Unicoop Tirreno, dopo mesi di incontri tra management e organizzazioni sindacali. Una vertenza su cui riaccendere i riflettori

La vicenda prende il via da un annuncio shock dei vertici della cooperativa che dichiara 481 esuberi, numero che tocca le 600 unità  considerato l’alta percentuale di lavoro par-time

17aprile 2017 da area programmatica Democrazia e Lavoro Cgil Livorno

Numeri di per sé significativi ma ancor più preoccupanti se si considera che gli addetti totali della cooperativa sono 4100 dipendenti di cui 2000 con contratto par-time. Oltre il 10% della forza lavoro della cooperativa subirà questa operazione.

Il piano di ristrutturazione predisposto dai top manager della cooperativa, quasi tutti freschi di nomina, prevede  una drastica diminuzione dei punti vendita, si parla infatti della chiusura di dodici supermercati e la vendita di altri otto. Accanto al potenziale rischio di perdere il posto di lavoro vi sarà una sicura diminuzione dei salari. Chi avrà la “fortuna” di rimanere nella cooperativa avrà  sospeso il Contratto Integrativo aziendale, e chi transiterà nelle nuove proprietà  con ogni probabilità non avrà  garantito  i diritti acquisiti e  avrà contratti meno garantisti. Conseguenze che vanno a colpire situazioni di reddito già precarie se si pensa che molte delle lavoratrici coinvolte hanno contratti par-time. Così come contrazioni salariali subiranno quei lavoratori che verranno messi in cassa integrazione e coinvolti nei contratti di solidarietà.  Stiamo parlando di lavoratori a tempo parziale che guadagnano briciole rispetto allo staff manageriale.
Da una prima analisi dei dati relativi agli esuberi dichiarati balza in evidenza il numero di quelli concentrati nella sede centrale di Vignale Riotorto, ben 160 esuberi (su un totale di 490 oltre il 32%) contro i 95 nelle sedi che non verranno cedute, ai quali si aggiungono 110 nelle sedi che verranno chiuse e 116 nei negozi destinati a cambiare “padrone”. L’alto numeri di esuberi concentrato nel centro direzionale non depone favorevolmente circa le politiche di assunzione, lasciando spazio a ipotesi di reclutamento non proprio dettate da ragioni organizzative-economiche.  
Questa drastica operazione, secondo le intenzioni dei manager, dovrà servire a riportare la cooperativa alla linea di galleggiamento considerato che dal 2009 ad oggi si parla di circa 100 milioni di perdite a fronte di un patrimonio netto che nel 2016 si è fermato sotto i 200 milioni. Solo nel 2015 il disavanzo di bilancio ha toccato i 20 milioni di euro. La pesante situazione finanziaria era particolarmente preoccupante se si considera che il prestito sociale (i soldi che i soci depositano in cooperativa) ammontano a quasi un miliardo di euro, quasi 5 volte il patrimonio e ben oltre i parametri fissati dalla Banca d’Italia, secondo la quale il rapporto tra prestiti sociali e patrimonio non può essere superiore a tre. Situazione messa in sicurezza con l’operazione di “salvataggio” da parte di altre cooperative di consumo  (Coop Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Novacoop, Coop Lombardia, Coop Liguria, Coop Centro Italia, Coop Reno e Coop Amiatina , partecipa anche Coopfond, la società di Legacoop votata alla promozione cooperativa. ) che hanno portato  una dotazione patrimoniale di 170 milioni di euro, ottenendo quasi il raddoppio del patrimonio. Ciò nonostante entro la fine del 2019 l’ammontare dei soldi dati in custodia dovrà essere ridotto dai 931 milioni attuali a meno di 500. Risultato che potrà essere raggiunto disincentivando il prestito sociale, diminuendo, presumibilmente,  in modo significativo i tassi d’interessi fin qui garantiti, così da spingere i soci a depositare i risparmi altrove.

Una vertenza che impatta sul territorio

La crisi di Unicoop colpisce un territorio, quello della costa Toscana, già profondamente in difficoltà, un territorio che non solo non può permettersi di perdere ulteriori posti di lavoro, ma che non può permettersi nemmeno di vedere una significativa diminuzione del reddito distribuito nel territorio.
L’azione del sindacato è tesa a salvaguardare con tutti gli strumenti disponibili le lavoratrici e i lavoratori che rischiano di essere licenziati, ma se anche questo dovesse accadere, così come stanno procedendo i confronti, non potrà impedire un forte ridimensionamento dei salari e dei redditi percepiti. Sospensione del contratto integrativo aziendale, cassa integrazione e per chi dovrà lasciare il lavoro si prevedono di utilizzare quegli strumenti previdenziali che decurtano l’ammontare delle pensioni erogabili. Opzione donna e accesso all’Ape e peraltro per quest’ultimo strumento ancora non è chiaro il quadro normativo di riferimento.
Né appare rassicurante la proposta di monetizzare gli esodi anticipati agevolando quanti lasciano l’azienda per aprire una attività in proprio. Il rifugiarsi in piccole attività commerciali e/o artigianali in una fase di crisi diffusa ha il sapore di un suicidio lento ma inesorabile. 
Il risultato sarà un ulteriore impoverimento di un territorio che già fa i conti con situazioni drammatiche.
La cooperazione, benché avesse perso gran parte dei valori fondativi, nella nostra comunità rappresentava e rappresenta ancora un punto di riferimento per un gran numero di lavoratori e soprattutto di pensionati che proprio in virtù di questa fiducia ”depositano” i propri risparmi in cooperativa e questo aspetto non può essere trascurato nella vertenza in atto.

Gli errori manageriali ricadono su chi non ha colpe.

E’ evidente che questa difficile situazione è la conseguenza diretta di errori sia nella gestione del personale, ma soprattutto in scelte di espansione  territoriale completamente fallimentari.  Un gigantismo industriale che non ha fatto i conti con l’acuirsi della crisi e della mancanza di una cultura cooperativista nei territori in cui si insediavano.  
Una vertenza complessa sulla quale è necessario accendere i riflettori, una vertenza che deve diventare patrimonio dei lavoratori della cooperativa facendoli essere protagonisti diretti di tutte le fasi di trattativa, cogliendo l’occasione per eleggere in tutti i punti vendita e nella sede centrale le rappresentanze unitarie dei lavoratori (RSU) condizione necessaria anche se non sufficiente per liberarsi da vincoli consociativisti/clientelari e pensare positivamente al  futuro. 

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