In questi giorni televisione e giornali sono stati affollati dalle polemiche nei confronti dell’invito di Guido Bertolaso a Giorgia Meloni di lasciar stare la corsa a sindaco di Roma per fare la cosa più importante nella vita di una donna: la mamma
21 marzo 2016 di Fiorella Chiappi
Prontamente la Meloni ha risposto, supportata da autorevoli voci femminili e maschili, che non compete a lui o ad altri uomini dirle cosa deve fare: se fermarsi per un po’ di tempo o conciliare politica e maternità.
Il punto focale di questa polemica non è, infatti, il tema della “maternità”, ma il rifiuto degli atteggiamenti di “tutela” nei confronti delle donne da parte degli uomini e dello Stato, con la relativa indicazione dei ruoli che possono avere o no all’interno della società. Sta a ogni donna valutare cosa vuole fare in base anche alle sue risorse: partner collaborativo, familiari vicini, supporto di personale adatto, risorse psico-fisiche del momento, motivazione a conciliare lavoro/famiglia, ecc. Va affermato, pertanto, il diritto delle donne a un tempo per sé durante il percorso nascita, ma anche la possibilità di infrangerlo se si sente di poterlo fare. Come indica tutta la normativa sullo stress negli ambienti di lavoro (Accordo Europeo del 2004 e D. Lgs ’81) spetta ai diretti interessati dire cosa percepiscono come stress. Questo vale anche per le donne in gravidanza.
L’uscita di Bertolaso è stata una sorta di autogol, perché ha sottovalutato un profondo cambiamento nel paese in merito al ruolo delle donne nella nostra società. Se fino ad alcuni anni fa un’affermazione come quella non sarebbe stata rilevata o addirittura in qualche modo sostenuta dai più, oggi non è più così.
Che cosa è accaduto in questi ultimi anni?
Senz’altro il dibattito, che ha accompagnato la Legge 120 del 2011 – la così detta Legge sulle “quote rosa” negli organi di gestione delle società quotate in borsa e delle partecipate – ha approfondito la consapevolezza in merito al perché sia non solo giusto ma anche vantaggioso avere le donne ai vertici delle aziende e, di conseguenza, della politica. Tutte le ricerche, fra cui quelle della McKinsey & Company, ci dicono, infatti, che i migliori successi sono nelle aziende con una dirigenza bilanciata di uomini e donne.
In questa logica della dirigenza, oltre che delle istanze di parità, la maternità così come la paternità vanno dunque sdoganate. Allattare può essere fatto anche in ambiente di lavoro, nei luoghi della politica, come abbiamo visto al Parlamento europeo, nel 2010, quando i giornali e la televisione hanno mostrato le foto dell’europarlamentare Licia Ronzulli in Aula a Strasburgo con la figlia neonata.
Questo dibattito sulle donne nei vertici ha modificato la consapevolezza di tanti politici, giornalisti, intellettuali, ma senz’altro sull’opinione pubblica hanno inciso anche altri fattori, fra cui le nuove immagini del potere:
- Non solo uomini ai vertici, ma sempre più donne, anche nei luoghi tradizionalmente più maschili: la fisica Fabiola Gianotti alla guida del CERN di Ginevra e l’astronauta Samantha Cristoforetti nello spazio; Roberta Pinotti, ministra della Difesa e Federica Mogherini, prima ministra italiana agli esteri e poi “alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.
- Non solo sempre più immagini di donne ai vertici tradizionalmente maschili, ma anche durante la gravidanza e il dopo parto. Marianna Madia e Beatrice Lorenzin hanno continuato a svolgere il loro ruolo politico anche durante la gravidanza e poco dopo il parto, come avevano già fatto altre politiche europee: la guardasigilli francese Rachida Dati del governo Sarkozy o l’attuale ministra tedesca del Lavoro e Affari sociali Ursula von der Leyen, che ha ben sette figli o, in tempi ben più lontani, la grande Maria Teresa d’Austria.