“Il risultato non è mai in discussione, solo il percorso che si prende per arrivarci.” Frase di lancio originale del film
20febbraio 2016 di Enrico Bulleri
Come il suo omonimo biblico, Abel Morales (Oscar Isaac, “A proposito di Davis”) è un uomo che si sforza di fare la cosa giusta. E’ l’ambizioso proprietario di un business nel petrolio da riscaldamento, ma a differenza di molti altri nel suo settore, vuole giocare secondo le regole.
Abel è un convinto sostenitore del sogno americano: lavora duro, rimane concentrato sul suo obiettivo granitico nella fede che alla fine avrà successo. Ha appena negoziato un accordo per l’acquisto di un terminale per il petrolio, che gli permetterà di ampliare in modo significativo la sua attività. L’unico problema: si deve chiudere l’acquisto della proprietà effettuando un pagamento completo entro trenta giorni. Abel non prevede che questo sarà un problema, ma si sbaglia. Come il suo omonimo biblico, egli dovrà affrontare delle conseguenze per le decisioni che ha compiuto.
Il titolo del film si riferisce al 1981, quando vi furono oltre 120.000 rapine e più di 2.100 omicidi a New York
Anche l’attività di Abel verrà direttamente influenzata dalla crescita delle attività criminali cittadine, infatti molti dei suoi camion vengono dirottati e il carico di petrolio rubato, i suoi impiegati e autisti vengono aggrediti e, oltre 100.000 galloni di carburante saranno fatti sparire. Sospetta i suoi concorrenti di essere responsabili e mandanti di questi atti ma, nessuno confessa mai il crimine. Nel frattempo, l’assistente procuratore distrettuale della città (David Oyelowo, “Selma”) gli annuncia che sta progettando di avviare un’indagine sui suoi affari, il capo dei Teamsters, il sindacato degli autisti dei camion (Peter Gerety, “La Guerra dei mondi”) inizia ad armare gli autisti per fronteggiare assalti e aggressioni, ma i finanziatori di Abel iniziano a lasciarlo solo. In questo contesto, la moglie di Abel, Anna (Jessica Chastain, “Zero Dark Thirty”), avverte che la loro famiglia è in pericolo, e lo accusa di non riuscire a proteggerla adeguatamente.
“A Most Violent Year” non è il primo film ad offrire il ritratto di un uomo buono ma che, sta cercando di mantenere la sua dignità con metodi di corruzione, tuttavia quanto viene introdotto dallo sceneggiatore/regista J.C. Chandor su questo aspetto, è molto più scabroso e meno semplicistico del solito. A fronte di molti scrittori, sceneggiatori e registi convinti del fatto che il Sogno Americano non è altro che una perfetta menzogna, nel film di Chandor invece si teorizza che è concretamente possibile ma, la sua realizzazione ha un prezzo elevato dai gravi effetti collaterali.
Dopo tre film che apparentemente sembrano avere poco in comune, il tono e lo stile di Chandor sta lentamente cominciando a rivelarsi. Sia in questo film che nel suo notevole debutto “Margin Call”, emerge tutto il disagio verso l’identità socio economica degli Stati Uniti. E il dramma che emerge dalla descrizione dei protagonisti, dove tutto è perduto, svolge brillantemente la funzione di un metaforico esame di quel modello di società.
Chandor riesce sempre a dipingere caratteri e situazioni forti, dal pesante significato, anche in “1981: Indagine a New York” ritroviamo momenti in cui emergono con forza le sue idee, presentate da un simbolismo a tinte fortemente caratterizzate.
Questo sforzo narrativo si pone tra un disagio lunatico e quello di una drammaticità urbana, del tipo da cui Lumet o Coppola o Polanski avrebbero potuto essere attratti trenta o quarant’anni fa (non importa infatti che il film sia ambientato nei primi anni ’80).
Oscar Isaac dà una enorme prova nel ruolo di protagonista, in modo del tutto inaspettato, il suo personaggio è quello di un uomo che sta attraversando le prove di Giobbe ma, con un sangue freddo dinnanzi alle avversità quasi allarmante. Mantenendo sempre la sua compostezza, alzando raramente la voce e rimanendo sempre profondamente analitico. Durante i suoi momenti più bassi, ha sempre un modo di fare per cui anche le più disperate suppliche appaiono come argomenti razionali. Isaac offre un livello di forza sottotono che suscita il ricordo degli echi dei primi lavori di Al Pacino (c’è qualcosa che ci rimanda a Michael Corleone, nel personaggio e nell’interpretazione). Tra questo film e quello del protagonista dalla personalità frastagliata, talvolta ferita, di “A proposito di Davis”, Isaac si è affermato come uno dei più interessanti giovani attori della sua generazione.
A tal proposito, la sempre radiosa Jessica Chastain offre un valido supporto come la moglie di Abel, colei che si occupa di tutta la sua contabilità, e che almeno casualmente assomiglia ad una Lady Macbeth del 20° secolo. Affrontando senza mezzi termini il marito, in quelle concretezze che spesso sceglie di ignorare, pur amandolo, pare molto più interessata ai risultati positivi, rispetto alle intenzioni positive. Nella fase iniziale, Anne sembra cambiare piuttosto rapidamente, da professionale socia ad una arrabbiata antagonista verso il frastornato compagno, verrebbe da chiedersi se l’interpretazione della Chastain sia stata atipicamente incoerente. Invece no, Anne sarà sempre e solo colei che ha bisogno di essere, una che si adatta e che vorrebbe poter convincere il marito, a fare lo stesso.
Il cast di supporto è pieno di attori caratteristi di talento, tra cui un geniale ma un pò sinistro Albert Brooks, o l’avvocato e braccio destro di Abel, e il toccante e drammaticamente serio Elyes Gabel nella parte di un ragazzo latinoamericano, divenuto paranoico autista di camion. Ma, è il contrasto e la spinta insiti nel rapporto tra Isaac e la Chastain, che fa da vero attracco per la pellicola. C’è una scena iconica, nella quale Abel tiene una lezione a dei neo assunti venditori sulla forza della vendita, su come realizzarla nel nel modo più efficace. In questa scena, Isaac offre la battuta più essenziale del film: “Non potrai mai fare nulla di più che guardare qualcuno negli occhi e dirgli la verità” Questa battuta ispira il ricordo di una famosa linea di dialogo da “Scarface” di Brian De Palma (“Gli occhi, Chico. Essi non mentono mai”), e la colonna sonora al solito splendida di Alex Ebert evoca pure sottilmente ricordi di quel film.
La musica si sente infatti di tanto in tanto come una variazione su un tentativo di tema alla Moroder; un tema che non è abbastanza disposto ad ammettere pienamente quello che è. Allo stesso modo, Abel non sembra disposto ad ammettere a se stesso che potrebbe trasformarsi in una sorta di Tony Montana, che potrebbe, infatti, essere il tipo di bad guy che afferma di disprezzare. Questa potrebbe essere la storia della caduta di un eroe e dell’ascesa di un cattivo (una lettura che è certamente oggetto di interpretazione), pur mantenendo sempre un’empatia per il personaggio di Abel, perché Chandor mette in chiaro che il problema è molto più grande delle scelte di un uomo.