19 luglio: Livorno liberata

La Liberazione di Livorno si deve all’intervento delle forze alleate  e a quello dei gruppi partigiani che hanno combattuto contro i  tedeschi e i collaboratori fascisti

18luglio 2015 di Paola Ceccotti

livorno distrutta bombardamentiDalla liberazione di Roma il 4 giugno del 1944, il fronte della guerra era ogni giorno più vicino, gli alleati dopo aver superato Orbetello avanzavano verso la Maremma, mentre i francesi occupavano l’isola d’Elba.

Dai primi di giugno si erano susseguiti 12 bombardamenti su Livorno, e  la città era ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Il bombardamento del 19 maggio 1944 delle ore 10,15 e quello del 7 giugno delle ore 10,30 furono di una violenza eccezionale e completarono la distruzione della città che si trovava delimitata nella “zona nera”, fortunatamente evacuata, mentre nei precedenti bombardamenti le vittime erano state migliaia.

La città era stata bersaglio degli attacchi aerei degli alleati, e dei guastatori tedeschi che in circa un anno di occupazione dal settembre 1943 al luglio 1944 fecero brillare le mine e “danneggiarono gravemente gl’impianti del vecchio e del nuovo porto, distrussero gli Stabilimenti balneari fino ad Antignano e fecero saltare il ‘Fanale’ e diversi ponti[1].

centro livorno bombardamentiGli americani volevano sferrare un ultimo bombardamento convinti che i tedeschi avessero ammassato nella “zona nera” armi, munizioni, cingolati. Furono i partigiani Francesco Paggini e Gino Tosi, che parteciparono attivamente a molte delle imprese del 10° Distaccamento Partigiano Oberdan Chiesa[2], a impedire che questo avvenisse. Infatti la loro azione più famosa e forse più importante fu quella che li vide protagonisti di una missione affidata loro dal Comando Americano. Il maggiore Harry Carl Kait, sovrintendente al Civil Affairs Officer, aveva comunicato che il Comando Alleato aveva urgente necessità di conoscere il sistema difensivo tedesco e la dislocazione delle batterie e delle aree minate all’interno di Livorno, ritenuta zona fortificata. In mancanza di queste notizie era stato previsto un disastroso definitivo bombardamento sulla città.

Paggini e Tosi, poco più che ventenni, si offrirono volontari per questa difficile missione. Dalla scogliera di Castiglioncello, arrampicandosi sui dirupi e percorrendo lunghi tratti anche a nuoto, per evitare di imbattersi nelle truppe tedesche, che si supponeva dislocate sulle colline, raggiunsero Chioma e da lì si diressero al Distaccamento a Quarrata. Qui furono raccolte tutte le informazioni e con l’apporto della Giunta Militare del CLN venne redatta una dettagliata carta topografica. Poi gli stessi Paggini e Tosi attraversarono il fronte, affrontando la più rischiosa via di terra, per non sciupare il prezioso documento, riuscendo a raggiungere il Comando USA. Con quella carta topografica venne scongiurata la minaccia di un ultimo micidiale bombardamento.  “Visti i rapporti di fiducia, instauratisi tra il Comando Americano e il Distaccamento, Paggini e Tosi, su invito del Maggiore Kait, indossarono la divisa americana e furono arruolati nella 804a Tank Destroyer Battalion come partigiani-guida, partecipando con le forze alleate alla liberazione delle colline e della città, nella quale il 19 luglio del 1944 entrarono sui carri armati americani.[3]

Era dall’8 settembre, dall’armistizio, che si erano formati i gruppi partigiani, così ricorda Riccardo De Maio partigiano, che aveva aderito subito all’appello in difesa della libertà: “Iniziai il reclutamento in piazza del Santuario … Le famiglie si erano trasferite in massa tra Montenero, il Savolano e Monterotondo. Avvicinai per primo Sergio Manetti, poi Nelusco Giachini. Ci eravamo stabiliti a Villa Dupouy, che un tempo era stata soggiorno di lord Byron. Lì aveva sede il Cln, dove erano rappresentati tutti i partiti …[4]

Con l’8 settembre laalleati in livorno 19 luglio popolazione livornese si era sparsa anche nella provincia pisana  e il comando militare della resistenza era diventato interprovinciale; Pisa e Livorno, con responsabili Guelfi Aramis e Dino Frangioni, come ricorda Danilo Conti. E a Castellina Marittima si costituì una concentrazione antifascista, cui seguì la formazione di un  raggruppamento partigiano, dove c’erano anche Vasco Jacoponi, Armando e Bruno Gigli. E Conti aggiunge: “Per quanto riguarda la costruzione dell’opposizione ai repubblichini, cioè alla repubblica proclamata il 12 settembre 1943, la nascita del movimento di Resistenza dalle nostre parti, senza tema di smentita, la si deve agli ex detenuti politici, che vennero fuori dalle galere fasciste. Fra questi io e Benifei[5].

