Dal Chiapas con paura e fiducia

In questo paradiso incastonato tra le montagne del sud-est messicano si sono abbattuti, in una notte, terrore e morte.

12settembre 2017 da Angela Bellei, San Cristobal de las Casas

  • San Cristobal de las Casas il 6 settembre scorso si presentava come di consueto: la magnifica Cattedrale, lo Zocalo con le panchine verdi occupate da donne di varie etnie che ricamano e cercano acquirenti per i loro tessuti ricamati e gli andador verso la Madonna della Guadalupe e l’ex convento del Carmen. Settembre non è stagione di turismo di massa ma qui in Chiapas vale sempre la pena di venirci, anzi, si gusta appieno il sapore  della cultura e delle tradizioni locali senza inciampare in turisti spesso sgradevoli perchè non preparati ad apprezzare e capire la specificità del luogo e della gente che lo vive.

  • Il giorno successivo, 7 settembre, dopo una splendida, calda e limpida mattinata ed un pomeriggio piovoso, si è scatenato l’inferno. Un terremoto di magnitudo 8.2 ha squassato la terra e sconvolto le acque non solo del Chiapas, epicentro del sisma, ma tutto il sud del Messico lambendo anche la capitale, Città del Messico. Una violenta, interminabile, spaventosa scossa ha costretto tutti ad uscire dalle case  in preda alla paura e a cercare riparo in luoghi aperti. Per tutta la notte sirene hanno allertato che le  scosse proseguivano . Anche per tutto il giorno successivo ci è rimbombato nel cervello l’inquietante suono. Le vittime a San Cristobal sono provvisoriamente 3 e nella periferia della città i quartieri abitati dagli indigeni hanno subito gravi danni. Nel centro storico lesionata la Cattedrale, le chiese di San Francesco,  Santa Lucia, San Nicolas, de Mexicanos, Zinacantan, il Municipio, la Casa de la Ensenanza, ed altri edifici di interesse storico e  culturale.

Una città di 250 mila abitanti che si appresta a far fronte ad una emergenza che, in Italia, conosciamo bene avendo subito più recentemente la stessa tragedia in Umbria, Lazio, Marche, Abruzzo, Emilia Romagna. Attivati subito punti di raccolta di beni di prima necessità e strutture per accogliere chi ha perduto il tetto. 

Il sentimento che mi ha accompagnato in 22 anni di presenza, saltuaria ma in momenti significativi in Chiapas, è di affetto – perchè no -, rispetto e condivisione dell’orgoglio con cui il popolo indigeno ha intrapreso la lotta per il riconoscimento dei propri diritti il primo gennaio del 1994 e che, con diverse modalità, ancora porta avanti. Dopo avere occupato cinque municipi del Chiapas, lo stato più povero del Messico, portando le richieste di indigeni e contadini che protestavano per ottenere la riforma agraria e dopo aver tentato invano di far accogliere le loro rivendicazioni a Città del Messico, nel 2003 gli zapatisti proclamarono l’autonomia di cinque zone, chiamate “caracoles”, chiocciole, come uno dei loro simboli. Da allora, si sono organizzati in “puebli” in cui la terra è comune, dove non esiste proprietà privata, tutti i beni sono collettivi, l’alcool e le droghe banditi, le donne devono essere trattate al pari degli uomini, e i rappresentanti vengono eletti ogni due anni ma devono rispondere e discutere con tutti gli abitanti ogni decisione.  Rispetto a vent’anni fa è sicuramente un passo avanti: i loro genitori, loro stessi, negli anni ’80, erano schiavi. Contadini sottopagati che si spaccavano la schiena anche 10, 12 ore al giorno. Ora continuano a mangiare soprattutto mais e fagioli, ma lavorano molto meno, rimettendo i prodotti alla comunità, e non a dei lontani latifondisti. E soprattutto hanno scuole e ambulatori che qui non erano mai arrivati.

Brevi note sull’impegno che ho profuso verso la causa zapatista.

