Primo Maggio 2017. Stefano Romboli: “C’era una volta un Paese dove il lavoro era davvero il principio fondativo e costitutivo”

“Un giorno ci chiederanno come abbiamo potuto vivere senza reddito di base” (Philippe Van Parijs)

29aprile 2017 da Stefano Romboli, Buongiorno Livorno

La piena occupazione era vicina e spesso con un salario si riusciva a far campare decentemente anche un’intera famiglia. Si lavorava presto, anche prima di essere maggiorenni, e la maggior parte di coloro che studiavano trovavano un lavoro corrispondente agli studi. Spesso il primo lavoro era quello definitivo e garantiva pensione e stato sociale costruito sulla figura del lavoratore contribuente. C’era e non c’è più quel Paese.

Un cambiamento strutturale che non riguarda solo l’Italia e che mostra elementi irreversibili.

Un problema serio per chi ancora non riesce a immaginare società e modelli alternativi a quelli concepiti sull’ideologia del lavoro, una catastrofe se si tiene legata la società della non più piena occupazione al modello della piena occupazione e le persone, per le quali il lavoro retribuito è diventato una seconda natura e un valore assoluto, non conoscono alcuna alternativa per garantirsi l’esistenza e le sicurezze sociali.
Del resto proprio chi dovrebbe trovare soluzioni e alternative alla perdita di lavoro e alla disoccupazione di massa sembra fare di tutto per dimostrare inadeguatezze, smarrimenti e ipocrisie. Fra scioperi della fame e promesse di microlavori o di elemosine, la politica e le Istituzioni fanno a gara a chi invoca di più la parola magica del Lavoro, come un mantra o un rito scaramantico, con slogan e definizioni che hanno sempre portato consensi e voti. E così ecco il lavoro di cittadinanza proposto da Renzi e il lavoro da sostenere a prescindere, anche quando è gratuito o solo promesso. Gratuito, precario, sottopagato, degradato e spezzettato: i cambiamenti epocali dovuti alle economie post fordiste hanno reso sempre più marginale il lavoro rispetto al capitale.
Il lavoro non sparirà, ma anche quando ci sarà non basterà più come una volta.
L’applicazione della ricerca scientifica su robotica e intelligenza artificiale nei processi produttivi e in settori che mai prima d’ora l’avevano vista (pensiamo alla robotica nella logistica, in sanità, prossimamente nel trasporto umano) che elimina più lavoro di quanto ne crea, unita alle strategie del capitale rivolte alla minimizzazione dei costi con le delocalizzazioni e allo smantellamento dello stato sociale, rendono sempre più centrale la domanda di come assicurare a tutti un reddito decente. Serve un reddito di base o di cittadinanza che dir si voglia. Certo questa soluzione non può e non deve essere caricata di tutto l’onere del contrasto alla povertà e alla vulnerabilità che il mercato e la finanza hanno creato. Sono quindi urgenti anche una ridefinizione del mercato e delle imprese che vi operano e nuovi equilibri fra distribuzione delle risorse e politiche dell’occupazione, prefigurando e sviluppando nuovi modelli economici. In parole povere, occorre che la (buona) politica si faccia spazio a spese del Dio Mercato.

  • Il reddito di base non deve essere visto in conflitto col lavoro, è complementare al salario lavorativo e ne compensa l’assenza o l’inadeguatezza. Serve un reddito concepito come proposta strutturale e organica e non frutto di elaborazioni e progetti sperimentali come il recente reddito di inclusione sociale del Governo Gentiloni o come i tanti portati avanti anche da regioni e enti locali destinati al fallimento o a meri spot elettorali, tutti improntati all’orientamento lavoristico e caratterizzati dalla frammentazione categoriale e territoriale.
  • Il reddito di base, ribattezzato da alcuni esperti anche reddito di esistenza, è necessario per rimettere al centro la dignità e il diritto di sopravvivenza delle persone e per ridefinire anche i concetti stessi di democrazia e di cittadinanza, costruiti nel novecento attorno all’ideologia del lavoro.

Convinti che presto questa soluzione diventerà ineludibile e nella speranza che possa diventare socialmente desiderabile, portiamo il nostro contributo affinché anche la Festa del Lavoro e dei Lavoratori metta al centro la dignità delle persone che passa necessariamente da nuovi modelli di sviluppo e di convivenza e da un reddito extra lavoro.

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