Il 20 giugno è la Giornata Mondiale indetta dall’ONU nel 2000 per ricordare i diritti del popolo dei migranti e dei rifugiati: 50 milioni di persone costrette a lasciare la propria terra a causa di guerre, disastri ambientali, carestie e violenza.
20giugno da Giovanna Pagani, Presidente Onoraria WILPF Italia (Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà)
WILPF Italia (Lega internazionale Donne per la Pace e la Libertà), Cesdi (Centro Servizi Dinne Immigrate), Coordinamento delle Comunità Straniere, ALBA hanno voluto cogliere questa occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica di fronte al dramma della migrazione forzata e favorire la solidarietà umana e politica.
Di fronte ai gravi episodi di intolleranza xenofoba agita nei confronti di uomini, donne e bambini che scappano dalla morte e affrontano viaggi disperati e drammatici in cerca di un’ alternativa di vita, è doveroso accendere i riflettori mediatici sulla “plurima” violazione dei diritti umani di cui sono vittime, al fine di svegliare la coscienza sociale della cittadinanza e del mondo politico italiano ed europeo, che si devono aprire a una accoglienza umana e costruttiva.
Non vogliamo un’Europa Fortezza che, trasformando i migranti in “invasori”, li vuole bloccare e respingere attraverso strategie militari gestite da Frontex, l’Agenzia delle frontiere dell’Unione Europea. Ogni anno viene speso 1 miliardo di Euro per respingere i migranti. Non sarebbe meglio utilizzzare quei fondi per dare una prima risposta immediata di tipo umanitario? Noi vogliamo un’ EUROPA dei diritti, che attui reali politiche di accoglienza e integrazione, che sia promotrice di ponti di solidarietà con i paesi terzi, attraverso la cooperazione allo sviluppo e una politica internazionale di pace.
L’EUROPA ha ricevuto è Premio Nobel per la Pace (2012) dimostri dunque di esserlo. La settimana del diritto del migrante, si concluderà sabato 27 giugno con attività di flash mob in città.
La missione EUNAVFOR Med è una follia!
di Barbara Lochbilher (Commissione affari esteri del Parlamento Europeo, Gruppo Verde/Alleanza Libera Europa)
Si chiama EUNAVFOR Med la nuova missione anti-scafisti concordata il 18 maggio scorso dal Consiglio congiunto dei Ministri degli Esteri e della Difesa dell’Ue. Questi i loro obiettivi: procedere quanto prima militarmente contro i trafficanti di esseri umani, a partire dalla Libia. Oltre che di operazioni militari marittime, si discute di raid aerei e dell’uso di truppe speciali di terra.
Questa è solo una misura fra le tante, secondo l’incaricata europea per gli Affari Esteri Federica Mogherini – di cui si è parlato quello stesso giorno. In una prima fase si tratterebbe solo di adoperare tutti gli strumenti disponibili per individuare con più precisione le attività degli scafisti. In una seconda fase ci si limiterebbe alle indagini e alla confisca delle imbarcazioni. Solo in una terza fase sarebbero previste misure militari sul territorio libico. Ma questo non cambia nulla rispetto alla decisione fondamentale: la militarizzazione della politica europea in materia di rifugiati è una decisone presa, che si presenta immediatamente problematica sotto vari aspetti.
In primo luogo, si sta forzando la politica comune di sicurezza e di difesa per chiudere i confini dell’Europa. Ma non era questo l’obiettivo, né doveva diventarlo. Nello stesso tempo, persone bisognose di protezione vengono ridefinite una “minaccia” per la sicurezza, cui si può far fronte solo con mezzi militari. E questo è del tutto assurdo. E tuttavia la Mogherini l’ha sostenuto recentemente anche di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU allo scopo di ottenere un mandato militare sulla base del Capitolo VII delle Carta dell’ONU, come per la pirateria, il traffico di droga e la caccia illegale agli animali selvatici.
