La cultura come “servizio pubblico essenziale” per valorizzarla, non per limitare diritti a chi ci lavora. Scioperi anche alla National Gallery

colosseo Giu le mani dai palazzi di Eur SpaIn Italia, prosegue la polemica del Governo sull’assemblea sindacale dei dipendenti al Colosseo, che ricordiamo è stata regolarmente comunicata e poi regolarmente autorizzata con la chiusura al pubblico per alcune ore e, che tuttavia è stata presa a pretesto dal premier Renzi  per aprire una campagna mediatica, per giustificare le inefficienze di chi amministra.

21settembre 2015 fonte finestresullarte.info, da articolo di Federico Giannini

National Gallery sciperoIntanto, i media tacciono il fatto che a Londra circa 200 dipendenti della National Gallery, del sindacato Public and Commercial Services (PCS), hanno attivo un contenzioso, con scioperi anche a  oltranza, per il motivo è che anche nella capitale inglese si sta realizzando quanto è già stato fatto in Italia, senza nessuna concreta reazione da parte dei cittadini o dei sindacati, cioè la privatizzazione di molti servizi (proprio quelli che Renzi e Franceschini oggi determinano come essenziali.

Gli scioperi indetti nel museo londinese, dall’inizio dell’anno risulterebbero essere di ben 56 giorni a partire da febbraio, con uno sciopero non-stop di 10 giorni a maggio, quando è stata licenziata la sindacalista Candy Udwin, una delle più ferme contestatrici delle privatizzazioni (per ordine del tribunale è stata poi reintegrata, ma non le è ancora stato concesso di tornare al lavoro).

National GalleryIl conflitto ha origine dalla decisione del direttivo della Galleria che ha firmato un contratto di affido per una serie di servizi legati all’accoglienza dei visitatori a una ditta privata specializzata in mansioni di sicurezza, chiamata Securitas. I lavoratori assunti dalla ditta si occuperanno, per esempio, del guardaroba, della sicurezza, ma anche della custodia delle sale. Il rischio concreto per i dipendenti della National Gallery (oltre, ovviamente, a quello di rischiare la certezza del lavoro o di vedersi ridurre gli orari) è quello che una parte di essi, attualmente in organico alla Galleria, passeranno alle dipendenze della Securitas che inciderebbe significativamente sui contratti e livelli professionali acquisiti, considerato che questa ditta non si occupa soltanto di musei, ma anche di sicurezza negli aeroporti, negli uffici, nei supermercati. Pertanto persone che lavorano da una vita alla National Gallery potrebbero essere trasferite in qualsiasi momento altrove con altre mansioni.

Persino per la qualità del servizio questa non sarebbe una buona notizia, in quanto potremo trovare per le sale del museo, personale completamente digiuno in fatto di storia dell’arte, senza conoscenze sui dipinti, e quindi incapace di dare informazioni anche minime ai visitatori. Non dimentichiamo poi che la visita alla National Gallery, come ad altri musei pubblici inglesi, è gratuita: c’è anche il timore che le privatizzazioni possano portare all’applicazione di un biglietto d’ingresso. E non stiamo parlando di un piccolo museo di provincia, ma del secondo museo più visitato di tutto il Regno Unito (e del quarto nella classifica mondiale stilata da The Art Newspaper)

L’opinione pubblica inglese, contrariamente a quanto spesso accade in Italia, sembra solidarizzare con i lavoratori, i più riconoscono l’importanza dello sciopero e supportano i lavoratori, augurano loro buona fortuna. E il perché sia legittimo sostenere lo sciopero ed esprimere dunque solidarietà, lo spiega In modo chiaro e semplice l’editorialista Polly Toynbee del Guardian, in un interessante articolo:

“gli impiegati della National Gallery sono una piccola sacca di resistenza contro lo tsunami che sta arrivando per spazzare via quel poco che rimane dei diritti dei lavoratori della nazione”. Quanta differenza tra i commentatori inglesi e la vergognosa campagna mediatica italiana. Ma anche quante similitudini: privatizzazioni che interessano i musei, diritti dei lavoratori messi in secondo piano, musei visti come luoghi per fare profitto piuttosto che come luoghi per fare cultura. Ed è proprio per tutti questi motivi che parte della stampa inglese dimostra di solidarizzare con la protesta. Sarà anche per tale ragione che in Italia, eccezion fatta per qualche giornale di settore, nessuno parla di ciò che accade alla National Gallery?

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