Siamo all’assurdo: gli inquinati dalla raffineria ENI dovrebbero bonificare il proprio giardino

G. è uno dei pochi abitanti di stagno, tra i molti inquinati, che non si rassegnano all’inquinamento della raffineria ENI. Ha fatto analizzare il terreno del suo giardinetto, a proprie spese, trovandolo inquinato da idrocarburi.

14luglio 2018 da Maurizio Marchi, Medicina Democratica Livorno

Allora ha scritto all’Arpat e al Ministero dell’Ambiente, chiedendo che si attivassero per fare luce su questo inquinamento. Per tutta risposta, pur non negando l’inquinamento, gli chiedono (ancora non gli intimano, ci mancherebbe) di bonificare il suo terreno. Anzi, confermano che un altro terreno vicino è ancora più inquinato del suo, e che probabilmente questo inquinamento è dovuto a terreno di riporto: tutto questo per scagionare la raffineria ENI e le sue emissioni, peraltro in gran parte dichiarate ufficialmente al Registro europeo.

La raffineria (e la centrale elettrica interna)  infatti emette ogni anno  (2015) in aria  1400 tonn. di ossidi di zolfo, 396 tonn. di ossidi di azoto, 521 tonn. di  composti organici non metanici,  171 kg di nickel,  459 kg di zinco. Sono queste enormi emissioni che trasportano fuori dalla raffineria particelle di idrocarburi e di IPA, che ricadono nei dintorni ed anche lontano dalla raffineria. Eni non dichiara quante tonnellate di acido solfidrico emette, né le autorità glielo chiedono, ma è proprio questo inquinante la base delle “maleodoranze” per le quali da mesi sempre più cittadini protestano. Inoltre di recente si è osservato anche la ricaduta di micro gocce oleose che si depositano ovunque, ma  ben visibili sulle superfici lisce, come le auto, e ci si appiccicano tenacemente. La stessa Arpat ammette di non aver indagato con la dovuta attenzione nel tempo, quando afferma nella sua lettera del 7 giugno scorso:

“Tale affermazione potrebbe essere comprovata solo a valle di:

  • importanti progetti di campionamento e analisi dei suoli in un’area vasta attorno agli impianti industriali;
  • monitoraggi di dettaglio delle emissioni degli impianti industriali potenzialmente responsabili della diffusione dei predetti contaminanti;
  • studi approfonditi di modellistica diffusionale.”

Tale affermazione suscita sorpresa ed indignazione a 20 anni dalla dichiarazione di SIN del sito di raffineria (istituito con la Legge  426/98 e perimetrato con il D.M. Ambiente 24 febbraio 2003). La mancata analisi dei suoli da parte di Arpat per 20 anni quali ricadute potrà aver avuto sulla salubrità di colture, destinate al consumo umano e/o animale condotte nella richiamata ‘area vasta’. E quali conseguenze direttamente sulla salute umana possono aver causato queste enormi emissioni atmosferiche? Perché comuni, ASL ed altre istituzioni non intervengono per salvaguardare la salute di tutti, chiedendo ad ENI l’ambientalizzazione della vecchia raffineria, e la sua progressiva conversione verso produzioni più sostenibili, ad esempio l’idrogeno?

Se ci sarà un adeguato sostegno da parte della popolazione, MD sta pensando ad una grande petizione popolare, da lanciare subito dopo le ferie estive.

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