Resoconto Workshop, Trento 24 novembre: “Territori accoglienti, Terzo Settore ed Enti Locali, dalle pratiche alle sfide future”

Gisella Evangelisti: “Uscire dall’angolo dopo il Decreto Sicurezza”

4novembre 2018 di Gisella Evangelisti

Nella foto: Gisella Evangelisti

Risiedono fra noi in Italia 5.144.440 immigrati regolari pari all’8,5% della popolazione totale. Il nostro paese si colloca al 5° posto in Europa e al di sotto della media europea che si attesta al 10% in base all’ultimo report di Caritas e Fondazione Migrantes.

Gli sbarchi quest’anno si sono fermati a circa 22.000 persone, in confronto con le sei cifre di sbarchi degli anni precedenti (-80%), eppure si é creato il fantasma di un’”invasione” musulmana. Ci sono 144.000 persone nel sistema di accoglienza, 36.000 delle quali nello Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che coinvolge 1200 comuni.

Tra i richiedenti asilo e rifugiati che  escono dal sistema il 70% ottiene il permesso di residenza, il 50% trova lavoro. Questo finora. Ma che succederà dopo la mazzata ricevuta dal mondo dell’accoglienza col Decreto Sicurezza?

Ne hanno discusso a Trento  il 24 novembre, circa 300 tra operatori sociali e ricercatori, nel Workshop “Territori accoglienti, Terzo Settore ed enti locali, dalle pratiche alle sfide future”, organizzato da Euricse-knowledge for a Social Economy, una fondazione  di ricerca europea su Cooperative e Imprese sociali. insieme a molti altri partners*. Nel workshop sono state presentate oltre 30 pratiche di accoglienza, diffuse dal Trentino alla Sicilia,  poco conosciute ma che hanno risposto in modo originale alla necessità di inclusione sociale e lavorativa dei migranti. Fra i sindaci presenti, Matteo Biffoni, sindaco di Prato, il terzo comune in Europa con la più alta percentuale di stranieri, dopo Londra (che ha 250.000 italiani) e Parigi, ha espresso il sentire di molti, affermando che:

“Volevamo far sì che lo Sprar, basato sull’accoglienza diffusa di piccoli gruppi di richiedenti asilo nei nostri comuni, poco a poco riuscisse a ribaltare le proporzioni con i discussi metodi dei Cara (Centri Accoglienza Richiedenti Asilo) e Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), grandi centri spesso mal gestiti, che non forniscono nessun tipo di formazione. Invece col Decreto di Sicurezza si smantella proprio gli Sprar scaricando il problema delle persone ivi protette sui sindaci”.

Molti operatori si chiedono cosa fare dopo gennaio, quando perderanno il lavoro, mentre altri potranno contare solo su 20 euro giornalieri a migrante, invece che sui 35 di prima, dovendo decurtare le lezioni di italiano e la formazione, ossia tutto ciò che favoriva l’integrazione. 50-60-000 migranti finiranno in strada, nella precarietà più totale, diventando un’appetibile preda per la microcriminalità. Obiettivo, il caos. Mantenere la paura e ingigantire l’ostilità della gente verso gli africani, “questi mangia ufo palestrati con telefonino”, come martellano i social leghisti.

“Dalle campagne di diffamazione della solidarietà, al Decreto Sicurezza, ci è arrivato tutto il peggio che poteva capitare. E siamo finiti nell’angolo, come pugili suonati”, ammette tra gli altri Stefano Granata, presidente di Solidarietà. “Anche la fiducia dell’opinione pubblica nelle cooperative che qualche anno fa era al terzo posto tra le istituzioni, dagli scandali di Mafia Capitale in poi, è scesa fino al trentesimo posto. Senza contare che secondo un sondaggio Demos, nel giro di un anno le opinioni degli italiani favorevoli ad accogliere chi sbarca, si sono rovesciate e adesso il 51% è contrario. “Ma restare nell’angolo significa finire col soccombere del tutto, quindi bisogna uscire allo scoperto”, sostiene Granata.  Fare un’autocritica, quando necessario, e costruire nuovi patti con le comunità, che vivono e hanno assorbito la paura. C’è molto bisogno di aggregazione, e questo é positivo. L’abbiamo visto a Milano, dove i cittadini hanno presidiato con una protesta animata e creativa un terreno del demanio ambito anche da ricche entità private. I temi su cui trovare risposte con la gente  sono soprattutto quelli dell’accesso al lavoro, la cultura, la situazione della donna. Siamo un paese dove esistono due milioni di NEET, giovani che né lavorano né studiano né fanno formazione, e non ci sono proposte se non quella discutibilissima del reddito di cittadinanza. Il tema dell’accoglienza dei migranti adesso é divisivo e perdente. Non bisogna concentrarsi solo su quello, ma inserirlo nella problematica giovani e precarietà”.

