Dopo una pausa di tre anni, successiva al suo ultimo film candidato agli Oscar e acclamato quasi unanimemente dalla critica “Django Unchained”, il geniale Quentin Tarantino è tornato sul grande schermo con “The Hateful Eight” con la storia di un ex-schiavo in cerca di vendetta, ambientato nel periodo immediatamente successivo alla Guerra di Secessione.
10febbraio 2015 di Enrico Bulleri
Uno spettacolo degno della sua fama in questa sua ultima incursione nel genere western, dove Tarantino ha mirato ancora più in alto sulla tecnica cinematografica della pellicola di un tempo e, quasi ossessionato ne ha girato un film in Ultra Panavision 70mm, diventandone una delle caratteristiche più affascinanti dello stesso film. Per coloro che sono totalmente fuori da queste cose, la pellicola nel formato 70millimetri è stato il formato dell’immagine cinematografica più spettacolare della storia della settima arte.
Certo, Christopher Nolan lo ha riutilizzato per “Interstellar” e Paul Thomas Anderson ci si è dilettato per il formato di “The Master” e “Vizio di forma” (Inherent Vice), ma sono state le primissime eccezioni e dopo non vi era più stato un film in 70mm, questo è l’undicesimo girato in questo formato, utilizzando gli stessi obiettivi che furono stati utilizzati per “Ben-Hur”.
Si tratta di un nuovo western riempito con i dettagli vividi e i suoni esemplari che soltanto il 70mm è in grado di offrire. Ma, soprattutto, con l’aiuto della The Weinstein Company, ben 100sale cinematografiche in 44paesi del mondo si sono tecnologicamente “riadattate” per le proiezioni in 70mm, dando a Tarantino la possibilità di effettuare, il 25dicembre, una speciale uscita denominata “Roadshow” (in Italia l’uscita del film è in agenda da inizio febbraio ma, solo l’Arcadia di Melzo vicino Milano -nella sala Energia da poco rinnovata- sarà l’unico cinema, sul territorio nazionale che proietterà il film nella versione di cui stiamo parlando). La versione Roadshow 70mm. di “The Hateful Eight” offre in più, oltre ai sette minuti tagliati dall’edizione normale in digitale, una ouverture e un intervallo come per i vecchi Kolossal di una volta, e il pubblico riceve pure un programma, rendendo l’andare al cinema ancora un evento significativo.
Ma, con tutto il clamore circostante “The Hateful Eight”, il pubblico potrebbe rimanere stupito anche dal cuore dal vero nucleo di questo evento cinematografico e, se qualcuno avrà mai pensato che Tarantino potesse fallire con il cinema classico della vecchia scuola, si è mortalmente sbagliato.
Ha realizzato un western che utilizza tutto ciò che il formato ha da offrire per amplificarne i dialoghi meravigliosamente scritti e l’intensa ambientazione teatralmente concentrazionaria, carico come sempre di tematica razziale. Con un cast di attori magnifici, una splendida fotografia, una partitura perfetta di Ennio Morricone e l’esplosione continua dei momenti di violenza grafica propri di Tarantino con “The Hateful Eight” il nostro regista più innovativo è riuscito ancora una volta a stupire realizzandoi un film avvolgente per lo spettatore e, che dona al cinema una esperienza appassionante. Quale il nirvana di un cinefilo.
La trama:
Una bufera di neve si sta rapidamente avvicinando. L’autista di una diligenza (James Parks) sta cercando di tirarsene fuori prima che la tempesta arrivi davvero. All’interno della diligenza vi è John “The Hangman/Il Boia” Ruth (Kurt Russell), un cacciatore di taglie il quale sta tentando di raggiungere la merceria e locanda di Minnie, con accanto la sua taglia da 10000$ che la forca sta attendendo a Red Rock, ovvero Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), e non senza incontrare alcuna difficoltà. Tuttavia, la corsa verso la merceria di Minnie non va come previsto, trovano sulla loro strada il Maggiore Charles Marquis Warren in piedi nella neve con una pila di cadaveri e due pistole mortali, che sta tentando di arrivare fino a Red Rock per ottenere il denaro delle sue taglie.
Inizialmente paranoico verso Warren ma, rispettoso della sua grande fama, alla fine Ruth lo invita salire a bordo. Più tardi nel percorso, Ruth e Warren fanno un altro incontro è Chris Mannix (Walton Goggins), un ex guida sudista ribelle che afferma di essere il nuovo sceriffo designato di Red Rock. Ovvio che, con un celebre Maggiore Unionista di colore e un sostenitore dei confederati nella stessa vettura, le cose possono diventare un po’ rischiose.
