Film “Il Giovane Karl Marx” regia Raoul Peck. Candidato all’Oscar e Premio BAFTA per “I Am Not Your Negro”, la nota del regista. Le sale che lo proietteranno, in continuo aggiornamento

Il giovane Karl Marx. Nell’anno del 200° anniversario dalla nascita di Karl Marx e nel 170° anniversario della pubblicazione del Manifesto del partito comunista, il Cineclub Arsenale di Pisa (vicolo Scaramucci n. 2, tel. 050 502640 – è una traversa di via San Martino vicino a Ponte di Mezzo) dedica questo weekend di Pasqua (fino al 2 aprile) esclusivamente (h. 16.30, 18.30, 20.30 e 22.30) alla proiezione dello splendido film “Il Giovane Karl Marx” del regista Raoul Peck, candidato all’Oscar e Premio BAFTA per “I Am Not Your Negro”.

Pubblichiamo la nota di regia di Raoul Peck. 

1aprile 2018 da Beatrice Bardelli, di Raoul Peck

Affrontare Karl Marx.

Ma quale Marx? Un’utopia scampata per alcuni, un’opera da dimenticare per altri, il ricordo traumatico di chi in Europa e nel resto del mondo ha vissuto secondo i suoi intricati dettami? O un uomo e un pensiero troppo complessi per essere davvero compresi? O una dottrina vecchia e pericolosa?
Per ritrovare, infine, un vecchio stanco, dallo sguardo indurito; qualcuno quasi non più umano, come una gloriosa effigie congelata nel tempo o ancora peggio, eternamente barbuto, come una statua di cera messa tra Angela Merkel e Marlene Dietrich da Madame Tussauds’, a Berlino?

Eppure, mentre nel mondo si susseguono anomale crisi economiche, si è risvegliato un interesse inatteso per Karl Marx, seguito da una ravvivata popolarità. In questi ultimi anni le riviste più famose al mondo hanno messo Marx in copertina: Time, Newsweek, Forbes, Financial Times, e persino Der Spiegel. Nel 1999 in un sondaggio condotto dalla BBC, Marx era al primo posto dei più grandi pensatori del secolo, secondo posto per Albert Einstein. Nel 2014 l’economista francese Thomas Piketty ha venduto 450.000 copie, solo negli Stati Uniti, del suo libro “Il capitalismo nel XXI secolo”, un’analisi che getta luce sulle teorie di Marx.

Questi giornalisti ed economisti non si sbagliano.

Dato che poco tempo fa si sono festeggiati i 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, ora è possibile ritornare alle origini, all’essenza dell’opera scientifica marxiana. E senza doversi sobbarcare la responsabilità o la colpa di quello che le dottrine scaturite dalla sua opera hanno provocato in tutto il mondo: la frantumazione dell’ordine mondiale nel XX secolo.
Dal mio personale punto di vista, Karl Marx entrò a far parte del mio lavoro e della mia vita molto presto. Ho sempre diffidato di ogni forma di dogma, e quindi degli stessi marxisti. Ma sono stato comunque abbastanza fortunato da entrare in contatto con la sua opera per la prima volta all’interno di un contesto accademico e durante un periodo meno polemico rispetto a quello odierno. In quel periodo, si discuteva di eurocomunismo e nuove vie. In Italia, per esempio, si provava a innovare unendo sindacati e partiti politici, propendendo per una strategia più aperta e democratica. Al contrario, nello steso periodo, il Partito Comunista francese spiegava in che misura un’adesione rigorosa ai diktat dell’Unione Sovietica avrebbe condotto al fallimento.

Avevo 17 anni. Ero andato in Germania per studiare all’università di Berlino (Ovest!). E come molti dei miei amici, sia tedeschi che stranieri, frequentai sin dall’inizio della mia carriera universitaria dei corsi sul “Kapital”.

Non solo i corsi erano obbligatori in un certo numero di scuole di perfezionamento della Libera Università di Berlino (scuola di sociologia, psicologia), ma erano inoltre materia di studio indispensabile se si volevano affrontare intelligentemente e “scientificamente” gli argomenti in un ambito profondamente influenzato dal pensiero di Herbert Marcuse, Theodor Adorno, Jürgen Habermas, Max Horkheimer e altri membri della Scuola di Francoforte, in una città dallo spirito ribelle come Berlino, che brulicava di dibattiti a riguardo.
Così come tanti altri, seguii coscienziosamente i quattro anni di seminari sui tre tomi de “Il capitale” (“Die drei Bände”), e grazie a questo acquisii consapevolezza della vera opera e sulla vera opera di Karl Marx, invece che del e sul dogma.

Per molti europei, questo capitolo della storia, tutt’ora delicato, rimane un tabù, una bandiera rossa che impedisce discussioni serene e ragionate.