Qualche stimolo ci viene nientemeno che dal Camerun, ci informa don Giusto Della Valle da Rebbio, Como. In Camerun i profughi nigeriani in fuga dalla violenza di Boko Haram ricevono un pezzo di terra da coltivare. L’ Africa ha un miliardo e 200 milioni di persone, la metá con meno di 18 anni. Chi riuscirà a fermarli, si chiede don Giusto, se la produzione industriale é in mano a cinesi e indiani, le materie prime finiscono in mano alle multinazionali straniere, che arrivano a finanziare milizie, come in Congo, per controllare questo o quel territorio. Insomma, le prospettive africane di sviluppo industriale sono quasi a zero, meno che nell’agricoltura, dove però si sta verificando l’accaparramento di terre da parte di entità straniere  (land grabbing), penalizzando i contadini.

Come è noto, le rimesse degli africani dall’Italia superano gli aiuti della cooperazione (tra l’altro i fondi per ”aiutarli a casa loro”, sono sempre più ridotti a favore delle politiche di contenimento della migrazione), per questo ci sono ancora giovani disposti a rischiare la vita fra deserti e mare, per tentare la sorte nella sognata Europa. Una volta in Italia, secondo la Caritas più della metà di loro resterà povero, contro il 16% della media italiana, ma ha senso parlare di nazionalismo in un mondo globalizzato?, si chiede don Giusto.

“Nel 2016, nell’emergenza che si presentò a Como, con 600 migranti a dormire in strada per 3 mesi, si formò per affrontarla un comitato cittadino, che venne poi strutturandosi meglio. Adesso é ignorato dalle istituzioni. Che sarà dei rifiutati dal sistema di accoglienza? Bisogna denunciare l’ingiustizia, ma non solo. Per uscire dall’angolo il volontariato può collegarsi e coinvolgere le associazioni etnico-religiose, che sono poco conosciute ma vitalissime. E che più giovani si impegnino in politica, per favorire risposte concrete a questi problemi”.

Altre idee vengono da tutta una costellazione di esperienze di accoglienza di piccoli gruppi di migranti in territori rurali e montani, spesso con ottimi risultati, dalla Val di Susa all’Alto Taro (Parma), al Lazio e alla Basilicata.

Nell’arco alpino si sono stanziati circa 400.000 migranti regolari occupati in lavori che gli italiani non fanno più volentieri, dalla cura degli anziani, alle attività legate all’allevamento, a dimostrazione che sono una risorsa per il paese. Come si è riusciti a superato la diffidenza iniziale della gente di montagna verso gli stranieri (tutti questi negri in giro, dove finiremo?), in paesini dove rischiava di chiudere la scuola e da dove erano giá allontanati molti servizi, dalle poste al medico. A volte é bastata a far avvicinare la gente una torta di compleanno per festeggiare una bimba figlia di migranti, o metter su una squadra di calcio mista, una festa gastronomica, un coro, la pulizia collettiva  di un bosco. Col risultato di riportare in vita anche l’economia.