Nei giorni che precedono il 19 luglio nel territorio intorno alla città, fra le colline e il mare, la gente armata era pronta ad intervenire, mentre si rincorrevano le voci sulla prossima entrata degli americani; chi diceva che fossero a Quercianella, chi a Castiglioncello, chi a Montenero. La sera del 18 sembrava davvero la volta buona: “verso le 7 di sera si vede sfilare l’artiglieria tedesca che in assetto di guerra va verso Pisa. Che tutto finisca così…[6] si chiede Gastone Razzaguta che era stato tra i pochi a non “sfollare” ed era rimasto in città con la madre malata.

“Intanto i partigiani del ‘decimo distaccamento’ continuavano la loro battaglia. Avevano già avuto i loro morti ed i loro feriti … La notte, lungo i dorsali delle colline, ferveva un’intensa vita di preparazione. Ognuno sentiva che l’ora dello scontro si avvicinava. Gli alleati da alcuni giorni avevano superato Siena e si erano stabiliti a Volterra. Nel segreto del buio, non pochi cercavano di scorgere all’orizzonte, le vampe dei cannoni: i chiari segni della battaglia”.[7]

19-luglio-1944bisAroldo Figara, allora ventisettenne membro del C. L. N. provinciale come delegato del movimento dei cristiano-sociali, rivive con la memoria quei giorni; ad Antignano la gente fece sventolare fuori dalle finestre asciugamani e lenzuoli bianchi.

“Era il segno della resa così come aveva suggerito di fare il Comitato di Liberazione provinciale …La mattina del 19 luglio, avendo saputo tramite il C. L. N. dell’imminente arrivo degli americani, partii prestissimo da Antignano, dove abitavo, e raggiunsi a piedi l’Ardenza.

Là, insieme agli altri esponenti del Comitato, ci incolonnammo dietro una bandiera tricolore, pronti ad accogliere i liberatori. In via del Mare vidi spuntare la jeep del maggiore Keith che era accompagnato da altri tre militari. Dietro di loro un camion con le mitragliatrici sul tetto”.[8]

Anche De Maio ripercor24-luglio-1944bisre quei momenti: “La storia dice che la liberazione di Livorno avviene il 19 luglio, in realtà però la notte del 18 gli americani già stavano occhieggiando dal Castellaccio. Si vedevano squarci di fari, mentre i tedeschi scappavano. La città era liberata e Il giorno dopo entrammo ad Ardenza. La popolazione applaudiva, ma non ci fu tripudio. Nel pomeriggio mia madre morì. La sera con mio padre, a Collinaia, all’imbocco della strada che porta a Colognole, incrociammo due tedeschi. Uno camminava trasportando su una carriola da muratore un compagno ferito, con la mascella dilaniata. Io, mio padre Dino e Finocchietti li aiutammo a passare il ponte. Non so che fine abbiano fatto. “[9].

americani livorno liberataEd ecco che si videro apparire i carri armati alleati:  “è il 19 luglio. Una magnifica e calda giornata di sole. Nelle strade, fuori dalla “zona nera”, alcuni cittadini corrono incontro agli alleati, ai partigiani che sono con loro. La città torna a vivere del clamore della gioia perduta da tanto tempo.”[10] Già di mattina presto c’era stata animazione per le strade, tutti quelli che erano rimasti a Livorno erano già fuori, qualcuno gridava “Sono arrivati gli americani a Colline”,  proponendo di andargli incontro.

Dalla Valle Benedetta scendono imponenti carri armati, appaiono jeeps veloci e camions pieni di soldati americani di colore, sorridenti che buttano caramelle e prendono al volo i pomodori che gli vengono tirati. Ci sono anche “soldati vestiti con divise alleate tinte di verde scuro e alla manica sinistra uno ‘stivale’ ritagliato: sono i prigionieri italiani collaboratori. Si vedono dei civili con bracciale tricolore e fucile: sono i partigiani. Altri ne arrivano sopra gli automezzi sono le truppe alleate[11]

Il 26 luglio l’aviazione tedesca sferrò un ultimo bombardamento alle ore 23 . Poi iniziò la lenta opera di ritorno alla vita civile. Il disarmo voluto dagli alleati avvenne pacificamente, mentre sembra essere stato più difficile passato l’Arno, come afferma G. Benifei[12].

Uno dei problemi da risolvere fu comamericani a livornobattere la delinquenza e riportare all’ordine una situazione frantumata dal punto di vista sociale e istituzionale. La questione delle “segnorine” che venute dal sud si erano stabilite nella pineta di Tombolo coi soldati americani, più che altro di “colore”, è uno degli esempi più squallidi del degrado morale che deriva dalla miseria, dalla distruzione del tessuto sociale e familiare. Ma fu anche il momento della resa dei conti, di una giustizia immediata o affidata ai competenti organi di giustizia, e ci fu chi pagò per misfatti compiuti anche vent’anni prima.

livorno liberata segnorineIniziò subito, con la vigile presenza del Comando alleato, la ricostruzione della città e la nomina dei componenti delle amministrazioni che dovevano occuparsi della rinascita di Livorno guidata dai partiti usciti vittoriosi dalla resistenza. E il problema emergente fu quello della casa, dare un tetto ai livornesi che ritornati in città avevano trovato la propria rasa al suolo. Carlesi[13], uno dei tanti “sfollati”, aveva a quel tempo sei anni ma ha ancora vivo il ricordo di quei giorni. Aveva cercato rifugio con la sua famiglia a Terrinca di Stazzema, dopo l’8 settembre il fratello maggiore era andato insieme ai partigiani sulle colline ma ogni tanto tornava con il timore di essere scoperto dai tedeschi, che ricorda stanziati lì col corpo degli “Alpini” e non tanto temibili come le SS.

