Lamberto Giannini “Quel qualcosa che non trovo”, la recensione di Maurizio Sciuto

Lamberto Giannini, “Quel qualcosa che non trovo”

Edizioni del Boccale 2016

qualcosa che non trovoLivorno, 10 maggio 2016 di Maurizio Sciuto

Ho fatto un po’ di fatica a cominciare la lettura di questo libro autobiografico perché sono legato all’autore da un’amicizia ventennale, e mi spaventava la densità emotiva di certi passaggi colti qua e là scorrendo in fretta il testo. Una sera ho preso in mano il libro per leggerne le prime pagine, ma non ce l’ho fatta a interrompermi e ho proseguito la lettura, nel cuore della notte, fino all’ultima pagina, quasi d’un fiato.

Nessun testo autobiografico, lo confesso, mi ha preso così tanto sin dai tempi, molto lontani, in cui ho letto le “Confessioni” di Rousseau. Non solo per l’amicizia che mi lega a Lamberto (il quale sa, a sue spese, che non gli risparmio critiche anche molto aspre quando non mi convince). Il fatto è che questo libro è molto bello, ben congegnato nelle sue diverse sezioni, scritto con la leggerezza e con il distacco di uno che ha scelto di affrontare una faccenda così rognosa come la propria esistenza “per via di levare” (come diceva Vasari della scultura di Michelangelo), senza mai scadere nella superficialità oggi alla moda – risultando al contrario molto intenso, a tratti addirittura inquietante.

giannini cotetoPer chi conosce Lamberto – per tutti coloro che come me sono presi nella ragnatela dei suoi affetti, ma anche per chi segue le sue lezioni, i suoi spettacoli, i suoi laboratori psico-pedagogici, le sue iniziative politiche – questa sorta di anamnesi è una chiave di lettura preziosa,  una “guida al Giannini” e alla sua instancabile attività creativa. Ma non si tratta solo di questo, perché per quanto ogni testo autobiografico sia per definizione egocentrico, qui non ci troviamo di fronte alla narcisistica autocelebrazione di chi scrive.

La narrazione della prima parte e gli affondi poetici o umoristici della seconda non sono affatto compiaciuti, intimistici, “ombellicari”, bensì, al contrario, “pieni di mondo”, come lo è vita di Lamberto, un uomo affamato di realtà. Sullo sfondo, la tanto amata Livorno, alla quale sono dedicate anche alcune pagine molto divertenti, a tratti esilaranti; al centro,  il rapporto madre-figlio, la morte, il lavoro (inteso come passione, come vocazione amorosa), il senso della vita (quel qualcosa che non trovo), questioni fondamentali che vengono trattate con la delicatezza e la precisione di uno che sa maneggiare con competenza una ricca cassetta di attrezzi filosofici.

giannini fiorenza

D’altra parte questo libro assomiglia più a un romanzo di formazione che a una vera e propria autobiografia (la narrazione è autobiografica, certo, ma estremamente “costruita” ). Per certi versi, anzi, si tratta – non so quanto intenzionalmente – di una vera e propria summa delle idee del Giannini sull’educazione e sul rapporto genitori-figli. In “Quel qualcosa che non trovo” il lettore trova una illustrazione chiara e incisiva di quanto l’autore è venuto sostenendo nei suoi precedenti libri di argomento pedagogico (Genitori in ascolto, Mettiti il giacchetto e La sfida educativa). Ad esempio, che per un adolescente “crescere” non vuol dire uniformarsi a un modello normativo imposto dall’alto, ma cominciare ad aver cura di sé e acquistare un’autodisciplina erotica – imparare insomma a essere rigoroso nella realizzazione di ciò che ama. “Crescere” – e il libro sembra davvero una geometrica dimostrazione di questa tesi – significa anche fare i conti con gli scherzi del tempo (questo capriccioso fanciullo che gioca a dadi, come lo definiva Eraclito); significa cioè prendere consapevolezza del peso che hanno le circostanze casuali e impreviste dell’oggi nel plasmare il nostro Io di domani.

In conclusione, penso che la lettura di “Quel qualcosa che non trovo” possa essere di grande interesse per chi conosce già il “personaggio” Giannini, per chi vuol vuol saperne di più del suo progetto politico-poetico-pedagogico, ma anche per molti adolescenti inquieti e curiosi e, perché no, per tutti quegli adulti che non hanno rinunciato a crescere. Questo libro ha infatti la forza maieutica di una riflessione critica sull’esistenza che risveglia in chi legge il desiderio di  mettersi a ragionare su se stessi. Per questo motivo, lo confesso, la notte in cui l’ho letto ho fatto fatica a prendere sonno.

Turbato come gli interlocutori di Socrate, che paragonavano la parola del maestro alla scossa di una torpedine marina, non ho potuto fare a meno di immergermi anch’io nel “tempo perduto” dell’infanzia, dell’adolescenza, della prima giovinezza, fino agli anni della maturità in cui la mia vicenda esistenziale si è intrecciata più volte con quella di Lamberto. Esperienza faticosissima, quella di fare i conti con se stessi, ma penso necessaria per “crescere”.

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