Traffico rifiuti, una vicenda che ancora una volta travolge Livorno, Piombino. E la disperata questione di Aferpi

Mettere in ginocchio un territorio è facile quando è indifeso, quando ogni certezza cade ed è quella del lavoro la prima a mancare.

15dicembre 2017 da Simona Ghinassi. Delegata Nazionale ‘Liberi e Uguali con Pietro Grasso’, Livorno

Per questo la preoccupazione maggiore riguarda la fragilità di un territorio fatto di donne, uomini, famiglie intere già duramente colpite soprattutto a Piombino. La maggior parte delle aziende coinvolte nell’indagine e messe sotto accusa hanno una storia già macchiata con punti oscuri da anni che tornano inevitabilmente e prepotentemente ora tutte alla memoria. Ogni colpa sarà ricercata e punita, ma nel frattempo resta saldamente in testa una sola certezza che svela e conferma un quadro tossico evidente. L’espediente è la soluzione più ricercata quindi serve alzare definitivamente quel velo terribile di commistioni, di affari, di interessi e privilegi sui quali non può continuare a sorreggersi una comunità, che non può continuare a subire scelte fatte da chi approfitta. Non esistono scuse a giustificare un comportamento criminale che coinvolge non solo una provincia, ma una regione intera.

Certe scelte incaute, considerate sempre a maglie troppo strette per chi è abituato a rispettare le regole, ma sempre a maglie troppo larghe per chi è abituato invece a trasgredirle, stanno distruggendo non solo l’onorabilità delle istituzioni e dei cittadini che vivono in Toscana, ma stanno pregiudicando un tessuto connettivo antico, legato alla produttività d’eccellenza che è garanzia di qualità, sviluppo e quindi di futuro. Solo la gestione completamente pubblica con un controllo costante e capillare può mettere al riparo da appetiti privati che inevitabilmente finiscono per creare situazioni come quelle descritte dalla cronaca in queste ultime 24 ore. Ciò che è emerso riguardo al traffico di rifiuti non sorprende nessuno ed è questo il problema più grave. Ogni regione pare abbia la sua ‘terra dei fuochi’, per questo ci si abitua, si assimila ogni cosa, dopo un primo attimo di sdegno, si torna alla tranquilla normalità pensando che in fondo basterà punire gli ultimi colpevoli. Tutto ciò è destinato ad accadere fino a quando non sarà il prossimo scandalo a farci sobbalzare, come fosse un elettrochoc che durerà come sempre  lo spazio di un minuto e non produrrà ricadute perché essenzialmente, quella maggioranza silenziosa che alza le spalle non vuole che accada, talmente si è abituata a non decidere di cambiare perché non lo crede più possibile.  

Intanto la Magistratura indaga, resta almeno questa certezza, mentre alle istituzioni non resta altro che inorridire di fronte allo scempio di denaro pubblico sottratto e fare il conto sul numero dei danni economici subiti. Un’autentica frode ai danni dello Stato. E lo Stato siamo noi, nessuno escluso.

Mentire sul riciclo è diventata da anni attività molto redditizia, figlia di una traduzione malsana del concetto ecologico ambientalista di tutela di un territorio, ed è concetto ormai nazionale trovare con la furbizia che contraddistingue un certo modo di fare impresa, la capacità di mettere a profitto, sulla pelle di cittadini inermi, la ricerca di un affare sicuro. L’equazione è semplice, non smetteremo mai di produrre rifiuti. Purtroppo spesso accade che la gestione partecipata dei privati negli affari che riguardano lo smaltimento dei rifiuti diventi il lasciapassare ad una criminalità sempre più estesa e vasta di quanto non vediamo ad occhio nudo. E quanto più un rifiuto sia definito ‘speciale’, pare ovvio, tanto più sia alto il prezzo per smaltirlo. La pericolosità è un dettaglio, solo in termini di rischio, mentre si trasforma in opportunità ghiotta sulla quale gettarsi a capofitto.   

Accade che appalti poco trasparenti creino un black out che sfugge al controllo delle istituzioni e così l’interesse della cosa pubblica si perda, così come si perde il controllo nella galassia di accordi che come scatole cinesi finiscono per inquinare la trasparenza mano a mano che ci si allontana dalle mani pubbliche dello Stato. Perciò, quello Stato che deve garantire sicurezza e protezione, finisce per affidarsi attraverso una selva inestricabile di società, al malaffare che ride beffardo con il suo ghigno feroce. Non importa se ci sono i nostri figli a pagare. 

Terribili le intercettazioni pubblicate, fanno tornare alla mente lo stesso disgusto di quella notte a l’Aquila, con le stesse risate che si sovrappongono all’immagine dei giovani morti nel sonno sotto solai crollati. Non esiste nessuna ‘regola d’arte’ che si rispetti, esiste solo  la regola di un interesse che non importa se finisce per uccidere.

I veleni nascosti fanno paura a chi li vive sulla sua pelle e le istituzioni dovrebbero prendere atto degli errori e correggere l’incapacità di un controllo che sfugge quando si ricercano le dimensioni d’area vasta nei programmi di gestione della vita delle comunità e non si osservano abbastanza gli interlocutori. Perdere il controllo e la capillarità di servizi essenziali, quando si è in presenza di una società disgregata a più livelli, equivale ad aprire le porte ad un incontrollabile vortice dove è impossibile eseguire una pianificazione soddisfacente, le cui ricadute attive siano davvero efficaci per i cittadini. La possibilità di incappare nel malaffare diventa un facile rischio. Serve salvaguardare il bene pubblico e la collettività attraverso una politica della trasparenza, che sia lontana dall’interesse del singolo e torni ad occuparsi di beni collettivi e condivisi. Solo la Sinistra possiede gli anticorpi per reagire con una proposta forte che dopo le indagini e l’accertamento della verità aiuti un territorio a risorgere. Si tratta di fare una scelta chiara e netta per la legalità che tuteli l’interesse dei cittadini e il loro benessere.

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