Massimo Ruberti ha pubblicato, per NOstress Netlabel, l’ultimo ep, Granchite Yumtruso PT 1. dove, ritroviamo musica elettronica influenzata dall’ambient e dalla psichedelia
13settembre 2016 da Enrico Bulleri
Quasi un ritorno alle sonorità delle origini di un certo ambient e post-minimalismo situato nella prima parte degli anni ottanta, ma forgiato nella medesima forza del precedente “Armstrong”. E anche questo è un lavoro molto intelligente, dedito ad una ricostruzione del codice musicale di un’elettronica anni ottanta e novanta “adulta” e quale noi amiamo.
Rendendoci oramai bene partecipi delle sue capacità, Ruberti crea un album le cui tracce sono sapientemente amalgamate seguendo uno spirito e un’ispirazione che sa reinventare -e con conquistata sapienza- le diverse reminiscenze derivate da molta musica anni ’80 Berlin School, minimal, e post-industrial. Dalle risultanti sonore costruite sempre in maniera inedita e particolarissima, anche per il suo personale percorso musicale, così evidente nelle virate di classe della traccia 1 “Snorri/Hollow Earth”, e della traccia 2 “Pink Cave”.
La cover coglie l’immagine di quello che pare un intarsio su tessuto che potrebbe essere indiano, come slavo, e che ben simboleggia in copertina lo scenario di suoni pulsanti che il disco raccoglie, vivi e pieni di tensione ma come imprigionati nella staticità delle forme, appunto ben colti nella loro contraddizione, dalla composizione multiforme dell’immagine scelta.
I suoni, soprattutto di “Metal Talking Artifact Box”, la traccia 3, e di “Spider Guardian Machine”, la traccia 4, sono a loro modo ricchi di pathos come di vissuto, ma eseguiti imprigionando il tutto in una veste gelida che conferisce un risultato di inusitata, algida bellezza. Basti riascoltare i suoni di tromba asciutti e cristallizzati nei loro loop sonori di “Metal Talking Artifact Box”, architetturalmente “definitivi”.
Anche “Granchite Yumtruso Pt.1” come per tutti i lavori di Ruberti, va valutato nel suo insieme. A dimostrazione delle varietà di suoni e inserti che lo contraddistinguono, e lo contrastano anche curiosamente. Come nella trascinante ritmica digitalizzata e post-industrial di “Spider Guardian Machine”.
Dalla quale l’ascoltatore attento ne potrebbe desumere tranquillamente scene di cupa, notturna e urbana azione, perfette a sottolineare sequenze di “The Dark Knight” o “The Dark Knight Rises” nelle quali pare che un intero universo si stia sfaldando, per un pezzo ricco di sonorità elettroniche new wave da anni ’80 e pathos raffinato, dato il suo affascinate, raggelato, ossessivo incedere vagamente carpenteriano, e nel quale alla fine pare anche di tornare a incontrarsi con i canoni del minimalismo ottantesco alla Steve Roach, o alla Michael Stearns.
Oppure in quella gemma di semplicità e complessità assieme che risponde al titolo di “Snorri/Hollow Earth”, la prima traccia dell’album già menzionata, dalla bellezza rara e sfuggevole e in cui con maestria tutto si ricrea e nulla si sostituisce.
L’ascoltatore attento, sentirà allontanarsi e avvicinarsi ai suoni a crescenti velocità, non solo nel tempo ma nella stessa sua coscienza, così come peculiare caratteristica evocativa e immaginativa, del migliore krautrock; per un disco d’annata nella sua contemporaneità più immediata, e che rimarrà da ascoltare e riascoltare per tanto tempo.
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