15 ottobre: elezioni regionali in Venezuela sotto la cappa oscurantista dei media main stream

Il circo mediatico nazionale, dopo aver svolto funzione di cassa di risonanza per mesi alla strategia golpista di settori della destra venezuelana, all’indomani dell’insediamento dell’Assemblea Costituente ad inizio agosto, ha completamente cancellato le vicende relative alla situazione del paese dai propri notiziari, facendo cadere il velo di ipocrisia, dietro il quale si celavano i martellanti servizi che, a loro dire, denunciavano una crisi umanitaria insostenibile fatta di carenze alimentari e scarsità di medicine.

15 ottobre 2017 di Andrea Vento, Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

Svanito il tentativo di far fallire le elezioni dell’Assemblea Costituente, alle quali hanno partecipato oltre 8.000.000 di elettori, le vicende venezuelane sono scomparse dalle cronache, eccezion fatta per le pesanti sanzioni economico/finanziarie introdotte da Trump nel tentativo di strangolare dall’esterno il governo bolivariano, una volta constatata l’impossibilità di farlo cadere dall’interno.

Lo stesso oblio mediatico ha oscurato le importanti elezioni regionali previste per domenica 15 ottobre in quanto, evidentemente, stridevano con la narrazione diffusa dai media main stream ai danni del governo Maduro dipinto come dittatoriale, antidemocratico, repressivo. Nonostante più volte siano state diffuse false notizie di annullamento di elezioni da parte del governo (basta fare una ricerca su Google per rendersi conto della loro infondatezza…), tuttavia fra questi media, anche pubblici, nessuno ha auto la correttezza deontologica di annunciare l’effettuazione delle suddette elezioni, indette dalla stessa Assemblea Costituente dopo il suo insediamento.

Capiamo l’imbarazzo che avrebbe provocato in simili testate il dar notizia di una tornata elettorale convocata dalla Costituente, dopo averla demonizzata per mesi, e alla quale parteciperanno tutte le forze politiche di destra, tranne, il gruppo estremista Resistencia e la neo costituita alleanza di estrema destra (Vente Venezuela), guidata da Maria Corinna Machado, che invece ha scelto la via  dell’astensione per non conferire legittimità all’Assemblea Costituente stessa.

Identica indicazione diffusa dalla Conferenza Episcopale Venezuelana, da sempre schierata con la destra golpista (vedi golpe ai danni di Chavez del 2002) tramite il cardinale Urosa Savino, ha sottolineato l’assenza di garanzie e di condizioni per il dialogo, aggiungendo che «le elezioni dei governatori sono importanti per iniziare un cambio di governo nel Paese», per cui «non è ora il momento di dibattere se il dialogo debba esserci o meno».

18.095.065 sono gli elettori abilitati per scegliere i Governatori dei 23 stati della Repubblica Bolivariana del Venezuela e addirittura 76 i partiti politici che esprimono i 226 candidati in corsa per le cariche in questione. Una tornata elettorale dunque che raccoglie tutte le forze politiche del paese ad eccezione di coloro che ancora si battono per una soluzione fuori dal quadro democratico facendo leva sull’appoggio dei settori più oltranzisti dell’amministrazione Trump, degli alti prelati venezuelani e dei poteri forti nazionali e internazionali. Alle precedenti regionali l’opposizione si era aggiudicata solo 3 stati ma attualmente la situazione sociale, economica e politica è profondamente cambiata pertanto l’esito si presenta assai incerto, col governo che punta all’elezione di almeno 13 Governatori per dimostrare di rappresentare ancora la maggioranza dei cittadini.

Il paese è in ginocchio dal punto di vista economico, fiaccato da 3 anni consecutivi di recessione (2014, 2015, 2016) con previsioni negative anche per il prossimo (vedi tabella 1) e da una inflazione galoppante, provato dalle violenze di piazza, scatenate dall’opposizione a partire dal 2014, e con un crescente malessere sociale che ha eroso il consenso nei confronti del governo ma, che, in virtù di alcuni provvedimenti anticorruzione e di interventi a beneficio delle classi sociali più deboli, è convinto di rappresentare ancora la maggioranza degli elettori che invece gli voltarono le spalle alle elezioni parlamentari del 6 dicembre 2015 che registrarono la vittoria delle destre per la prima volta dall’entrata in vigore nel1999 della costituzione voluta da Chavez.

