Durante il lungo caldo dello scorso agosto, nello spazio incontri del Premio Rotonda, Paolo Diara ha intrattenuto il pubblico interessato, sull’argomento: Vincenzo Elefante, gallerista nel periodo dell’Esistenzialismo livornese.
18settembre 2015 di Ruggero Morelli
Diara, ha esordito parlando del generoso tentativo di Vincenzo Elefante di far conoscere ed apprezzare il lavoro di un gruppo di importanti artisti, che negli anni dell’immediato dopoguerra hanno lavorato a Livorno. Se non l’unico, il più tenace gallerista che ha cercato di lavorare come mercante con questi artisti, in particolare con la “Galleria itinerante”, cercando di portare in luoghi più diversi come centri, fiere, circoli, il loro messaggio nuovo. Ma anche con la piccola galleria di Via Della Gherardesca all’Ardenza.
Si è poi soffermato a illustrare nel dettaglio il significato ed il linguaggio di alcuni di loro. Ha indicato come questi artisti scelsero di utilizzare immagini aspre ed individuali, per la necessità di esprimere il senso profondo del loro sconcerto, del loro turbamento di fronte ai tragici risultati della guerra, della loro solitudine di fronte alle necessità della ricostruzione fisica e morale dell’Italia.
In discontinuità con la visione ottimista e collettiva degli artisti precedenti la loro generazione, quelli che avevano aderito alle illusioni positive ed imperiali. E’ stato abbastanza facile mettere a confronto immagini e lavori degli esponenti del Gruppo Labronico originale, quelli del caffé Bardi, che avevano rappresentato le feste politiche e di società: Le marce su Roma, le battaglie del grano, la vita elegante sui bagni o ai veglioni. Tutti quegli autori ‘’tanto amati a Livorno, cosi accattivanti, Filppelli, Natali, Romiti…’’ E confrontarli con le espressioni del disagio: ‘’poche feste, molto impegno per costruire una maturità nuova, personale più che collettiva: L’ansia spirituale, I vinti, Gli assetati di conoscenza, I testimoni di pace, Le ragazze lunatiche, Le ragazze selvagge, Le immagini dell’era atomica.’’
Insomma i nuovi argomenti degli autori dell'”Esistenzialismo livornese”, come Diara li ha chiamati, (mutuandone la definizione da quella del più noto Esistenzialismo milanese): Benedetti Cocchia, Fiorini, Fontani, Landi, ma anche Nigro, J.M. Berti, Chevrier, Ercolini, Izzi…, e molti altri. Ci sarebbe da domandarsi il perché nel corso di tutta la seconda metà del ‘900, questi artisti bravi e appassionati, non abbiano goduto del favore del mercato, e francamente, neanche di una memoria grata e attenta.
Livorno è veramente una città ingrata verso i suoi intellettuali?
Diara ha continuato ad illustrare questi Autori che cercarono con grandissima passione la loro via e trovarono ognuno il suo proprio linguaggio, in maniera non provinciale né subalterna. Un linguaggio ricco, denso, vivificato dalle esperienze internazionali, da Braque a Rouault, dall’informale alla nuova figurazione, fino alle soglie della Pop art. E con risultati originali e personalissimi, tali da sfatare definitivamente il mito negativo di una Livorno attardata nel crepuscolo provinciale.
Ed ha insistito su questo argomento: ‘’Appare molto più provinciale chi si appiattisce in imitazioni subalterne, chi accetta e stima acriticamente solo le proposte dell’industria culturale globalizzata.’’ Ha citato con favore l’esempio della città di Brescia che ha recentemente negato la propria adesione all’ennesima proposta di una organizzazione internazionale di mostre “monstre”.
Quelle che Diara ha chiamato le mostre di giro. ‘’Non pertinenti, non motivate dal territorio, che offrono proposte vaghe ma spettacolari, tanto accattivanti e di richiamo, quanto poco significative; utili solo alla cassetta.’’ Ebbene Brescia, nelle persone del Sindaco e dell’assessore addetto, hanno declinato l’offerta dichiarando di preferire l’investimento nella crescita e nell’emancipazione del loro territorio. Che non sarà una scelta di rimessa provinciale , ma di rivalutazione e risveglio dei valori locali e della periferia.
Nel citare questa circostanza, ha voluto fare riferimento alla nostra città, con un suggerimento: ”Nelle varie manifestazioni che le amministrazioni pubbliche nel tempo incoraggiarono, quando non direttamente organizzarono, la critica avveduta ed aggiornata, aveva ben riconosciuto il valore di questi autori dell’esistenzialismo ed attraverso i premi acquisto, ne aveva affidato la proprietà ai vari enti. Basterebbe raccogliere tutti gli acquisti che attraverso le molte manifestazioni a premio, furono fatte nel tempo, e salterebbe fuori una collezione abbastanza articolata ed interessante da metter insieme e mantenere in esposizione, ovviamente in locali deputati ed appropriati. Probabilmente la città ne trarrebbe un grande vantaggio d’immagine e soprattutto un arricchimento culturale e di civiltà.’’
Non è possibile che la città sia così appiattita da preferire l’esposizione di false teste, piuttosto che la cinquantennale esperienza rovente dei suoi figli migliori; che non sia capace di valorizzare i propri talenti, a distanza di così tanto tempo, ora che la maggior parte di quei protagonisti se n’è andata senza un saluto riconoscente. Diara si rifiuta di crederlo e incoraggia la città in tutte le sue espressioni a prendere le iniziative più efficaci per correggere questa situazione.