In queste ultime settimane si parla insolitamente molto, per un film di genere italiano: “Lo Chiamavano Jeeg Robot”
5marzo di Enrico Bulleri
Esordio alla regia di Daniele Mainetti, il quale si è cimentato con un genere praticamente inedito nel cinema italiano contemporaneo. Data la risicatezza del budget rispetto agli analoghi prodotti americani, il film di Mainetti si è inevitabilmente concentrato sui personaggi e sull’ambientazione, quale percorso praticamente obbligato da intraprendere e, gestendo il tutto con un eccellente risultato.
Questo esordio di Mainetti, dopo un paio di cortometraggi in tema e di buon successo (uno addirittura candidato all’Oscar), vorrebbe diventare un adattamento dei supereroi classici americani alla Marvel Cinematic Universe, investiti sullo sfondo del solito complotto per distruggere, in questo caso, l’Italia, nello specifico Roma. Non vi sono personaggi che vogliono specificatamente salvare o conquistare il mondo, ma originariamente solo persone comuni, della strada, dei quartieri, che lottano per la sopravvivenza, tra criminali di periferia, coatti borgatari, e boss della camorra. Il Tevere è lercio, le camere sono sporche come le esistenze. L’ambientazione è dunque quella del recente “Non essere cattivo” (2015) di Claudio Caligari. Con cui, non a caso, condivide il co-protagonista Luca Marinelli, e veri e propri emarginati sociali, in una società che non può fornire alcuna possibilità di emanciparsi dalla propria condizione di partenza, che li rifiuta e non dà la benché minima possibilità di cambiare la loro esistenza.
Enzo (Claudio Santamaria) è un ladro di mezza tacca che non nutre più alcuna speranza per se stesso e, tanto meno verso il prossimo, sopravvivendo solamente esternamente, in giorni che trascorrono uno dopo l’altro sempre uguali, tra yogurt avidamente consumati come l’uso compulsivo di video porno, utilizzando i superpoteri che casualmente si ritrova, solamente per assoggettarli alle sue abitudini ripetitive.
L’altra protagonista, con la quale egli ovviamente si scontrerà, è Alessia, una tizia squilibrata che se ne sta quasi sempre a guardare e riguardare i cartoni animati e tutto quel che ruota attorno a “Jeeg Robot d’Acciaio”, come fuga dalla realtà.
Zingaro (Marinelli) è, come si diceva un tempo, alla ricerca invece del suo posto al sole nella Roma degli speranzosi, tentando di costruirsi una fama, inizialmente attraverso l’effimero cosmo della televisione, in seguito nel diventare un noto e temuto criminale nella malavita romana.
La “normalità” degli altri personaggi, risulta essere racchiusa in un altra vita e in un altro universo, che non può minimamente collimare con questo. Come in un acquario, Enzo li osserva e li scruta, oltre il vetro specchiato, nel mentre gli altri fingono di non vederlo, oramai tutti anestetizzati a quelli che paiono essere gli orrori terroristici e quant’altro del quotidiano narrato in continuazione dai mezzi di informazione. Attacchi terroristici che ci riconducono con la memoria agli anni di piombo, in questo contesto, persino uno come Enzo può diventare il “buono” della situazione.
In un costante legame con quella che potrebbe essere definita la realtà dell’oggi, il film gioca le carte migliori in una ricerca del realismo, nonostante la leggerezza dell’utilizzo dei superpoteri, quindi largo utilizzo di strade vere, personaggi comuni, criminali realistici, e situazioni di tutti i giorni, infatti, “banalmente” la prima vera buona azione che Enzo si trova casualmente a compiere, è quella del salvataggio di una bambina coinvolta in un incidente stradale.
- Santamaria è, come quasi sempre, all’altezza nella interpretazione del protagonista
- La Pastorelli invece direi proprio di no (infatti non mi ha stupito il fatto che proviene da “Il Grande Fratello”).
- Mentre Marinelli brilla egregiamente di luce propria, nel suo ruolo da cattivo.
- La regia di Mainetti è un po sopra la media anche come polso registico dei prodotti italiani. Personalmente non mi è dispiaciuto, ed è cosa rara per un prodotto italiano contemporaneo di questo genere ma, esaltarlo a possibile rifondazione e rinascita del cinema di genere italiano parrebbe un tantino esagerato. La sequenza migliore, mi risulta essere, l’assalto alla casa dello Zingaro del clan camorristico, oltre alle scene nella stanza di Enzo con Jeeg Robot, proiettate sulla parete. La colonna sonora è fatta principalmente di raccordi delle scene nelle quali vengono utilizzati alcuni brani di musica leggera anni ’80. Ma è la sceneggiatura a rappresentare uno dei punti deboli dell’operazione, con una storia e dei personaggi troppo scontati e basici, e anche se può avere l’ombra di una scelta voluta, nei risultati parrebbe più una necessità per la mancanza di invenzione e capacità nel percorrere vie originali, che tuttavia in molti hanno voluto scorgere. Oltretutto e con questi presupposti, anche lo scontro finale non ha niente di memorabile e convincente.
Non mancano ovviamente i riferimenti e gli omaggi/citazioni a tanti altri film e ad altro cinema, a partire da “Kill Bill” e dagli anime come “Jeeg Robot” da cui prendere il titolo. D’altronde è innegabile che Mainetti conosca bene l’universo dei cartoni e dei fumetti giapponesi, avendogli ispirato i suoi precedenti e apprezzati cortometraggi, ma dimostrando anche di avere assimilato nel suo film, in qualche misura, alcune delle ossessioni peculiari di certi autori del nuovo cinema giapponese. Quindi il solito sesso in dosi abbondanti, dato e recepito in forme squilibrate da personaggi altrettanto squilibrati, nel corpo tatuato e pieno di piercing come nella mente, la violenza come possibile forma di autodeterminazione e rovesciamento di un esistente fatto soltanto di emarginazioni, dolore e precarietà dei rapporti umani e sociali. e la tecnologia che apporta e gioca in tutto questo un ruolo determinante, con una buona intuizione del film, anche se oramai già fin troppo enunciata.