24dicembre 2015 – di Massimo Fanucchi
Nel tentativo di definire la realtà, la filosofia ruota intorno a quattro principali ed estreme visioni: l’Idealismo assoluto (la mente è la sola realtà); lo Scientismo (la materia è la sola realtà); il Post-modernismo (il significato culturalmente costruito è la realtà); la Teoria dei Sistemi (la rete della vita è la realtà).
E’ possibile esplorare la realtà da una prospettiva radicalmente “nuova”, a partire dalla concretezza dell’esperienza interiore? Il “Non dualismo”, a cui si ispira la presente nota, è un percorso che non ha verità da rivelare né insegnamenti da impartire. Più modestamente, indica solo qualcosa che è sempre evidente, ma per abitudine non viene mai notato. Pertanto, non c’è niente di meglio che iniziare con qualche domanda:
Quanti di noi hanno incontrato un insegnante, di ogni ordine e/o grado, che ci ha posto la domanda su che cosa sia consapevole della propria esperienza personale e, quale sia la natura di quella consapevolezza (o coscienza) che viene definita come “Io”? In altre parole: Chi sono io? Che cos’è la coscienza? Da dove viene? Come sorge l’esperienza di un io individuale? Che cosa c’è alla base dall’esperienza personale? C’è un mondo “la fuori” indipendente dalla percezione?
Non è forse un fatto incredibile, il non aver mai incontrato, a parte rarissime eccezioni, un simile insegnante?
Un intero sistema educativo dirige la nostra attenzione soltanto sui pensieri, le sensazioni e le percezioni, senza che nessuno ci abbia invitato a domandarci: c’è qualcosa che è consapevole dei tuoi pensieri, percezioni e sensazioni?
Chi legge non pensi di trovare qui le risposte a domande che nessuno gli/le ha mai posto. In primo luogo perché le risposte, anche se le avessimo, sarebbero nostre e non vostre, quindi per voi solo concetti astratti di nessuna utilità. In secondo luogo perché per trovare le risposte a queste domande occorre mettere da parte tutto ciò che gli altri e la nostra cultura ci hanno detto su di noi, per affidarci esclusivamente all’esperienza diretta, perché solo l’esperienza può essere la riprova di qualunque verità.
Qui c’è solo l’invito ad iniziare a svolgere lo sguardo verso “chi legge” e verso la Presenza consapevole che fa da sfondo costante alla lettura di questa nota.
Ci sono solo due cose che nessuno può mettere in discussione, cioè il fatto che siamo presenti e anche consapevoli di essere. Tutto il resto appartiene alla categoria dei concetti e dei pensieri, talvolta utili per vivere, talaltra dannosi e autodistruttivi. Se siamo d’accordo sul fatto che siamo presenti e consapevoli possiamo passare alla prima inevitabile domanda: che cos’è in noi che è consapevole di essere consapevole?
Abbiamo ereditato e accettato la credenza di fondo che la presenza consapevole risieda nel corpo-mente. Questa credenza, insieme a quella che la nostra pelle sia il nostro confine, è estremamente potente e condiziona profondamente il nostro modo di pensare, sentire, agire e relazionarci. Ma è vera? Se la nostra presenza consapevole risiede nel corpo-mente, perché siamo consapevoli del nostro corpo e dei nostri processi mentali, così come lo siamo dei suoni e degli oggetti “esterni”?
E’ possibile esperire direttamente che la consapevolezza è ciò che è sempre presente, qui e ora, in ciascuno di noi?
Qualcuno potrebbe obiettare di non essere consapevole durante il sonno profondo, anche se in realtà non può saperlo. Per sapere di non essere consapevoli nel sonno profondo occorrerebbe essere lì a testimoniare questa presunta assenza di consapevolezza. Cosa ovviamente impossibile, perché per essere lì a testimoniarlo bisogna essere consapevoli.
Se ci atteniamo all’esperienza diretta e andiamo un po’ più a fondo, possiamo anche sperimentare direttamente che il corpo e la mente non percepiscono, ma sono percepiti, non conoscono, ma sono conosciuti. Possiamo anche intuire che non è l’Io Corpo-Mente che è consapevole del mondo, ma che è questa presenza consapevole che conosce il corpo, la mente e il mondo.
Non si tratta di diventare consapevolezza grazie alla nostra indagine, ma di comprendere che siamo solo e soltanto presenza consapevole, con l’unica differenza rispetto a prima che adesso lo sappiamo. Qualcuno ha sperimentato qualcosa al di fuori della coscienza? Qualcuno ha sperimentato un posto o un luogo che sia al di fuori della coscienza? In realtà noi non conosciamo il mondo, conosciamo soltanto il conoscere.
