Politica. Livorno è in stato di eccezione

13luglio 2018 da Silvano Cacciari, gruppo Comunicazione Buongiorno Livorno

In queste settimane balza subito agli occhi come il dibattito sul futuro del territorio e della sinistra a Livorno sia pigro, sonnacchioso e scolastico. Anche i recenti interventi sulla stampa locale di Ciampini e Raspanti, dopo Bellandi, non sfuggono a questo schema. 

Non c’è quindi da stupirsi che prendano piede anche le rimozioni come quella dell’invito, rivolto al Pd da parte di Buongiorno Livorno, a non presentarsi alle amministrative per scongiurare l’esito pisano.  Insomma, ci sono schemi che devono tornare anche quando la realtà sta da un’altra parte.  

Lo stesso uso, in questo dibattito, del termine “comunità” per definire Livorno è solo la presa in prestito di espressioni della politica angloamericana. Livorno è, piuttosto che una comunità, un territorio debolmente amministrato, demograficamente in declino, stratificato socialmente con la prevalenza di aggregazioni neotribali diffidenti e conflittuali tra loro, con un crescente gap cognitivo, di saperi rispetto al paese.   Certo, la contrazione dei finanziamenti ai territori, meno 40 miliardi dal governo Monti, e le difficoltà del bilancio comunale non fanno ben sperare. E anche gli investimenti privati, dalla coesione sociale all’innovazione, non colmano il gap economico, sociale e cognitivo che Livorno ha maturato rispetto al mondo che lo riguarda.

Livorno, per cominciare a risollevarsi deve affrontare tre emergenze: attrazione risorse economiche e finanziarie, attrazione tecnologica, attrazione risorse umane.

Certo, un modello di sviluppo chiaro, implementabile, deve essere la bussola di questi processi di attrazione. Processi che possono solo avviarsi tramite l’economia portuale, sia nelle vocazioni tradizionali che nell’ innovazione tecnologica, l’economia del mare, il turismo destagionalizzato, l’economia dell’intrattenimento. In questo modo si compone una economia post-industriale che non è solo un’economia di servizi (la dimensione post) ma anche di innovazione legata all’industria che evolve (portuale e non solo). Tutto questo risolve, nel giro di una legislatura, tutti i drammi e i pericoli di Livorno? No. Pone però le condizioni per uscirne. Tutto questo è possibile seguendo le linee della politica nazionale? No, perchè l’autonomia degli enti locali è stata azzerata dagli stessi governi di centrosinistra, e lo sarà anche con il governo gialloverde.

Livorno deve ragionare in termini che, in modo sprezzante, vengono definiti “dirigisti”. E i liberisti, sono in gran numero nel centrosinistra ma anche nei gialloverdi, privilegiano il laissez-faire del mercato. L’ottica municipalista usa invece le leggi esistenti per forzarle produttivamente per instaurare dei rapporti di forza col mercato. Governando i processi economici secondo il modello di sviluppo che si è dato. A partire da una rottura del patto di stabilità che non sia nè simbolica nè scriteriata in modo da generare risorse e una nuova contrattazione dei livelli di autonomia locale dal governo centrale nazionale e regionale. Di li’, da questa pietra angolare, si tratta di costruire una struttura inedita di governo di Livorno.

E un assetto municipalista, autonomo dallo stato centrale, è una garanzia di tenuta sociale del territorio nella crisi.Si guardi al ruolo positivo tenuto dalla municipalità di Barcellona nella grave crisi istituzionale ispano-catalana dell’autunno scorso. Questo perché siamo di fronte a uno stato di eccezione, che non riguarda solo Livorno ma il rapporto tra Italia e Europa, si necessita di cambiamenti radicali.

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