Martedì 14 novembre, ore 17.30, Marta Fana presenta il suo libro “Non è lavoro, è sfruttamento” presso la libreria La Feltrinelli di Livorno. Saranno presenti al dibattito la Rete degli Studenti Medi, Giovanni Ceraolo per USB, Fabrizio Zannotti per CGIL, oltre al Coordinamento dei Lavoratori Livornesi.
12novembre 2017 da BuongiornoLivorno
L’incontro, organizzato da Buongiorno Livorno, rientra in un percorso di analisi e di rappresentazione del mondo del lavoro necessario al fine di aumentare i livelli di consapevolezza dei lavoratori e di stimolare un dibattito nella nostra città che si fa sempre più urgente, viste le disastrose condizioni economiche e sociali cui le scelte politiche del passato, più o meno recente, hanno portato.
L’invito a partecipare è però rivolto soprattutto alle lavoratrici e ai lavoratori, tutte e tutti: a chi si ritrova precario in nome di una salvifica flessibilità del mercato del lavoro, a chi si è visto marchiare come nemico da combattere perché di una generazione precedente e pertanto “privilegiato”, a chi è rappresentato quale ‘usurpatore’ in quanto immigrato, “fannullone” perché dipendente pubblico, “bamboccione” perché giovane e ‘sfortunato’, nel migliore dei casi, perché disoccupato.
Il libro di Marta ci aiuta a ritrovare un percorso logico, partendo da un’analisi lucida di numeri e disposizioni normative, da una ricostruzione storica delle riforme giuslavoristiche che fa risaltare (ove ce ne fosse bisogno) come i Governi degli ultimi 20 anni (a partire dal pacchetto Treu del 1997) abbiano volutamente ignorato o manomesso la nostra Costituzione che, non solo indica il lavoro quale fondamento della Repubblica democratica (art.1), ma individua quale compito principale dello Stato quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art.3) e stabilisce il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi” (art. 36).
Le riforme normative sono state accompagnate da un processo culturale che ha affidato al consumo la funzione di autorealizzazione dell’individuo, ha avvallato il concetto di liberismo come passaggio fondamentale per la modernità, ha portato a scorporare processi e esternalizzare funzioni, rendere precario il lavoro, non garantire le tutele minime, far saltare il sistema di controlli, frantumare gli organismi intermedi rappresentativi della classe lavoratrice, con la finalità unica di aumentare l’estrazione del profitto.
Lavoro povero e sfruttamento stanno dilagando in tutti i settori, compreso quello pubblico, grazie ai processi di precarizzazione dell’organico delle pubbliche amministrazioni e all’esternalizzazione e privatizzazione della produzione e distribuzione dei servizi pubblici.
Qui è ancora più evidente come lo Stato abbia rinunciato alla propria funzione di garanzia del pieno esercizio dei diritti individuali collettivi sia nei confronti dei lavoratori pubblici che dei cittadini quali utenti. E lo ha fatto consentendo di ‘regalare’ milioni di euro di formazione finanziata da enti pubblici a tutto vantaggio di imprese multinazionali, di incentivare assunzioni che a parole si dicevano stabili ma che grazie al Jobs Act diventano precarie nei fatti, di attivare i meccanismi perversi di alternanza scuola lavoro, di flessibilizzare al massimo il mercato del lavoro come unica alternativa alla disoccupazione strutturale di massa, di svendere pezzi importanti dell’economia produttiva nazionale e di privatizzare i servizi pubblici.
“Non è lavoro, è sfruttamento” rappresenta questa realtà attraverso casi concreti, nomi di lavoratori e aziende, denunciando situazioni non più tollerabili di donne e uomini resi moderni schiavi in nome del profitto e del capitale e dimostrando come questa realtà possa e debba essere cambiata, partendo dal dovere politico di far emergere certe contraddizioni e di cercare a tutti i livelli, compreso quello locale, un riscatto collettivo.