Grafico 1: variazione percentuale del Pil in America Latina anni 2014-15-16 e previsioni 2017.

 Variazioni percentuali del Pil, triennio 2014 – 16 e previsione 2017
  Dati rilevati Fmi Dati rilevati Cepal Dati rilevati Cepal Previsioni Cepal
Periodo 2014 2015 2016 2017
Venezuela – 3,9 – 5,7 – 9,7 – 7,2
America Latina e Caraibi + 1,0 – 0,1 – 1,0 + 1,1
Sud America + 0,3 – 1,3 – 2,4 + 0,6
Brasile + 0,5 – 3,8 – 3,6 + 0,4
Argentina – 2,5 + 2,5 – 2,2 + 2,0

Il Venezuela, nonostante la pesante crisi economica e politica, secondo i dati della Cepal[1], ha fatto progressi anche per quanto riguarda la riduzione delle sperequazioni socio-economiche, una piaga per l’intera America Latina che, nonostante i progressi (grafico 1A), continua ad essere tuttora la macroregione più squilibrata a livello mondiale. Il governo bolivariano, dal momento del suo insediamento nel 1999 ad oggi, fra i vari risultati in ambito sociale non solo ha fatto passi da gigante in questa direzione ma addirittura nel 2015 (grafico 1B) si presentava come il paese con gli squilibri meno accentuati di tutto il subcontinente, unico con un valore inferiore a 0,4 dell’indice Gini[2].

Tabella 1A: variazione dell’indice Gini in alcuni paesi latinoamericani fra il 2008 e il 2012 (Cepal) Tabella 1B:  variazione dell’indice Gini in alcuni paesi latinoamericani fra il 2012 e il 2015 (Cepal)

Risultati ottenuti grazie alla redistribuzione della rendita petrolifera dal quale il paese è eccessivamente dipendente arrivando a coprire oltre il 90% del totale dell’export. E’ dunque il modello estrattivista il tallone d’Achille del Venezuela che né Chavez né Maduro sono stati in grado di modificare creando fragilità economica e dipendenza dall’estero per la propria economia, che è entrata in crisi proprio nel corso del 2014, allorché la quotazione del greggio ha imboccato una rapida discesa precipitando da 100$ al barile a soli 30$ nel giro di un anno. Il governo ha provato ad intraprendere una politica di differenziazione economica che ha generato un aumento delle entrate fiscali non petrolifere ma, ancora, non ha intaccato la matrice estrattivista della propria economia che continua ad essere legata a doppio filo al petrolio e all’andamento delle sue quotazioni. Se la riduzione della dipendenza dal petrolio è sicuramente una saggia strategia, non crediamo di certo che debba effettuarsi a vantaggio di altri prodotti minerari come lascerebbe presupporre l’approvazione della legge per lo sviluppo dell’Arco Minero dell’Orinoco che favorisce lo sfruttamento delle abbondantissime risorse presenti nel sottosuolo di questa regione amazzonica (oltre al petrolio oro, coltan, diamanti, ferro, bauxite) da parte delle multinazionali.

Il futuro del governo bolivariano, che si giocherà alle presidenziali del 2018, è dunque legato al modello di sviluppo e quindi alla diversificazione economica che non potrà prescindere dallo sviluppo di processi industriali di trasformazione delle materie prime con la conseguente e fondamentale creazione di valore aggiunto di e posti di lavoro. Strada obbligata ma non di facile percorrenza, oltre che per limiti propri, anche a causa delle strategie golpiste interne e delle pressioni, politiche ed economiche internazionali, sfociate nelle sanzioni Usa approvate da Trump il 25 agosto scorso.

[1] Cepal: Commissione Economica Per l’America Latina dell’Onu

[2] L’indice Gini misura le disuguaglianze nella distribuzione del reddito.

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