I ricordi spaziano tra questi eventi che colpirono la mente di un bimbo, di un rilievo dirompente a livello emozionale.

“Una volta insieme ad altri bimbi si scoprì delle micce per la polvere da sparo delle cave, che si fece scoppiettare, quando i tedeschi se ne accorsero ci volevano fucilare, ma non lo fecero, invece ci fecero bere birra e fumare sigari per tutta la notte e la mattina dopo ci sembrava di morire, ma eravamo sempre vivi. Un’altra volta vennero nella casa dove si stava e ci chiesero una seggiola, la mia mamma gliela dette senza fiatare, la portarono fuori, ci legarono una donna, la fucilarono e poi vennero a riportarci la seggiola, una volta invece mentre c’era un bombardamento, una scheggia mi entrò in un polpaccio e mi curò il dottore degli alpini, un tedesco che parlava anche italiano, lui diceva sempre di voler rivedere il suo figliolo che era in Germania e aveva la mia età,  fischiettava una canzone e mi disse che quando avrei sentito quella canzone voleva dire che era vicino, che ci eravamo ritrovati”.

Il racconto prosegue con la liberazione di Livorno e il ritorno a casa.

Quando si veniva da Terrinca e si cliberazione livorno 2amminava, senza scarpe ma solo con calzerotti grossi fatti dai pastori,   lungo il ritorno si vide ad ogni olivo – saranno stati 20/30 – un partigiano impiccato con il filo spinato e per la strada tanti altri cadaveri.

Si trovarono anche gli americani che sminavano e uno di loro, nero perché erano più che altro i neri che avevano questi compiti, ci disse che se gli si lavava la jeep ci avrebbe ricompensato a scatolette, mi ricordo ancora che mangiai così tanto da scoppiare.

Si arrivò al “Grillo”, c’era un campo dove gli americani  avevano fatto concentramento per i prigionieri tedeschi. Mentre portavano la colonna tedesca sentì fischiare una canzone, era quella che fischiava quel dottore tedesco in Garfagnana, andai lì e mi abbracciò.”

I ricordi sono come un fiume che quando inizia il suo corso procede senza interruzioni e questo ragazzino di una volta avrebbe ancora tante immagini che si sono stampate nella sua mente da raccontare. Poco lontano la guerra continuava. Ai primi di agosto i tedeschi si ritirarono dietro la linea dell’Arno. Alla Quinta Armata americana fu affidato il settore tirrenico, all’Ottava Armata britannica quello adriatico. La Quinta Armata raggiunse Pisa il 2 settembre Lucca il 6 e Pistoia il 12, mentre i tedeschi si stanziavano sui passi appenninici.

I tedeschi risposero all’avanzata alleata con rappresaglie contro civili inermi; le stragi più note sono quelle di Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, veri crimini contro l’umanità.

[1] G. Razzaguta, Livorno nostra, “Distruzione di Livorno”, pag. 96
[2] Il Decimo distaccamento che faceva parte della Terza Brigata Garibaldi aveva presso la c.d.  “grotta dei banditi” a un paio di chilometri dal Castellaccio il suo rifugio; il ritrovamento di questo luogo è stato possibile grazie ad una rilettura delle memorie di Bruno Bernini, comandante del Decimo Distaccamento. Ma nelle memorie di Bernini c’erano anche tutti i problemi e le difficoltà di far nascere una banda partigiana così vicino ai centri abitanti: c’erano tanti giovani alla macchia che, dopo l’8 settembre, erano in fuga per scappare al reclutamento forzato fra  repubblichini e rastrellamenti dei nazisti, e dunque non potevano rientrare in città; in http://iltirreno.gelocal.it/ Mauro Zucchelli
[3] Tratto dalla rivista dell’ANPI “Patria indipendente” del 24 Settembre 2006 pp. XIII – XIV – XV
[4] R. De Maio, «Gli americani si divertivano a lanciarci il pane», in http://iltirreno.gelocal.it/ Giulio Corsi
[5] La Liberazione, Comune di Livorno, intervista a Garibaldo Benifei, Osmana Benifei, Danilo Conti, tip. Debatte Otello, febbraio 1997
[6] G. Razzaguta, Livorno nostra, “Visto con questi occhi sentito con questi orecchi”, pag. 205
[7] A. Dini, Il cammino della follia, Belforte ed., 1992, pag. 361
[8] “La Settimana – Toscana Oggi” del 18 luglio 2004
[9] R. De Maio, cit.
[10]A. Dini, op. cit., pag. 362
[11] G. Razzaguta, op. cit., pag. 206
[12] La Liberazione, cit.
[13] Chi vuol parlare con B. Carlesi può trovarlo al C.P.A di Antignano

Recommended For You

About the Author: Pisorno