A soli 7 giorni dalla giornata mondiale contro l’omotransfobia, la vittoria del si al referendum irlandese sul matrimonio egualitario regala una grande e meritata conquista al movimento dei diritti civili
da Francesco Renda attivista LGBT e di Rifondazione Comunista
Ad urne chiuse con i risultati festeggiati, sono molti gli elementi che adesso richiedono un’analisi approfondita, utile ottenere anche qualche risultato anche in Italia. L’Irlanda è solamente il 21mo paese del mondo ad aver adottato una legislazione sul matrimonio egualitario, e nemmeno il più popoloso.
Solo la settimana scorsa il Primo Ministro Lussemburghese, paese dal grande prestigio all’interno dell’UE, si era unito in matrimonio con il proprio compagno, buon secondo, dato che già la Premier Islandese aveva fatto altrettanto nel 2010.
L’Irlanda non è nemmeno il primo paese al mondo dove leggi riguardanti i diritti civili di gay lesbiche e transessuali vengono sottoposti ad una consultazione popolare per essere ratificati. Negli Stat Uniti, a partire dalla proposition 9, molte elezioni a governatore sono state associate a referendum orientati ad inserire, nella carte fondamentali dei singoli Stati, emendamenti per escludere la possibilità di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso.
Allora dove sta il motivo di tanto clamore e, perché l’informazione che sta passando a livello nazionale tratta questa notizia come un caso isolato di eccezionalità?
Il vero significato del voto irlandese è, infatti, tutto italiano e non ha niente di clamoroso al di là dei nostri confini, basta fare una rapida ricerca su Google tra della stampa internazionale per rendersene conto. Per la prima volta dai tempi del World Pride del 2000 i mass media italiani hanno rilanciato la notizia della vittoria del Si come e più degli altri, segno evidente che le peculiarità di questo voto hanno colpito nella carne viva della nostra psicologia identitaria collettiva.
In primo luogo l’Irlanda è uno dei caposaldi europei del cattolicesimo ma, al contrario dei paesi iberici, verso i quali erroneamente tendiamo ad assimilare il nostro sentire religioso, è stato caratterizzato da un rapporto con il clero effettivamente molto più simile a quello italiano, dove l’elemento cardine, al di là dell’influenza della Chiesa nella politica, è piuttosto quello dell’ubbidienza subordinato ad un pur presente sentimento popolare. Parimenti, il generale ambito rurale storico, e l’emigrazione sono elementi che determinano una forma di empatia molto forte, nel contesto politico italiano.
L’Italia si è rispecchiata nel voto irlandese e l’uso del referendum ha impedito che ci potessimo coprire gli occhi, richiamando alla memoria le nostre grandi battaglie per il diritto all’aborto ed al divorzio.
I pochi sondaggi pubblicati in Italia al riguardo mostrano una tendenza maggioritaria simile a quella irlandese, a mio avviso, figlia non tanto di un cosiddetto “cattolicesimo maturo”, quando piuttosto di un significativo mutamento antropologico in senso individualista del sentire religioso così come della società nel suo complesso. I fenomeni di omofobia e di bullismo a sfondo omofobo, piuttosto che una generale contrarietà passivamente espressa alla piena uguaglianza giuridica di gay lesbiche e transessuali, sarebbero in questo senso dettati da una emarginazione sociale e culturale, piuttosto che dalla traduzione pratica di indicazioni politico/religiose. Con queste ultime ad attingere a questo bacino di odio per attrarre consensi e perpetrare in questo modo un’oppressione utile al sistema.
I Partiti della sinistra di classe, così come lo stesso movimento LGBT, hanno sofferto purtroppo di un’analisi superficiale di questa forma di omofobia “sistemica”, nella sua essenza estremamente diversa dal “si fa ma non si dice” scardinato anni fa dalla secolarizzazione della società italiana. A causa dell’accento posto sull’elemento affettivo come punto equalizzante della propria condizione, piuttosto che dalla consapevolezza dell’eversività sociale dell’omosessualità come punto fermo della propria emancipazione. Il dibattito politico italiano si è fermato a livelli e considerazioni di stampo quasi assistenzialistico nei confronti delle rivendicazioni del movimento di liberazione gay lesbico e transessuale. La sottile linea che divide piccoli aggiustamenti del codice civile dall’adozione di un provvedimento ad hoc è tutta qui.
Il caso irlandese, ma prima di questo anche quello portoghese, è però significativo anche sotto un altro punto di vista, perché viene da una dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi capitalistica in corso in Europa e scardina l’adagio secondo il quale le priorità dei governi dovrebbero essere altre rispetto a quelle dei diritti civili in momenti come questi.