In merito alle celebrazioni, a cui ovviamente ho preso parte, per i 70 anni della liberazione di Livorno dal nazifascismo.

RaspantiVorrei intervenire sul tema del fascismo e dell’antifascismo: sulla loro attualità agli occhi delle giovani generazioni di cui, nelle celebrazioni ufficiali, spesso deploriamo l’assenza. Credo valga la pena, in apertura del mio ragionamento, ricordare come possano esservi ben pochi dubbi sul fatto che il processo di affermazione della democrazia in Italia sia tutt’uno con quello della defascistizzazione del Paese, e come la Costituzione nasca per rendere permanente la defascistizzazione di fatto iniziata con la Resistenza. Credo valga la pena anche suggerire una lettura in questo senso della contestazione degli anni 70′: come compimento di questo processo avviato trent’anni prima. Perché lo dico? Per chiarire subito che i valori antifascisti sono il nucleo della nostra democrazia. Possiamo dunque avventurarci nella riflessione che mi propongo di condividere, ma con un’ultima richiesta da parte mia: di mettere per un momento tra parentesi le ultime vicende elettorali, la mia partecipazione e il mio ruolo in esse, e di prendere questo intervento come un contributo all’intelligenza collettiva. Iniziamo.

Ora, quando parliamo ai giovani di fascismo, del fascismo storico, è difficile impostare contestualmente la questione dell’attualità del fascismo, della sua forma essenziale e, per così dire, distillata dalla storia. Questione invece quanto mai urgente, tanto più quanto allarghiamo lo sguardo al mondo intero. Al di là dei richiami vichiani ai corsi e ai ricorsi, c’è qualcosa di logicamente stridente, agli occhi delle giovani generazioni, tra una cosa successa 70 anni fa (per un adolescente 70 anni sono un salto nella preistoria) e la dichiarazione della sua attualità. Ai giovani, e in particolare ai bambini, la storia di massima importa poco: molto meno del futuro. Il loro stesso funzionamento cognitivo è tutto rivolto all’avvenire. Dovremmo tenerne di conto, specie quando siamo chiamati a impostare i nostri interventi educativi. Il rischio altrimenti è che accada con la storia e con i valori che essa ci ha insegnato ad apprezzare come irrinunciabili quel che accade nell’apprendimento delle lingue straniere, che la nostra scuola pretende di insegnare a partire dalla grammatica, cioè dall’uso consapevole delle norme che della lingua regolano il funzionamento. Come se noi dovessimo imparare l’italiano attraverso l’analisi grammaticale, per capirci.
Come se non imparassimo prima a parlare e poi ad analizzare la lingua che parliamo, cioè a riflettere su di essa. L’apprendimento ha la sua molla nel bisogno. Il presupposto razionalista del nostro sistema educativo (e ancor di più di quello che ha formato gli educatori che vi operano) esalta la comprensione intellettuale: se capisci qualcosa agirai poi di conseguenza. Con buona pace di emozioni, sentimenti, istinti. E delle prove di fatto fornite da sociologi, antropologi e psicologi sociali a favore della tesi opposta: capire cosa sia giusto in astratto non basta a far sì che poi abbiamo la capacità di declinare l’ideale nei controversi casi della pratica quotidiana del mondo.

