Il cinema francese ha dimostrato grande vitalità negli ultimi anni nonostante gli enormi problemi che affliggono la Francia dopo gli attentati terroristici di Parigi
22marzo 2016 di Donatella Nesti
Molte pellicole vengono prodotte e distribuite anche all’estero conquistando premi e riconoscimenti internazionali con un’ottima risposta di pubblico e capacità di alternare film divertenti a pellicole di forte impegno sociale per non parlare del successo del cartoon “Il piccolo Principe”.
Scelte che premiano il cinema d’ Oltralpe a differenza di quello italiano che specie nel genere commedia è alquanto ripetitivo e monocorde.Un esempio delle capacità registiche e degli interpreti ce lo offre il film premiato a Venezia con la Coppa Volpi ed ora nelle sale “La corte”, titolo originale “L’Hermine”, un film scritto e diretto da Christian Vincent.
Il protagonista Michel Racine è il temuto Presidente di una corte di assise. É molto severo con se stesso e con gli altri. É soprannominato il « giudice a due cifre » , perché le sue condanne non sono mai inferiori a dieci anni. Ma ogni cosa viene sconvolta dalla comparsa di una donna, Ditte Lorensen – Coteret. Fa parte della giuria in un processo per omicidio. Sei anni prima, Racine si era innamorato di lei. Quasi in segreto. É lei l’unica donna che abbia mai amato.
La donna medico, conosciuta quando il giudice era stato operato, risveglia in lui l’essere umano, proprio lei che in ospedale tiene i pazienti per mano e li ascolta facendo quello che i medici burocrati fanno sempre meno. Fabrice Luchini è “l’uomo con l’ermellino” (in francese “hermine”) avvolto nella stola di pelliccia di ermellino, simbolo di dignità e incorruttibilità (si diceva fosse un animale che preferirebbe morire piuttosto che macchiare il bianco puro del suo manto), Michel Racine è imperturbabile e solenne, “giusto” (la verità è altra cosa e non ci compete, afferma ad un certo punto) e moderato chiamato a presiedere l’aula in cui si svolge il processo a un giovane disoccupato, accusato di aver ucciso la figlia di sei mesi. Ma a sconvolgere Racine non è l’omicidio di Melissa, bensì la presenza tra i giurati popolari di Ditte Lorensen-Coteret, la brava Sidse Babett Knudsen. Il regista spiega come è nata la storia che gli ha fatto vincere il premio per la migliore sceneggiatura “La storia è arrivata molto semplicemente. È scaturita spontaneamente dalla personalità del magistrato. Io ho immaginato il Presidente della corte di assise che si chiudeva in ritiro. Un uomo rispettato e temuto nella sua corte, ma disprezzato e ignorato a casa. A casa, eccetto che dal suo cane, non è tenuto in considerazione da nessuno, mentre in tribunale è chiamato vostro onore. Così ho immaginato un piccolo uomo, senza molte gioie nella sua vita. Un uomo che è stato innamorato di una donna, una volta nella vita, cinque o sei anni prima. È stato in coma in seguito ad un incidente. Quando si è risvegliato c’era una donna accanto a lui. È stata un’apparizione. E ora questa donna è riapparsa nella sua vita. È uno dei giurati nel processo che lui presiede. Per giorni lui potrà vivere con lei al suo fianco…Avevamo trovato la nostra storia.”
Fabrice Luchini, premiato con la coppa Volpi all’ultima Mostra del cinema di Venezia, ha commentato la sua interpretazione. ”Il film è un affascinante e divertente sguardo sulla natura umana. I giurati sono la personificazione della partecipazione democratica e potrebbero essere uno di noi. E poi ci sono i difensori e gli accusati, e quello che è particolarmente interessante è che possiamo riconoscere noi stessi in alcuni di loro. Ovviamente nessuno di noi ha mai chiuso un bambino in un armadio, ma forse se fossimo esasperati un giorno potremmo farlo. Non c’è un perché ringraziare o chiedere perdono, ma non dovreste sentirvi troppo lontani dai criminali, perché apparteniamo tutti alla razza umana capace di compiere atti terribili.”