Manipolazioni della realtà nei processi di mutazione sociale

La società è attraversata da profonde trasformazioni ma, quanto noi vediamo oggi è il frutto di anni nei quali i processi di cambiamento erano già stati avviati, pur nella generale sottovalutazione del problema.

9dicembre 2018 da Federico Giusti

Quando applicarono le normative europee per accrescere l’età pensionistica per le donne furono utilizzati bizzarri argomenti, oggi invece ritenuti inappuntabili, che partivano dalla presunta parità di genere per imporre più anni di lavoro\contributi senza considerare fattori dirimenti come la cura dei figli e degli anziani, gli ostacoli nel mondo del lavoro che portano le donne in condizioni di inferiorità quanto a salari percepiti, tipologie contrattuali, anni contributivi, accesso al mercato del lavoro. 

Lo stesso approccio lo ritroviamo in parte nel decreto legge Pillon (rimandiamo a quanto scritto dal movimento NonUnadiMeno), la idea della genitorialità perfetta abolirebbe l’obbligo dell’assegno di mantenimento per il figlio anche se, nella stragrande maggioranza dei casi, sono le donne a ritrovarsi il carico familiare sulle loro spalle senza il supporto materiale e psicologico del marito, non esiste allora in tanti casi affidamento condiviso ne equa ripartizione dei compiti, pensare di stabilirlo per legge trasformando i figli in una sorta di pacchi postale è contrario ad ogni logica e reale consuetudine.  Gli esempi appena fatti dimostrano come la logica dominante si sia appropriata di concetti egualitari per approdare a lidi opposti

Le donne e gli uomini sono uguali di fronte alla legge e quindi, dovrebbero andare in pensione contemporaneamente ma, dimenticando le enormi difficoltà del genere femminile nell’accesso al lavoro. Lo stesso ragionamento potremmo farlo per i genitori separati, esistono padri che si prendono cura dei figli anche più delle madri ma, il presunto egualitarismo non può servire per manipolare la effettiva realtà.

La manipolazione della realtà prosegue in ogni campo e sfera sociale, per esempio in ambito lavorativo.

I dipendenti pubblici? Fannulloni ai quali imporre la timbratura con le impronte digitali con l’ufficio trasformato in caserma o carcere, il tornello all’ingresso a rappresentare l’invalicabile muro dell’istituto penitenziario. Ma, quanti sono in proporzione i fannulloni nella Pubblica amministrazione che conta 3,2 milioni di dipendenti? E quanti sono nel settore privato? La disonestà si manifesta in molteplici forme e non solo manipolando l’ingresso e l’uscita dal lavoro ma, questo luogo comune stranamente è stato invece rimosso.

Tra rimozioni e omissioni, semplificazioni e ricostruzioni parziali, prosegue allora la riscrittura della realtà a partire dalle aree metropolitane.

Sfogliando la stampa locale non troveremo notizie sulla Polizia Locale a multare macchine in divieto di sosta o addetta al controllo di pub e pizzerie per combattere il lavoro nero, leggeremo invece di arresti per droga, di pedinamenti e irruzioni in appartamenti dove si produce merce contraffatta, nell’immaginario collettivo il vigile diventa utile solo se impiegato nell’ordine pubblico e in funzione degli interessi dei commercianti e della visibilità dei primi cittadini (indifferenti che siano del Pd o della Lega). E l’immaginario securitario finisce con il convincere gli agenti Pm che la questione sicurezza è dirimente e merita attenzione prioritaria, anche se i dati ufficiali raccontano del calo dei reati . Sempre lo stesso immaginario trasforma il manganello in presidio difensivo tacendo invece sull’utilizzo della Pm, sulla rilevanza di accedere in tempo reale a delle banche dati. Ecco un esempio di come la lotta al cosiddetto degrado urbano si sia avvalsa prima dei daspo che sono discriminazioni verso gli ultimi e i poveri per poi trasformare la stessa nozione di degrado. E’ così che degrado diventa anche una panchina alla stazione o sedersi a mangiare un panino sul sagrato di una chiesa, degrado è suonare la sera (magari entro una certa ora) chitarre in una piazza cittadina, degrado non è la casa popolare con la muffa o se vengono distribuiti alloggi per l’emergenza abitativa con il contagocce quando invece i fabbisogni sociali avrebbero bisogno di ben altri numeri. 

Chiudiamo sulle sanzioni pecuniarie di tipo penale o amministrativo e le condanne al risarcimento di danni collegati a condotte penalmente rilevanti. Esiste un parallelo con gli interventi della Magistratura contabile nella Pubblica Amministrazione, lo spauracchio delle pene pecuniarie, in aggiunta alle condanne civili e penali, alle richieste di risarcimento, è un’arma straordinaria per disinnescare la partecipazione attiva e di popolo (e quindi anche di classe operaia che vive del proprio lavoro e difficilmente potrebbe sostenere costose spese con un reddito basso), è accaduto con la No Tav e il No Tap, nella lotta agli inceneritori o con i presidi operai.

 Il Pacchetto Sicurezza dal canto suo ha aggiunto la classica ciliegina sulla torta, il carcere per chi organizza blocchi stradali, picchetti e occupazioni.

Non importa la rilevanza sociale di una azione che può anche sfociare nella illegalità, serve solo scongiurare  questi reati collettivi e così vengono introdotte pene durissime nel codice penale (chi invoca Salvini in Italia e indossa i gilet gialli dovrebbe ricordare che proteste analoghe da noi determinerebbero, stando ai codici attuali, il carcere per anni). Il nostro immaginario collettivo è stato abilmente manipolato, siamo come un Pc al quale hanno cambiato la Ram per consentire il rapido accesso ad altri dati, quelli funzionali ad una società dove la intolleranza, la xenofobia, la desertificazione dei centri storici, la militarizzazione dei territori diventano valori aggiunti e non fenomeni\processi da avversare.

Una piccola e sana rivoluzione dovrebbe partire dal linguaggio e dalle categorie che ciascuno di noi utilizza, dalla coerenza tra il dire e il fare, dall’abiura di intellettuali che parlano solo a pochi e per mantenere il loro ruolo dentro una società che va nella direzione opposta. Non vogliamo prendercela con gli intellettuali ma neppure tacere sulla loro passività rispetto ai processi sociali involutivi, non basta più dissentire, abbiamo bisogno di altro, di una disobbedienza civile e sociale collettiva, di dare alla disobbedienza una sponda organizzativa in ambito culturale, sindacale e politico.

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