Occupato palazzo Boyl a Pisa, una finestra si apre e la bellezza diventa finalmente di tutti e tutte

Un gruppo di sostenitori del ‘Municipio dei beni comuni’ ha occupato simbolicamente un palazzo nel centro di Pisa, Palazzo Boyl  (ex palazzo Grassi), da giugno la facciata sul Lungarno è tornata visibile, dopo sei lunghi anni che un ponteggio la teneva nascosta alla vista della città, tuttavia gli occupanti ne evidenziando l’incuria e l’abbandono.

22novembre 2014 da ‘Municipio dei beni comuni’

Casa: palazzo occupato a PisaQuando la suggestiva facciata è riemersa alla luce del sole, la scoperta è stata a dir poco sinistra, ogni cosa era come prima, nessun intervento era stato condotto sulle mura cinquecentesche, con buona pace di ciascuno. Pochissime la voci che si sono levate dal coro muto di quanti hanno finto che tutto questo fosse normale. E invece. Un pezzo di storia della città sembrava destinato all’oblio e al decadimento, senza possibilità di soccorso.

Abitato fino al 1841 dalla famiglia Grassi (che lì vi ospitò a lungo Domenico Guerrazzi, scrittore e politico risorgimentale), è passato poi ai conti Agostini Venerosi della Seta, i cui discendenti ne hanno detenuto la proprietà fino, appunto, al 2008, quando il palazzo è rientrato nel patrimonio di una società per azioni, la Tognozzi Group. Perché raccontiamo questa storia?

Palazzo BoylForse perché la comparsa di quel ponteggio durato sei anni, ha nascosto non solo la visione della splendida facciata di Palazzo Grassi-Boyl. Ha nascosto, forse, anche le trame oscure del proprietario dell’impresa Tognozzi (da mesi al vaglio della magistratura fiorentina per corruzione all’Agenzia delle Entrate di Firenze), quest’ultima dichiarata fallita dal Tribunale di Firenze nel marzo di quest’anno. Sei anni di lavori rimandati su uno stabile di altissimo pregio che oggi vale 7 milioni di euro, e che nella cosiddetta ‘sala nobile’ conserva – si fa per dire – il grande affresco dell’ ‘Olimpo’ attribuito ad Annibale Marianini; sei anni di ponteggi che hanno occupato suolo pubblico non pagato; sei anni di incuria e abbandono.  E dopo questa sequela di ingiustizie, le domande: a quanto ammonta il debito tributario della Tognozzi spa nei confronti del Comune di Pisa? E cosa sta facendo quest’ultimo per recuperalo? I giornali allora scrissero che il Comune si era inserito nella procedura di recupero come creditore nei confronti della società insolvente, ma della cifra esatta in questione non è dato sapere. Sappiamo bene quanto lunghe e spesso inconcludenti, soprattutto in un periodo economicamente non facile, possano essere le procedure per un recupero che forse non avverrà mai.

 A chi è sottratto questo denaro? E perché un Comune tanto solerte a pretendere puntualità dai cosiddetti ‘morosi’, cittadini e cittadine in difficoltà economica, non sembra tentare nessuna accelerazione nei confronti di una ex potenza come la Tognozzi spa? Come mai, ancor prima del fallimento dell’azienda, non ci si è mostrati forti con i forti?

Gli oggetti drammatici di questa vicenda non sono pochi: sei anni di inutili impalcature, un palazzo storico abbandonato senza alcune vergogna, un’impresa malamente fallita e un debito tributario di cui non è dato sapere. Senza far ricorso alla retorica, il quadro sembrerebbe più che chiaro. Al di là della palese ingiustizia condotta prima di tutto contro le cittadine e i cittadini pisani, è stato scavalcato il dovere di recuperare e tutelare i bene culturali presenti in città. E questo accade nell’ossessiva insistenza del ricordare come Pisa abbia una vocazione turistica, come Pisa si candidi a diventare una città vetrina delle bellezze toscane e nazionali, di come ogni scelta della presente amministrazione sia volta a tutelare questo scopo, salvo poi ammettere lo scempio di un palazzo storico sui Lungarni.

piedi sulla cittàLo diciamo a chiare lettere: questa volta sarà inutile ricorrere alla retorica delle ‘mani legate’, non ci crediamo. Da cittadine e cittadini siamo convinti che, al di là degli strumenti tecnici a disposizione di chi amministra, l’espressione di una volontà politica sia il più importante dei segnali: e nessuna voce si è levata contro lo scempio di Palazzo Boyl, e contro il clamoroso ammanco che è venuto a pesare nelle tasche delle pisane e dei pisani tutti. L’ombra di una verità che non si dovrebbe dire, si allunga sempre più. Nessuno mai rivedrà quel denaro, e il palazzo langue nelle maglie di una liquidazione che si annuncia lunga, complessa, suscettibile delle migliaia di variabili che interessano un bene culturale quando diventa mero strumento di rendita.

Eppure tutto questo scempio non è sconnesso dal nostro tempo. Anzi, è la premessa maggiore degli scenari venturi. I quattro vertici della ‘rosa dei venti’ di Matteo Renzi  (Sblocca Italia, Jobs Act, Piano Scuola e Piano Casa) segnano ciascuno una rotta chiara e senza appello: profitto, profitto, profitto. E là dove manca l’orizzonte del profitto, non vi è buon senso che tenga, non vi è tutela, ma solo amministrazione dello status quo. La proprietà privata – anche quando è oggetto di un’indagine giudiziaria – è sacra e intoccabile, e nella proposizione crudele del suo nome si può lasciare in malora anche un palazzo storico del Lungarno pisano, contraddicendo anni e anni di melensa propaganda su quanto Pisa sia bella, quanto sia ricca di tesori. Sì, di tesori abbandonati all’incuria, i cui unici veri amministratori sono i potenti che ne determinano cinicamente il destino. I lungarni sono un esempio clamoroso di questa menzogna: le cittadine e i cittadini contino quanti stabili, quanti palazzi storici, sono abbandonati e in palese decadimento, quale e quanta ricchezza è sottratta loro, in cambio di qualche briciola di illusione: Pisa è bella, Pisa è ricca, Pisa è… uno dei tanti campi di prova delle politiche future, dove al bene comune è negata la cittadinanza, dove il bisogno comunitario è un ostacolo, non un trampolino verso una politica più giusta, in grado di soddisfare i reali bisogni del cittadino.

 La riapertura di Palazzo Boyl serve a lanciare un nuovo allarme, per ricondurre l’attenzione su di un ‘caso’, ma anche su di un ‘metodo’, che noi riteniamo letali per la democrazia. La storia di Palazzo Boyl segni il passo per rilanciare le vertenze dell’ex Colorificio toscano e del Distretto 42.

 Dalla finestra che guarda su quest’ansa bellissima della città, insieme a tutte le cittadine e a tutti i cittadini, noi attenderemo risposte, e soprattutto non resteremo ad aspettare inermi.

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