Per me la prima volta è stata nel febbraio del 1995. Una delegazione di Rifondazione Comunista della quale faceva parte anche la sottoscritta, ha ritenuto importante testimoniare ciò che stava accadendo dall’altra parte dell’Oceano. Il movimento zapatista in quei mesi stava subendo una furiosa repressione da parte dell’esercito ed è quello che volevamo verificare e abbiamo documentato.  In Italia si sapeva assai poco di quella terra e di quella lotta. Nostro obiettivo era costruire iniziative politiche di conoscenza e solidarietà anche concreta portando una testimonianza diretta. Il dialogo, indimenticabile, nel gennaio del 2000, avuto con Marcos ed il comandante Tacho in una baracca di legno a La Realidad è stato determinante per rafforzare il mio legame con il popolo chiapaneco. Poi nel 2001 la marcia dalla Selva Lacandona fino allo zocalo di Città del Messico per portare le istanze indigene all’attenzione del mondo politico e della società civile messicana e internazionale. Lì ricevettero dimostrazioni di sostegno da tutto il paese. Al parlamento, la comandante Ramona chiese che venisse accolta la voce degli indigeni. Il clima  politico era favorevole ma la legge sulle autonomie andò a ingrossare le file delle questioni in sospeso di un paese dove la violenza e l’impunità coesistono con la solidarietà e la speranza.

Nonostante il silenzio dei media e l’assenza di iniziative locali e internazionali sulle condizioni dei campesinos, nei municipi controllati dall’Ezln si sono costituite giunte di buon governo in cui si esercita una democrazia diretta, le autorità non ricevono compensi e “comandano obbedendo”. Lì la parola “io” è pronunciata meno spesso di “noi”.

L’Hospital de la mujer e la Escuelita zapatista sono dimostrazioni di un netto miglioramento nell’ambito della sanità e dell’istruzione, raggiunto in difficili condizioni. Lontani dall’attenzione dei mezzi di informazione, nelle loro cinque comunità o caracoles, gli zapatisti si reinventano i giorni. La loro capacità di riflessione non è da meno: nel maggio del 2015 hanno convocato il seminario internazionale Il pensiero critico davanti all’idra del capitalismo. A proposito dell’utopia, Marcos riferisce un insegnamento del vecchio Antonio: una stella misura ciò che è lontano; una mano, forma umana della stella, misura ciò che è vicino per arrivare lontano. Paradosso zapatista: la meta irraggiungibile è a portata di mano.

La morte di Marcos

“Dichiaro che il Subcomandante Marcos smette di esistere. Non sarà più mia la voce che parlerà a nome dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale”. A 20 anni dalla prima insurrezione che ha portato a conoscenza del mondo intero la lotta contro il liberismo messicano per tutelare gli indigeni del Chiapas, è proprio il suo primo combattente a segnare la fine di un’epoca. “Non sono malato e non sono morto – ha scritto Marcos in un lungo messaggio – anche se mi hanno ucciso molte volte”. Un passo indietro, che lo stesso Subcomandante, spiega così: “La mia immagine pubblica è diventata una distrazione”, perciò è giusto che Ezln cominci “una nuova fase”. “Il mio”, ha detto durante una cerimonia in onore di Galeano, un militante zapatista ucciso all’inizio di maggio, “è stato un travestimento pubblicitario” “Non ci sarà nessuna vedova , non ci sarà nessun funerale, niente onori, statue o musei. Nulla che possa promuovere il culto della personalità a discapito del collettivo. Questo personaggio è stato creato e ora i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggono. Comprendere questo significa capire qualcosa di fondamentale per noi”

Nel suo lungo discorso Marcos ha parlato a lungo di Galeano, maestro nella Escuelita Zapatista che aveva fatto conoscere ad alcune migliaia di persone l’esperienza delle comunità autonome, ucciso il 2 maggio 2014, colpito prima da colpi di arma da fuoco e poi finito con il machete. A lui, nei giorni successivi alla morte, il Subcomandante aveva dedicato parole affettuose ma anche cariche di rabbia nei confronti dei paramilitari che lo hanno assassinato, lasciando intendere che quella morte sarebbe stata in ogni caso un spartiacque per il movimento. Nel maggio 2014 l’annuncio ufficiale. Il testo della lettera con cui il simbolo di Ezln ha rinunciato al personaggio per rivestire i panni del semplice e anonimo combattente si chiude con un omaggio al compagno ucciso:

“Buon viaggio – scrive Marcos – Dalle montagne del sudest messicano. Subcomandante insurgente Galeano”.

