23gennaio 2017 da Paolo Luppoli, Coordinamento art.1/Camping CIG, Piombino
Le cronache dei giornali riportano in questi giorni le notizie dei “piani di rilancio” della cooperativa commerciale Unicoop Tirreno. Non è nostro compito valutare le ragioni della crisi di questa struttura, e lo demandiamo ai lavoratori della stessa, che sicuramente sono in grado di fare analisi ampie e motivate.
Ma una cosa appare chiara:
In una situazione di crisi, qualunque siano le cause, qualunque sia la ragione sociale della società (in questo caso una società di proprietà dei soci consumatori), chi gestisce pensa immediatamente ad alleviarla (la crisi) facendola pagare ai lavoratori. Per anni alla coop hanno puntato sulla esternalizzazione di molte parti del lavoro, soprattutto della logistica, sull’intensificazione dei ritmi di lavoro, sulle aperture continuate prefestive e festiva. Oggi si punta decisamente al cuore, presentando un piano di esuberi “non negoziabile” che vorrebbe espellere circa 600 lavoratori (tra tempi pieni e part time).
Fa specie pensare che questa società, che ha le sue origini nella “Cooperativa La Proletaria” oggi trovi solo la soluzione di chiudere gli spacci che rendono meno e licenziare il personale. Chi ha un’età più avanzata a Piombino sicuramente ricorderà le origini della Proletaria, nata con i soldi dei soci, per fornire generi di prima necessità a prezzi contenuti alle classi più deboli, primi tra tutti i lavoratori, e che apriva piccoli spacci nei quartieri a più alta concentrazione di proletari (appunto!) per essere più vicina alla gente, facilitare l’associazionismo e la solidarietà, conoscerne meglio i bisogni e le necessità. Al contrario, nei programmi della dirigenza attuale c’è solo l’obiettivo di massimizzare i profitti, chiudendo una serie di negozi che “rendono meno”. Provocheranno quindi anche, oltre alla perdita di posti di lavoro, anche un impoverimento sociale per piccoli centri o per quartieri periferici. Tanto per confermare il principio che a pagare i costi delle crisi sono sempre i diseredati.