Un mandato simile è sempre necessario qualora manchi il consenso dello Stato interessato – in questo caso la Libia – nel cui territorio si dovrebbe agire. Esso è previsto “in caso di minacce o di pericolo per la pace e di atti di aggressione”, quando siano in gioco “ la pace mondiale e la sicurezza internazionale”. Per quanto disumano possa essere il comportamento dei trafficanti di uomini, farlo passare per una minaccia assoluta alla sicurezza della collettività, è assurdo. Già il tentativo, ammesso che si ottenga il consenso delle Nazioni Unite, si configura come un pericoloso precedente. Un “ulteriore” precedente, per essere precisi. Dalla pirateria al traffico di droga, fino al traffico di animali selvaggi e al contrabbando di avorio: in un ricco elenco di casi, il Consiglio di Sicurezza in passato ha deliberato un intervento militare sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca ora anche l’Unione Europea: i profughi non sono una minaccia all’ordine Internazionale, né lo sono gli scafisti, ma piuttosto i contesti caotici che nell’insieme dei flussi migratori minacciano di determinarsi – prima di tutto quelli dal Nord Africa all’Europa, e in seguito al mondo intero – potrebbero mettere a rischio la sicurezza. Sicché solo con un intervento militare preventivo si può arrestare questa deriva.
Con questa strategia avventuristica l’EU conferma la sua propensione alla riduzione degli standard internazionali di tutela dei diritti e sta facendo il gioco di quegli stati membri del Consiglio di Sicurezza delle NU che intendono comunque estendere le possibilità di intervento militare. Un errore di gravissimo impatto. Il diritto internazionale ne viene indebolito. Peraltro, i piani dei ministri degli Esteri e della Difesa europei testimoniano un’inquietante superficiale conoscenza sul funzionamento concreto delle imbarcazioni, su come i trafficanti comunicano è agiscono, attraverso centri logistici che possano essere precisamente identificati fuori dall’area.
Anche in Libia gli scafisti operano nella maggior parte dei casi attraverso strutture sociali aggrovigliate, reti familiari, in mezzo all’andirivieni della vita quotidiana. L’EU vuole forse attaccare bersagli che sono parte integrante di radicate strutture sociali e infrastrutture? Come può in simili contesti escludere che anche la popolazione civile possa essere danneggiata e assumersi l’onere di destabilizzare ulteriormente la già fragile sicurezza della Libia? Inoltre c’è da dubitare che in Libia milizie ancora influenti se ne stiano lì ferme, mentre la Marina italiana o l’Aereonautica britannica conducono attacchi nel loro territorio d’influenza. E il governo libico di Tobruk ha già lasciato intendere in varie occasioni che interpreterà un’azione militare dell’Unione Europea come un attacco alla propria sovranità.
E’ trascorso appena un mese da quando altre centinaia di persone hanno perso la vita in mezzo al mare. Le poche sensate proposte di riforma della Commissione dell’UE per una diversa politica nei confronti di profughi e migranti, nate sotto la spinta di quei fatti, non fanno i conti con la realtà.
Una permanente, congiunta azione di salvataggio in mare? Non realizzabile,e comunque solo inizialmente in acque europee. Seguire vie legali per colpire alla base gli affari illeciti degli scafisti? Un domani, forse. Un nuovo sistema di redistribuzione dei flussi all’interno dell’Europa? Sembra questione lontanissima dall’ essere posta su un tavolo di trattative. Con la militarizzazione della politica sui profughi, il risultato ottenuto dall’EU sarà che diminuirà, probabilmente, il numero dei profughi che prendono la via dell’Europa, dato che questa s’impegnerà nella distruzione dei barconi: ma essi cercheranno vie ancor più pericolose e dovranno pagare ai trafficanti ancora più denaro. Quelli che non potranno permettersi tale spesa, resteranno in Libia – un paese in cui torture, stupri,violenze e sfruttamento sistematico dei profughi sono all’ordine del giorno.