  • E’ il caso di Fontanagorda, un piccolo centro a 50 km da Genova, senza internet e a volte neanche il telefono, dove si sono rimesse in funzione vasche abbandonate per l’allevamento di trote, per attivare la pesca sportiva e il turismo perché da sola l’agricoltura di montagna non basta. Visto che ora il progetto Sprar é in scadenza,  si stanno cercando cooperative per inserire i giovani, migranti e no, e dare continuità alle varie attività lavorative, dall’allevamento alla produzione di formaggi e marmellate.
  • Un’altra bella esperienza che viene riportata è quella di Latronico, un borgo nel parco del Pollino in Basilicata, dove lo stabile adibito allo Sprar all’inizio del progetto soffrì un incendio doloso, chiaro segnale di ostilità, mentre adesso, cambiato l’atteggiamento della gente, il progetto può riferire con orgoglio che almeno metà degli stranieri accolti  hanno già trovato lavoro. Adesso la prossima sfida è dar vita a un centro di formazione per lavori tradizionali che stanno scomparendo. Facendo pressione sui politici per attivare tutti i progetti  possibili con le Regioni, attingendo a fondi  UE e altri.  

Risultati/lezioni

Quali i principali risultati di questo sforzo? Si sono chiesti i partecipanti del Workshop. In alcuni casi ci si ferma all’oggi, risolvendo emergenze, senza proiettarsi in un futuro di paese multiculturale. Tuttavia ci sono dei risultati innegabili più generali: si sono innovate politiche per esempio nel campo dell’urbanistica, prima inchiodate sul modello delle villette individuali, per rivitalizzare spazi comuni come cortili e giardini. O nella pedagogia, dove si impara a rispondere alla sfida della presenza di bambini che parlano quattro o cinque lingue, in una classe. Le associazioni di volontari si sono aperte al mondo, entrando in reti europee, diventando più efficaci nelle risposte sociali perché più capaci di ascolto. Attraverso l’accoglienza agli altri si può diventare più “accoglienti” anche verso di noi, verso il nostro territorio. Nella montagna di Lecco un gruppo di infermieri autofinanziati ha portato anche iniziative culturali, artisti e libri in borghi sconosciuti.

  • A Milano, afferma Cosimo Palazzo, abbiamo imparato a organizzare meglio il welfare, a partire dall’accoglienza, e più in generale verso le varie fragilità umane, come i senza tetto. Dal 2012 c’è un piano di Zona del Welfare che coinvolge attori dal Terzo Settore, al Comune, al Rei. Dobbiamo aspettarci che avrà una fine ingloriosa? No. Noi crediamo che le grandi città abbiano un ruolo da giocare in futuro, in collegamento con l’Unione Europea, anche senza passare per gli Stati, se necessario. Questa è una chance”.
  • A parlare a nome della Banca Etica, che ha contribuito con l’8% del suo budget al finanziamento di 120 organizzazioni impegnate nell’accoglienza, é stata Anna Fasano, che ha invitato a lavorare sui punti deboli del sistema. Per esempio, facendo più attenzione alla sostenibilità. Adesso resisteranno i progetti di accoglienza che sono capaci di fare rete, e hanno un impatto positivo sul territorio, dal punto di vista sociale e ambientale. Il crow funding é uno strumento aggiuntivo a cui si puó far ricorso, come anche il microcredito, efficace soprattutto quando é rivolto alle donne. Muhamad Yunus lo sta esportando anche a New York. Perché il Sud del mondo é anche al Nord, come ben sappiamo.

E noi in Italia siamo davvero solo un paese di vecchi impauriti o mentalmente pigri, portati piú a difenderci che a proporre e innovare?  Questa vitalitá di esperienze  dimostra di no, che esiste un’altra Italia coraggiosa e creativa. Che  adesso, e sempre piú,  é chiamata a resistere e inventare, dal Nord al Sud.

  • I partners del Workshop di Trento: l’Empower Cost Action, EMES international Research Network, il Dipartimento di Sociologia dell’Universitá di Trento, il Consorzio nazionale Idee in Rete, il Centro di Salute Internazionale e Interculturale-CSI, Federsolidarietá, e l’Ordine degli assistenti sociali del Trentino Alto Adige, il tutto con il patrocinio della Banca Etica.
  • Sará elaborato un Libro Bianco delle esperienze, con definizione di Linee Guida emerse nel workshop e altre giornate di lavoro.

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