Ma quando tutti arriveranno alla Merceria di Minnie, le cose si faranno molto interessanti. Secondo l’uomo che vi lavora come aiuto, un’altra diligenza per Red Rock è appena partita. All’interno della merceria, c’è il generale Sanford Smithers (Bruce Dern), famoso generale confederato che non si alza mai dalla poltrona. C’è Oswaldo Mobray (Tim Roth), un inglese dal parlare educato che sembra essere il nuovo boia diretto a Red Rock. Inoltre, siamo introdotti al personaggio di Joe Gage (Michael Madsen), un tipico cowboy che siede silenziosamente in fondo alla stanza scrivendo la storia della sua vita. E, naturalmente, Bob (Demian Bichir), il messicano che è stato messo a capo della Locanda/Merceria mentre Minnie e Sweet Dave (i proprietari) sarebbero andati a visitare la madre di lei.
Ma tutte queste persone sono realmente ciò che dicono di essere? John Ruth non ne è così sicuro. E con 8 persone molto diverse chiuse in una dispersa locanda con fuori una tormenta di neve ……. beh, diciamo solo che le cose si faranno violente.
Possiamo affermare che “The Hateful Eight” è di gran lunga il film meno commerciale di Quentin Tarantino, 187minuti di lunghezza, e pieno di alcune delle violenze più splatter mai viste, oltre che in assenza di un vero eroe cui emotivamente attaccarsi, così tetro esattamente come sembra. Direi che “Kill Bill” è piu’ cruento e “Django Unchained”è probabilmente ancora il suo film in generale più violento, ma c’è un certo livello di, beh, odiosità insita nella violenza di questo film che lo rende piuttosto difficile da digerire, a volte. Si tratta in una certa misura di una commedia western dark nella sua oscurità massima, assoluta. La definizione stessa di Tarantino cioè “Otto stranieri in una stanza che si uccidono l’un l’altro,” è piuttosto precisa.
Con questo concetto e con questa oscura ironia, Tarantino ha inventato qualcosa che è del tutto singolare nella sua filmografia. “The Hateful Eight” è un’esperienza quasi interattiva.
Ci sono numerosi film in questi giorni da vedere e sentirsene completamente distaccati. Può essere un buon film, o non può, ma ci sono pochissimi film che utilizzano il pubblico con risultati del tipo di questi. Anche i grandi recentissimi e meno recenti film come “The Big Short (La Grande scommessa)” e “The Wolf of Wall Street”, non dispongono della grande quantità di trucchi narrativi e di quella che si dice la rottura della quarta parete, non possiedono questo spirito inclusivo.
Ma al di là degli aspetti di evento della presentazione, è un film di mistery finemente sintonizzata e calibrata con la costruzione dialettica e situazionale, degli stessi gesti e tic, espressioni, fisiognomica dei protagonisti, e la ancora più tanta tensione, che ci si sente come se il tutto potrebbe esplodere in una palla di fuoco e di fiamme da un momento all’altro.
- Sì, il primo tempo è lento, i primi tre capitoli sono un sacco di messa a punto drammatica e di dialogo, prima dello scoppio di violenza che conclude il capitolo 3 ma, da notare come Tarantino costruisce l’atmosfera e le intenzioni dei personaggi. Ogni linea di dialogo è importante. C’è molto di quel che Tarantino ha da dire sulla costruzione degli Stati Uniti d’America (temi che sono fortemente d’impatto e ancora più da sezionare, ai giorni nostri), ma ancora più importante, ogni battuta, ogni dialogo apporta una sorta di approfondimento, alla conoscenza che abbiamo dei personaggi, nonché alle loro esperienze, alla loro formazione. Ogni suggerimento, ogni sospetto, ogni più piccola parte di azione o inattività, lascia con grande abilità condurre alla pienezza di senso che si compie nello svolgimento della seconda parte.
- Nel classico stile di Tarantino, il secondo tempo è ricolmo di potenza, dosata da vero fuoriclasse, e di spaventosa intensità. Se dissezionassimo questo film solamente attraverso il suo lento primo atto, spesso guidato solamente dai suoi densissimi dialoghi, non ne otterremmo la ricompensa del secondo di atto, il quale compie letteralmente miracoli. Piace quanto Tarantino sia tornato indietro, alla costruzione dei film per capitoli che gli è propria, qualcosa che mancava da “Django Unchained” (non penso che avrebbe aggiunto qualcosa alla forma di quel film, ma è stato comunque un lascito perduto). La struttura che gli viene conferita dalla grandiosa capacità di saltare nel tempo fino alla follia del quarto e ultimo capitolo, dove Tarantino è come sempre in grado di dare al pubblico un contesto impareggiabile, prima di un capitolo finale, selvaggio. E’ da idolatrare il modo in cui misteri della trama e dei personaggi vengono dipanati, facendo attirare sempre più lo spettatore prima di colpirlo con quei bruschi e drastici rivolgimenti.