L’iniziativa zapatista e delle comunità

Nei mesi scorsi e anche ora, non passa giorno che nella piazza della Cattedrale di San Cristobal si  incontrino gruppi che manifestano le più diverse opinioni o per rivendicare giustizia per soprusi o violenze subite dai militari, paramilitari, dal potere centrale o locale. Gli ambientalisti protestare per la devastazione di un territorio destinato ad autopista; gli studenti per una scuola aperta, pubblica, gratuita e bilingue; una comunità per ricordare l’anniversario della uccisione di uno studente; il sindacato contro la realizzazione del muro al confine degli Stati uniti minacciato da Trump; gli animalisti per l’adozione dei cani randagi; i medici per la donazione del sangue destinato alle donne indigene; i desplazado con le tende che ancora oggi, nonostante il terremoto e la pioggia, chiedono di tornare nei loro villaggi da cui sono stati cacciati dall’esercito. La lotta al narcotraffico è uno strumento micidiale per giustificare le scorribande dei militari nelle comunità zapatiste.

E’ giunta l’ora

In vista delle elezioni presidenziali che si terranno nel 2018 il Consiglio Nazionale Indigeno di Governo il 28 maggio scorso ha approvato un documento che rappresenta una svolta nell’atteggiamento tenuto dagli zapatisti in occasione di appuntamenti elettorali. Un appello e una scommessa contenuti in un programma politico che verrà sottoposto al voto e che vede per la prima volta nella storia zapatista, una donna indigena candidata alle elezioni.

Questo è il testo della dichiarazione dell’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo:

L’ora è giunta. Al popolo del Messico, ai popoli del Mondo, ai mezzi di comunicazione, alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Dall’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo, dove ci siamo dati appuntamento popoli, comunità, nazioni e tribù del Congresso Nazionale Indigeno: Apache, Amuzgo, Chatino, Chichimeca, Chinanteco, Chol, Chontal de Oaxaca, Chontal de Tabasco, Coca, Cuicateco, Mestizo, Hñähñü, Ñathö, Ñuhhü, Ikoots, Kumiai, Lakota, Mam, Matlazinca, Maya, Mayo, Mazahua, Mazateco, Me`phaa, Mixe, Mixe-Popoluca, Mixteco, Mochó, Nahua o Mexicano, Nayeri, Popoluca, Purépecha, Q´anjob´al, Rarámuri, Tének, Tepehua, Tlahuica, Tohono Odham, Tojolabal, Totonaco, Triqui, Tseltal, Tsotsil, Wixárika, Xi´iuy, Yaqui, Binniza, Zoque, Akimel O´otham, Comkaac, diciamo al mondo la nostra parola urgente.

La guerra che viviamo e affrontiamo

Ci troviamo in un grave momento di violenza, di paura, di lutto e di rabbia per l’acuirsi della guerra capitalista contro tutte e tutti nel territorio nazionale. Assistiamo all’assassinio di donne, solo per il fatto di essere donne, di bambini, solo per il fatto di essere bambini, di popoli, solo per il fatto di essere popoli. La classe politica si è ostinata a fare dello Stato una corporazione che vende la terra che è dei popoli originari, dei contadini, dei cittadini, e che vende le persone come fossero una merce che si ammazza e si seppellisce come materia prima dei cartelli della droga, che si vende alle imprese capitaliste affinché le sfruttino fino allo sfinimento o alla morte, o che si vende a pezzi sul mercato illegale degli organi.

Il dolore dei familiari dei desaparecidos e la loro risolutezza per trovarli, malgrado i governi facciano di tutto perché non li trovino, perché insieme a loro apparirebbe anche il putridume che comanda in questo paese. Questo è il destino che quelli di sopra costruiscono per noi, attenti a che la distruzione del tessuto sociale, di ciò che ci conferma come popoli, nazioni, tribù, quartieri, colonie, perfino famiglie, ci tenga isolati e soli nella nostra desolazione, mentre loro consolidano l’appropriazione di interi territori, nelle montagne, nelle valli, sulle coste, nelle città.

È la distruzione che abbiamo non solo denunciato, ma affrontato per 20 anni e che evolve nella maggior parte del paese in una guerra aperta lanciata da corporazioni criminali che agiscono in sfacciata complicità con tutti gli organi del malgoverno, con tutti i partiti politici e istituzioni. Tutti loro configurano il potere di sopra e sono motivo di ripugnanza per milioni di messicani delle campagne e delle città.

In mezzo a questa ripugnanza continuano a dirci di votare, di credere nel potere di sopra che continua a disegnare ed imporre il nostro destino. In quella direzione noi vediamo solo la guerra che cresce e all’orizzonte c’è la morte e la distruzione delle nostre terre, delle nostre famiglie, della nostra vita; c’è la certezza assoluta che questo diventerà peggio, molto peggio, per tutti, per tutte.