La questione del fascismo è la questione della violenza, della persecuzione, dell’intimidazione, della prepotenza liberticide e non di rado assassine. Il fascismo come regime si ha quando le istituzioni fanno da sponda a simili comportamenti, ma quando si arriva a tanto siamo già ben oltre la questione della prevenzione di cui stiamo trattando, in soldoni, quando parliamo di rendere attuali i valori antifascisti agli occhi dei giovani. Sono quindi i comportamenti fascisti a cui dobbiamo fare attenzione, e sono i comportamenti fascisti su cui dobbiamo lavorare per prevenire nuove cadute nella barbarie totalitaria. Comportamenti che le persone per lo più mettono in atto senza alcuna intenzione di commettere atti fascisti, e spesso senza nemmeno essere fascisti, salvo il fatto che fascisti non si nasce ma si fa presto a diventarlo. A tal proposito, è esperienza comune che non basti un rimprovero, il richiamo alla loro ingiustizia, qualche sculaccione a persuadere gli inconsapevoli perpetuatori di condotte fasciste della loro odiosa stupidità. Serve un’educazione precoce e costante dei comportamenti, che ricorra a mezzi e approcci esperienziali, che coinvolga le persone nella loro integrità psico-fisica, che usi l’esperienza personale (e soprattutto la sua simulazione) e la riflessione su di essa come molla della comprensione e base solida per la costruzione dell’impalcatura concettuale a cui l’istruzione è preposta. La sequenza dovrebbe in sostanza essere questa: imparo a valutare i comportamenti in base ai loro effetti su di me e sugli altri (dei quali devo imparare a indossare i panni attraverso l’allenamento della immaginazione morale), scopro i valori che li ispirano e infine vengo a conoscere i processi storici attraverso i quali questi valori si sono affermati a costo della vita e della sofferenza di persone come me. Non l’opposto. L’opposto, cioè pensare che la storia (quella degli altri, dei bisnonni se va bene!) sia di per sé magistra vitae, è antiempirico, contrario all’evidenza dei fatti.

Dobbiamo fare in modo che i bambini si rendano conto che i comportamenti antisociali (che il fascismo istituzionalizza e incoraggia) sono, non solo moralmente sbagliati, ma anche inefficaci, perché li allontanano dal comune obiettivo, che è poi una necessità evolutiva ed esistenziale, di costruire buoni rapporti di collaborazione e sostegno tra simili. Che al di là dell’immediato, e spesso neanche nell’immediato, non portano che a una situazione di maggiore instabilità delle relazioni, con maggiori rischi di un aumento esponenziale delle condotte aggressive tra pari.

Questo, si badi bene, non vuol dire rinunciare alla storia, alle celebrazioni, alla memoria e alla sua istituzionalizzazione. Anzi: significa ricostruirne le basi, oggi che il passare del tempo ha rivelato che quelle su cui abbiamo fatto affidamento finora erano in larga parte legate alla presenza in vita di ampie fasce di popolazione che la guerra, il fascismo, la lotta partigiana le avevano vissute in prima persona, cioè ai testimoni e alla loro prole. Ma i testimoni diminuiscono di numero di anno in anno, e nuove generazioni si frappongono tra il presente e quegli anni drammatici. Ci troviamo di fronte oggi al compito di risvegliare l’interesse dei giovani per qualcosa da loro sempre più lontano nel tempo, l’Italia e l’Europa della prima metà del secolo scorso. E il modo migliore di farlo è partire dalle manifestazioni di fascismo, nella sua forma distillata dalla storia, a loro più vicine, che diano alla storia di 70 anni fa un senso ai loro occhi rivolti al futuro.

Le situazioni in cui comportamenti fascisti- cioè prevaricanti e intimidatori quando non esplicitamente violenti- sono in azione non si contano. Come, al contrario, abbondano quelli che raccontano i progressi civili della nostra società. C’è tuttavia un fenomeno nelle nostre scuole che,
in base a molti autorevoli studi, rivela significative somiglianze con le modalità e le logiche delle persecuzioni fasciste e con i comportamenti squadristi: il bullismo. Lo cito forse per deformazione professionale e per esperienza privata. Ma non solo. La relazione che il bullo instaura con l’ambiente, così come quello che stabilisce la vittima, richiamano nelle modalità psicologiche i rapporti che si riproducevano nei lager. Del bullismo cadono vittima ragazze e ragazzi di ogni tipo, non di rado stranieri, omosessuali, disabili. Ecco: prevenzione del bullismo e promozione delle condotte prosociali nella scuola. Questo, a dispetto delle apparenze e della mancanza di un richiamo diretto alla storia, oggi costituisce un vero atto antifascista e un investimento sul futuro della democrazia. Una ipoteca di pubblico per la Storia e le sue celebrazioni, di cui certo non possiamo fare a meno e alle quali la politica, tutta la politica, è tenuta a presenziare.

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