Gran parte della perfetta adesione ai personaggi degli “Otto odiosi” si basa sulle competenze di Tarantino, ma con il cast di questo film si è andati a lambire la magia. Non c’è un personaggio positivo e sono tutti ad ogni modo personaggi orribili, così come sono tutti costretti ad operare nel cast per eliminarsi l’un l’altro.
- Samuel L. Jackson ha la parte più consistente (come l’unico afro-americano della locanda, è il personaggio tematicamente più rilevante) ed è assolutamente memorabile. Nessuno ormai sa forse come lui rendere i dialoghi di Tarantino in maniera migliore, riuscendo ad essere assolutamente ipnotizzante. Si tratta di una interpretazione formidabile. Walton Goggins è altrettanto brillante, ed è nel suo rapporto con Tarantino ad un punto tale della propria carriera da poter facilmente prevedere che diverrà uno degli habituè dei film del regista. Goggins fin dai tempi di “The Shield” è divertente in una maniera personalissima che è esattamente quella di cui aveva bisogno il film, e nonostante la sua connotazione razzista iniziale, il suo personaggio finisce per sorprendere.
- Kurt Russell è anch’esso fenomenale nel ruolo di John Ruth, che è uno dei personaggi più meravigliosamente concretizzati e delineati di tutto il film. Ruth è un uomo paranoico, ma anche con dei principi, uno dei quali è la ferrea intenzione di fare in modo che i ricercati da egli catturati abbiano modo di arrivare vivi per poter pendere dal pendaglio della forca, non importa quale essa sia. E’ eccessivamente sospettoso, pesta una donna in modo pazzesco, e tuttavia, persiste sempre qualcosa di tragico, nel personaggio di Ruth. E credo che chiunque si possa sentire un po’ male per lui, quando si scoprirà di che natura è veramente la sua prigioniera Daisy Domergue, interpretata alla perfezione da Jennifer Jason Leigh. La quale ha ottenuto l’unica nomination all’Oscar come Miglior Attrice non Protagonista per il film, assieme a quella per la colonna sonora ad Ennio Morricone.
- Grazie ad una interpretazione incredibilmente fisica, comprendente sputi, sangue e denti rotti, la Leigh da corpo ad un personaggio che lo spettatore amerà odiare.
- Michael Madsen e Tim Roth, sottolineano la sensibilità dell’universo tarantiniano e sono entrambi fantastici. Madsen impersona un personaggio all’apparenza più solitario degli altri, il burbero Joe. Gage, Roth fornisce un’interpretazione unica delle sue nei panni del molto inglese Oswaldo Mobray (un ruolo nel quale si sarebbe potuto vedere anche Christoph Waltz).
- A completare il cast, James Parks è molto simpatico come O.B. il conducente della diligenza, Demian Bichir è spesso tremendamente divertente nella parte di Bob il messicano, e che ci crediate o no, Channing Tatum ha un ruolo abbastanza significativo. Avendo persino lui più importanza di quello che solitamente ci si aspetti dai corrivi ruoli ultimi che Tatum spesso porta sullo schermo.
“The Hateful Eight” è uno dei migliori ensemble di interpreti che Tarantino abbia mai messo assieme, e una delle sue sceneggiature più taglienti. Non c’è dubbio che lo sia. Ma per di più, si tratta di una prodezza registica e di un prodigio della tecnica cinematografica.
Tarantino viene sempre apprezzato per le sue sceneggiature, ma il pubblico medio sottovaluta quanto sia bravo con la macchina da presa. Tarantino sa esattamente quanto tempo deve avere ogni inquadratura, ed è un vero Maestro della in scena, della struttura filmica e di tutte quelle modifiche da dovervi apportare. Riuscendo a migliorare ad ogni film. E “The Hateful Eight” è ancora significativamente un film superiore ai precedenti in senso complessivo, ma sempre della medesima stoffa e qualità. La Fotografia di Bob Richardson è lussuosa ed espansa, utilizzando come detto il grande effetto dato dal formato di 70 millimetri.
Non posso dirvi quanto sia bello vedere ancora un film stampato e proiettato in pellicola, e Richardson mette tutta la sua arte affinché l’immagine sia degna di tutta la sua abilità – i colori sono più ricchi e il quadro è nitido e pulito.
Questa volta, abbiamo anche la prima colonna sonora originale per un western composta da Ennio Morricone in decenni, ed è un partitura potente. Tesa e inquietante, recuperando anche alcuni pezzi non utilizzati per le colonne sonore di “The Thing”(La Cosa) di John Carpenter, e di The Untouchables”(Gli Intoccabili) di Brian De Palma, dimostra solo quanto ancora sia brillante Morricone come compositore, a 85anni suonati. Quando tutti questi elementi si combinano insieme, “The Hateful Eight” è veramente qualcosa da vedere.