La nostra scommessa

Ribadiamo che solo nella resistenza e nella ribellione abbiamo trovato le strade possibili per continuare a vivere, che in esse ci sono le chiavi non solo per sopravvivere alla guerra del denaro contro l’umanità e contro la nostra Madre Terra, ma per rinascere insieme ad ogni seme che seminiamo, con ogni sogno e con ogni speranza che si va materializzando nelle grandi regioni in forme autonome di sicurezza, di comunicazione, di governi propri a protezione e difesa dei territori. Pertanto, non c’è altra strada possibile che quella che si percorre in basso, perché quella di sopra non è la nostra strada, è la loro, e noi gli diamo fastidio.

Queste uniche alternative nate dalla lotta dei nostri popoli esistono nelle geografie indigene di tutto il nostro Messico e insieme siamo il Congresso Nazionale Indigeno, che abbiamo deciso di non aspettare il disastro verso cui indubbiamente ci portano i sicari capitalisti che governano, ma di passare all’offensiva e concretizzare questa speranza nel Consiglio Indigeno di Governo per il Messico, che scommetta sulla vita dal basso e a sinistra anticapitalista, che sia laico e che risponda ai sette principi del comandare obbedendo come nostra garanzia morale. Nessuna rivendicazione dei nostri popoli, nessuna determinazione ed esercizio di autonomia, nessuna speranza resa realtà è stata soddisfatta dai tempi e forme elettorali che i potenti chiamano democrazia. Per questo non solo vogliamo strappare loro il destino che ci hanno tolto e rovinato, ma vogliamo smontare quel potere marcio che sta uccidendo i nostri popoli e la madre terra, e le uniche crepe che abbiamo trovato e che hanno liberato coscienze e territori dando consolazione e speranza, sono nella resistenza e nella ribellione. Per decisione della nostra assemblea costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo, abbiamo deciso di nominare come portavoce la nostra compagna María de Jesús Patricio Martínez, del popolo Nahuatl, il cui nome cercheremo di inserire sulle schede elettorali per la presidenza del Messico nell’anno 2018, e che sarà portatrice della parola dei popoli che formeranno il C.I.G., a sua volta altamente rappresentativo della geografia indigena del nostro paese. Dunque, non cerchiamo di gestire il potere, vogliamo smontarlo partendo dalle crepe che conosciamo e di cui siamo capaci.

Il nostro appello

Confidiamo nella dignità ed onestà di coloro che lottano; dei maestri, degli studenti, dei contadini, degli operai, dei braccianti, e vogliamo che si approfondiscano le crepe che ognuno di loro ha scavato smontando, in grande e in piccolo, il potere di sopra, vogliamo scavare tante crepe e che esse siano il nostro governo anticapitalista e onesto.

Il nostro appello è rivolto alle migliaia di messicani e messicane che hanno smesso di contare i propri morti e desaparecidos, che in lutto e sofferenza hanno alzato il pugno e sotto la minaccia anche a costo della propria vita si sono lanciati senza paura della dimensione del nemico ed hanno visto che le strade esistono e sono nascoste nella corruzione, la repressione, il disprezzo e lo sfruttamento.

Il nostro appello è rivolto a chi crede in se stesso, al compagno che ha di fianco, che crede nella sua storia e nel suo futuro, che non ha paura di fare qualcosa di nuovo, perché questo sentiero è l’unico che ci dà la certezza dei passi che stiamo facendo.

Il nostro appello è ad organizzarci in tutti gli angoli del paese per riunire gli elementi necessari affinché il Consiglio Indigeno di Governo e la nostra portavoce sia candidata indipendente alla presidenza di questo paese e sì, rovinare la loro festa basata sulla nostra morte e fare la nostra, basata sulla dignità, l’organizzazione e la costruzione di un nuovo paese e di un nuovo mondo.

Invitiamo tutti i settori della società a seguire le iniziative che deciderà e definirà il Consiglio Indigeno di Governo attraverso la nostra portavoce, a non arrendersi, non vendersi, non deviare né riposare e continuare ad intagliare la freccia che porterà all’offensiva di tutti i popoli indigeni e non indigeni, organizzati e non organizzati, per puntarla contro il vero nemico.

San Cristóbal de las Casas, Chiapas 28 maggio 2017. Per la Rivendicazione Integrale dei Nostri Popoli. Mai Più Un Messico Senza Di Noi, Congresso Nazionale Indigeno, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

“Sono certa che la lettura di questo appello, unitamente ad altri testi prodotti e consultabili sul sito dell’EZLN, renda comprensibile il mio desiderio di imparare e condividere storie, esperienze, colori, sapori e speranze accanto a questo popolo.”

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