un’azione penale.

Quando Johann Radmann e Thomas Gnielka trovano dei documenti che riconducono ai colpevoli, Bauer si rende conto immediatamente di quanto siano esplosivi e affida ufficialmente il caso a Radmann. Il giovane Pubblico Ministero si dedica anima e corpo al suo nuovo incarico ed è deciso a scoprire cosa sia davvero accaduto all’epoca. Interroga testimoni, passa al setaccio gli archivi, raccoglie le prove e si immerge talmente a fondo nel caso da dimenticarsi qualsiasi altra cosa, anche di Marlene Wondrak (Friederike Becht), della quale si è perdutamente innamorato. Radmann supera ogni confine, tralascia gli amici, i colleghi e i suoi alleati, e viene inghiottito in un labirinto di bugie e di sensi di colpa, alla disperata ricerca della verità. Quello che scoprirà alla fine, cambierà il paese per sempre…

Il regista Ricciarelli ha dichiarato:

Il labirinto del silenzio Giulio Ricciarelli.“Non riuscivo a credere che molti tedeschi alla fine degli anni ‘50 non avessero mai sentito parlare di Auschwitz. E’ stato solo nel corso delle mie ricerche che sono arrivato alla conclusione che era davvero così. Da ragazzo, ho sempre avuto l’impressione che il periodo nazista fosse stato ampliamente studiato e trattato in Germania, dopo il 1945, attraverso le lezioni di storia, e una gran varietà di pellicole e di visite ai campi di concentramento. Ma la verità è questa: dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, per molti anni, si è tralasciato di parlarne in modo esauriente; piuttosto, c’è stato un tentativo di far calare il silenzio su un passato oscuro. Era un capitolo di cui semplicemente non si parlava. Né si parlava dei colpevoli, o delle vittime. Ovviamente c’erano delle persone che sapevano di Auschwitz, ma la maggior parte dei tedeschi ne ignorava l’esistenza. L’argomento avrebbe continuato a essere occultato se quattro coraggiose persone – un Pubblico Ministero Generale e tre giovani pubblici ministeri – non avessero superato molti ostacoli, dando il via libera al Processo di Francoforte.”

Un processo che nel 1963, in piena ripresa economica e voglia di divertirsi, costò 5 anni di ricerche, durò 20 mesi, imputati 22 ufficiali SS, 183 udienze, 17 condannati, 6 all’ergastolo. Purtroppo Mengele sfuggì alla cattura e, per Radmann Mengele divenne un’ossessione, sapeva  che viveva in Sudamerica, indisturbato, sotto falso nome. Troppo protetto ovunque, nessuno lo voleva libero di parlare dei suoi orrendi segreti e si pensa che sia morto in Brasile nel 1979. Bravissimo il giovane protagonista che impersona l’eroe romantico che non si arrende davanti a nulla trasmettendo alle giovani generazioni l’importanza della verità ed il coraggio di sottrarsi all’obbedienza,  rifiutando ipocrisia e convenienza.

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