In questo preciso momento, molto probabilmente, chi legge è seduto. Il “suo” corpo e la “sedia” non sono forse presenti in un’unica sensazione? In genere la sensazione-corpo è considerata “me” e la sensazione-sedia “non me”.
Ma questa divisione avviene arbitrariamente per opera della concettualizzazione, perché nell’esperienza diretta c’è una sola sensazione, una percezione indivisibile. La sensazione non può essere entrambe le cose, il corpo e la sedia, e neppure nessuna delle due, perché ognuna di queste due cose ha significato solo in relazione all’altra. Corpo e sedia sono solo nomi che il pensiero sovrappone all’esperienza con l’aiuto della memoria. E’ il pensiero che divide l’intimità indivisa in due parti.
Quando osserviamo un albero c’è una percezione, che potremmo definire “percezione del vedere l’albero”. La scissione tra noi e l’albero visto come entità distinte avviene dopo, ad opera del pensiero.
Nell’immediatezza della percezione non potete togliere nessuno dei due elementi: noi e l’albero. L’esperienza è una totalità indivisa in cui è impossibile trovare due parti o entità separate, una interna e l’altra esterna. Il “percettore” non può esistere da solo: richiede che ci sia qualcosa da percepire. La conoscenza avviene nell’identità, non nella relazione. Tutto ciò che appare DELLA mente, DEL corpo e DEL mondo è in continuo cambiamento.
C’è invece nell’esperienza qualcosa che non cambia mai? Tu! La cui esistenza come entità separata è tutta da dimostrare.
Ma questo “Tu” (lo schermo su cui appaiono e scompaiono tutte le immagini senza lasciare alcuna traccia) non potrai mai trovarlo perché lo sei già e, lo sei sempre stato nella consapevolezza. Non “sempre” nel tempo, ma eternamente nell’adesso, privo di temporalità. Quel tempo definito “verticale” dalla nuova fisica, contrapposto alla freccia del tempo che scorre, da un punto di vista relativo, dal passato al futuro.
Occorre quindi invertire la direzione della ricerca dall’esterno all’interno, e iniziare a investigare le costruzioni della mente domandandoci: che cosa sono la memoria, lo spazio, il tempo, l’io separato, il mondo e cosi via? Tutte queste domande potrebbero essere fondamentalmente un’unica domanda, e perciò avere un’unica risposta che ognuno deve trovare dentro di sé, perché presa in prestito da altri o letta nei libri sarebbe solo una mera credenza, come tante altre.
Secondo l’insegnamento “Non dualista” la risposta, quando e se arriva, non è un’altra costruzione del pensiero ma il pensiero stesso nella sua sostanza.
Se il percorso di ricerca intrapreso avviene con successo, il ricercatore raggiunge una comprensione transverbale e transrazionale (che non significa irrazionale) diretta e improvvisa, tanto semplice quanto straordinaria: la realtà ultima delle cose non è conosciuta dalla mente, ma fatto ancora più importante, è inconoscibile dalla mente stessa.
Di nessuna cosa sappiamo cosa sia. Anzi, non sappiamo neppure se le “cose” esistano. Qui è il caso di sottolineare, ancora una volta, che senza l’esperienza diretta anche l’insegnamento “Non duale” resta soltanto una credenza in più.
Secondo la tradizione, la strada per arrivare a questa conclusione passa spesso attraverso – anche se non necessariamente – diverse tappe intermedie di comprensione sempre più raffinate, ciascuna invalidata da quella successiva.
Prima si arriva alla conclusione che i pensieri, le sensazioni e le percezioni appaiono “A noi”. Poi che avvengono invece “IN noi”. Naturalmente, neanche questa conclusione è vera, ma essa è più vera dell’affermazione precedente. Un altro passo in avanti consiste nella conclusione che tutto ciò che conosciamo è pensare, percepire e sentire. Ma anche questo non è vero.
Di cos’è fatto quel sentire, percepire e pensare? E’ fatto soltanto della conoscenza che ne abbiamo. Un altro piccolo parziale passo avanti. Ma che cos’è che conosce quel conoscere? E’ il “conoscente” che conosce il conoscere. Ma per avvicinarci ancora di più occorre lasciar perdere e lasciar cadere la mente, perché a questo punto essa è giunta al suo limite. La stessa credenza culturalmente scontata che ci sia qualcosa al di fuori della nostra coscienza potrebbe entrare in crisi. Gli stessi fisici questo qualcosa non lo trovano e forse non lo troveranno mai, perché potrebbe non essere li!