Però le ferite aperte da questo lascito non tolgono nulla al fatto che Marx, nonostante trascorse gran parte della sua vita in esilio in Francia e in Inghilterra, era tedesco e per questo motivo rimane, in quanto tale, parte integrante del patrimonio tedesco. Successivamente mi chiesi quale genere di film avrei dovuto girare.
Un biopic all’americana, con un Marx piuttosto scontroso, ma anche benevolo, dalla faccia stanca, che parla inglese dalla folta barba e inserito in un contesto vagamente politico, che versa qualche lacrima per le morti consecutive dei propri figli, e che tradisce la moglie? No di certo.
Il film non poteva nemmeno occuparsi degli anni successivi, del periodo in cui il pensiero marxista fu portato alla deriva in paesi come l’URSS, fra gli altri. Scorsese non venne criticato per aver dimenticato l’Inquisizione e aver estromesso l’evangelizzazione da “L’ultima tentazione di Cristo”?
Sin da subito, decisi di girare un film che parlasse a un pubblico più ampio, che non distorcesse la realtà storica. Attingendo dalla mia storia personale e dalla mia prospettiva particolare, mi sono preso la libertà, insieme a Pascal Bonitzer, di occuparmi del “Giovane Karl Marx”, di scavare a fondo dentro la genesi della sua opera monumentale, come ci spiega molto bene Raymond Aron (considerato da Jean Paul Sartre l’immagine speculare conservativa di Marx, ma che paradossalmente finì per diventare uno dei migliori studiosi dell’opera del giovane Karl Marx):

«Il marxismo possiede la peculiarità di poter essere spiegato in cinque minuti, cinque ore, cinque anni o mezzo secolo. Di fatto, lo si può ridurre a un sunto di una mezz’ora, che alla fine permette a coloro che non sanno nulla di storia del marxismo di ascoltare non senza una certa ironia coloro che hanno speso una vita intera a studiarla».

Volevo che la regia avesse uno stile moderno e fluido, che accompagnasse il movimento e la giovane età dei personaggi. I tre attori protagonisti hanno provato insieme prima delle riprese per ricreare proprio la loro forte amicizia, la visibile relazione simbiotica di quel trio che usciva fuori durante gli ostacoli e le tribolazioni della loro turbolenta gioventù.
Piuttosto che ricreare l’ennesimo film d’epoca, l’obiettivo è stato quello di concentrarsi sul ricreare un’atmosfera – la frenetica realtà di un’epoca – per far meglio immergere il pubblico nell’Europa degli anni Quaranta dell’Ottocento: la durezza delle fabbriche inglesi, l’estrema indigenza e sporcizia delle strade di Manchester (simili a quelle di una baraccopoli), l’apparente calore degli interni parigini (residenze di lusso, librerie, etc…), e l’energia della gioventù desiderosa di cambiare il mondo, il tutto combinato insieme per illustrare i primi anni delle enormi disuguaglianze.
Il film è stato girato rispettando le tre lingue storicamente usate dai personaggi (il francese, il tedesco e l’inglese). Marx ed Engels parlavano, scrivevano e pubblicavano in tedesco e in francese, passando da una lingua all’altra in base a dove si trovassero e con chi stessero parlando. Per questo la maggior parte del film è in francese.

Questo racconto della giovinezza di Marx non è romanzato, nel tipico senso cinematografico del termine.

Siamo voluti rimanere il più vicino possibile al racconto vivo e reale di questi tre personaggi unici e inusuali, il più vicino possibile allo “Zeitgeist” di quell’epoca. Per questa ragione abbiamo preferito attingere prima di tutto a fonti dirette (e non alle interpretazioni dei vari editori e cronisti, a volte sbagliate e spesso nient’altro che il risultato di un vicendevole plagio).
Per questo lavoro durato oltre sei anni, abbiamo setacciato le biografie e le ricerche più rilevanti, ma anche le più critiche. Alla fine ci siamo concentrati sia sulle lettere che si scambiarono i tre personaggi principali dal 1843 al 1850 (compreso il voluminoso carteggio tra Marx ed Engels), che sulle lezioni tenute da Raymond Aron al College de France. Tutto questo lavoro ha avuto come risultato una sceneggiatura ancorata nel cinema, lontana da qualsiasi forma didascalica.
Così si è deciso di abbandonare il vecchio uomo barbuto legato al suo dogma, in favore delle avventure intellettuali e fisiche di questo esuberante trio (Karl e Jenny Marx, Friedrich Engels), in un’Europa piena di tensioni, vulnerabile alla censura, all’apice di rivoluzioni popolari (e proletarie) senza precedenti, culminanti – in quanto al film – nella stesura de “Il manifesto comunista” – quella lista radicale e analiticamente ragionata dei meccanismi e degli effetti negativi del capitalismo.

Oggi, la lunga barba grigia di Marx non nasconde soltanto il suo viso, oscura la possibilità di una riflessione serena, lontana dalle polemiche, e impedisce un’esplorazione dei veri contributi scientifici e politici del pensatore, delle sue straordinarie capacità di analisi, delle sue aspirazioni umanitarie, delle sue giustificate preoccupazioni, come, ad esempio, per la distribuzione della ricchezza, verso il lavoro minorile, per l’uguaglianza tra uomini e donne, etc., tutte problematiche di primaria importanza e molto rilevanti nel mondo contemporaneo, sia in Europa che altrove. Dipende da ognuno di noi, poi, riflettere sulla Storia che scaturì da questo evento.

Prima ancor di aver raggiunto i trent’anni, Karl Marx e Friedrich Engels avevano già indubbiamente iniziato a cambiare il mondo, nel bene o nel male. Tutto quello che questo film intende far vedere si trova proprio lì, nella gioventù e nella rivoluzione delle idee.

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