Il libro di Carlo Smuraglia, partigiano ed ex presidente dell’Anpi: ”Non abbiamo combattuto solo per la libertà, ma per la democrazia e la solidarietà. È questo che ricordiamo”
21aprile 2018 di Carlo Smuraglia
Nel mio vissuto la fine della guerra e la consacrazione della vittoria non coincidono esattamente con il 25 aprile. Quel giorno del 1945 io ero, con la divisione Cremona, in Veneto, dove stavamo liberando paesi e villaggi, con i tedeschi in fuga. In uno di quei giorni, nel corso di una battaglia fu ucciso il capitano più amato da tutto il nostro plotone. I tedeschi, ritirandosi, cercavano di distruggere il più possibile e noi cercavamo di salvare le infrastrutture (ponti, ferrovie, strade) e i beni (scuole, chiese, opere architettoniche, opere d’arte).
Fu prezioso l’aiuto dei partigiani che, dov’erano attivi, svolsero, oltre alla guerriglia anche la funzione di limitazione dei danni cercando di incalzare i tedeschi per non dar loro il tempo di distruggere tutto o di fare delle stragi. Se non erro, a Venezia siamo arrivati il 28-29 aprile. La fine del mese di aprile del 1945 fu per me un insieme di giorni meravigliosi in cui entravamo nei paesi e nelle città, e la gente ci applaudiva e ci riconosceva come liberatori; ogni volta era una festa incredibile. Ricordo quei giorni tra i più belli che abbia vissuto perché c’era un grande entusiasmo. La gente considerava il nostro arrivo come la fine dellincubo della guerra, dell’occupazione dei tedeschi, dell’arroganza dei fascisti della repubblica sociale. Ovviamente, in questi paesi c’erano anche i fascisti, ma non in piazza. La maggior parte della popolazione ci gettava fiori, le donne ci abbracciavano e cercavano di aiutarci in tutti i modi. Ricordo un villaggio in cui, convinti che nell’esercito americano si mangiasse tutto in scatola, ci portarono farina per fare la pasta e i ravioli. Erano felici e, se potevano, ci fermavano per dividere quel poco che avevano. Noi ricambiavamo con sigarette americane o inglesi che erano ancora una merce molto rara.