Un’Anna Karenina inedita e tutta da riscoprire quella raccontata nello spettacolo di danza messo in scena al Teatro Verdi di Pisa

Con il Balletto di Milano e per la regia, coreografia e libretto dell’estone Teet Kask

Anna Karenina.

Un piacere per gli occhi e per l’anima. Bello, energetico ed energizzante

Image and video hosting by TinyPic7aprile 2016 di Beatrice Bardelli, foto di Carla Moro e Aurelio Dessì

Elegante e poetico è stato lo spettacolo di danza “Anna Karenina” messo in scena al teatro Verdi di Pisa, sabato scorso, per il tocco magico di Teet Kask, artista estone dalla profonda cultura e grande sensibilità, che ha voluto riversare in questa sua opera, dove ha curato: il libretto, la regia e la coreografia. Da vero maestro dello spazio emozionale.

Image and video hosting by TinyPicChe fosse unica la mano, che ha offerto agli spettatori con quasi due ore di totale godimento dei sensi e dello spirito, si è capito fin dall’apertura del sipario dove, nel buio totale della scena, è apparsa, proiettata sul fondale, la scritta luminosa del messaggio che Lev Tolstoj prese in prestito dalla Bibbia (sesto libro del Nuovo Testamento, Romani 12:19) per ammonire i lettori, il pubblico e gli esecutori del suo famoso romanzo: “A me la vendetta; io darò la retribuzione, dice il Signore”. Nel senso “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina”.

Ovvero, io (Kask) sono l’artista che si è messo al servizio (teatrale) dell’opera di un autore (Tolstoj) che rasenta la grandezza divina. Ma che vuole essere svincolato dagli stereotipi che hanno accompagnato per un secolo e mezzo il romanzo, “Anna Karenina”, dove la protagonista, adultera bandita dalla società dell’aristocrazia pietroburghese, disperata per l’isolamento in cui viene a trovarsi, privata persino del figlio dal marito tradito Karenin, succube di una gelosia irragionevole per l’amante (il bell’ufficiale Vronskij), sopraffatta dal dolore, alla fine si uccide buttandosi sotto un treno.

Questa è la storia narrata da Tolstoj. Ma l’Anna Karenina di Kask si racconta in un modo diverso.

Image and video hosting by TinyPicIn questo spettacolo di danza del Balletto di Milano (direttore artistico Carlo Pesta), si respira gioia e speranza. E la morte finale della protagonista che va incontro alla luce abbagliante del treno che squarcia il buio totale della scena, è rappresentata come un vero e proprio atto di liberazione. Una scelta estrema di abbandono volontario al dolore fisico, che tormenta una donna dalla vitalità moderna e che, è stata punita perché vissuta in un’era sbagliata. La scelta di accogliere a braccia aperte la nuova luce, il faro del treno, segnale abbagliante di una via di speranza, è quella di poter finalmente affermare il proprio “io”, la complessità del proprio essere diversa in un mondo prigioniero delle formalità sociali.

Con il suo suicidio Anna Karenina manda un messaggio di amore riaffermando il suo biblico diritto ad amare e a non essere punita per questo. La punizione non spetta agli uomini ma a Dio, ha ammonito Tolstoj. E lei, diventata famosa in tutto il mondo come Karenina, ovvero la moglie di Karenin, quindi con una identità imposta dalle convenzioni sociali, ha deciso di morire come Anna per riappropriarsi di una identità che la società non le ha mai riconosciuto ma che forse il Dio del Nuovo Testamento le riconoscerà come anima. Forse.

Questa la cornice in cui si snoda il “racconto in danza” interpretato da quattordici ballerini adulti (7uomini e 7donne), o meglio, da quattordici danzatori-attori ed un danzatore-bambino che ha interpretato il figlio di Anna, Seryozha, dando vita a quasi due ore di spettacolo, dove il corpo di ognuno è diventato strumento estetico-narrante di un profondo messaggio di libertà. Libertà dei movimenti, coordinati ed armoniosi o scomposti e funambolici, in due, a coppia, o da singoli, più o meno scoppiati, a volte regolati dai canoni della danza classica che vuole il ballo rigorosamente sulle punte delle scarpette di raso ed a volte proiettati nel modern style che chiede di calcare la scena a piedi nudi.

Anna Karenina“Se il corpo è libertà, allora, questa Anna Karenina è libertà”,

mi è venuto da pensare subito dopo essere stata trascinata emozionalmente dalla Scena I. Il ballo che ha aperto la sequenza dei due atti, suddivisi con estremo rigore estetico, in otto scene (primo atto) e in undici scene (secondo atto), che ha dato una sferzata di energia e caricato il pubblico che si è abbandonato a scroscianti applausi ad ogni finale di scena. A ragion veduta, perché questo corpo di ballo è veramente strepitoso ed ognuno dei danzatori ha interpretato il proprio ruolo con altissima professionalità e qualità di performance fisiche (decisamente impegnative) adattandosi, con estrema duttilità, alle esigenze della regia e della coreografia realizzate da Kask sulle note, straordinariamente ricche di sfumature e dei tratti distintivi dell’anima e della cultura russe, della musica di un altro grande artista di San Pietroburgo, Piotr Ciaikovskij.

Nell’impegnativo ruolo di Anna Karenina Alessia Campidori, affiancata da Alessandro Torrielli nel ruolo del facoltoso ufficiale-amante Vronsky, da Alessandro Orlando, l’altero marito, Karenin, dalla giovanissima Giordana Roberto nel ruolo di Kitty (sorella minore della moglie del fratello di Anna) e, in alcune scene, dal danzatore-bambino Francesco Scandoglio nel ruolo del figlio di Anna, Seryozha. E poi vanno menzionati tutti gli altri per la loro indiscussa bravura: Angelica Gismondo, nel ruolo della principessa Betsy Tverskaya, Giulia Simontacchi nel ruolo della Contessa Lydia Ivanovna, ammiratrice di Karenin, Federico Veratti nel doppio ruolo di Yashvin, ufficiale nel reggimento di Vronsky e de L’uomo misterioso, Marta Orsi nel ruolo di Balia. E ancora, Lisa Bottet, Elena Dalè, Mirko Casilli, Federico Mella, Simone Maier, Alessio Pirrone, Simone Zannini.

Essenziali ma profondamente evocative le scene di Marco Pesta e le proiezioni funzionali di Marco Triaca che hanno ripreso elementi archetipi dell’iconografia russa stilizzandoli e proiettandoli sul fondale o su due sipari trasparenti (fondale e quarta quinta), per suggerire al pubblico le ambientazioni (un lussuoso lampadario per la sala da ballo, un samovar per il salotto di casa ecc.) o le stagioni (un albero maestoso e piegato dalla tormenta nudo e senza foglie per indicare l’inverno poi rigoglioso e ricovero di uccellini svolazzanti per indicare il risveglio della primavera).

Molto belli, ed apprezzati dal pubblico, composto in gran parte da insegnanti ed allieve/i delle numerose scuole di danza che operano a Pisa, i costumi in stile, ma modernizzati, dall’eclettico Federico Veratti (vedere tra i nomi dei danzatori-attori). Molto apprezzato da tutti anche il suggestivo disegno luci del lighting designer Dario Rossi come emerge dalle bellissime foto di scena di Carla Moro e Aurelio Dessì.

Un lavoro veramente ricco di emozioni realizzato con il contributo di Mibact – Regione Lombardia cultura e con il contributo del Premio Mab.

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