Giulio Regeni, le verità ignorate

Un libro per comprendere perché la dittatura egiziana di al-Sisi ha assassinato  Giulio Regeni

15febbraio 2017 di Giacomo Di Lillo

Un anno fa, il 3 febbraio 2016, veniva rinvenuto nella periferia del Cairo il cadavere straziato di Giulio Regeni, un giovane ricercatore italiano. Sulla tragica fine di Regeni e sulle vicende politiche egiziane che l’hanno determinata, Lorenzo Declich, esperto di mondo islamico contemporaneo, ha scritto un “istant book”. Il testo, intitolato “ Giulio Regeni, le verità ignorate. La dittatura di al-Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto”, è stato pubblicato dalle Edizioni Alegre ed ha un costo di 14 euro, nel formato cartaceo, e di 7,99 euro, in quello digitale.

Il saggio di Declich rappresenta una meticolosa ricostruzione di un avvenimento  sul quale sono state finora fornite una miriade di interpretazioni, spesso scorrette o frutto di una conoscenza estremamente superficiale dell’odierna realtà dell’Egitto. Tali interpretazioni hanno finito con l’erigere una spessa “cortina fumogena” in grado di nascondere all’opinione pubblica italiana  verità che, per quanto  risultino scomode, sono in grado di fornire risposte attendibili del perché Regeni sia stato assassinato.

Le parti in cui è suddiviso il testo sono sei: un’introduzione, quattro capitoli e le conclusioni. I titoli dei capitoli sono i seguenti: 25 gennaio 2011-25 gennaio 2016: dalla rivoluzione alla scomparsa di Giulio Regeni; al-Sisi e la dittatura debole; I rapporti economici e politici tra Italia ed Egitto; Complotti, depistaggi e il mancato salvataggio di Giulio Regeni.

Nell’introduzione, Declich rivela che ha iniziato la stesura del libro poco dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, spinto da una impellente necessità. Secondo il parere dell’autore, già a metà di febbraio dell’anno scorso attivisti, studiosi e giornalisti possedevano rilevanti informazioni sulla vicenda, che consentivano di dedurre che il regime dittatoriale guidato dal generale  Abd al-Fattah al-Sisi era il  responsabile di quanto era accaduto al giovane dottorando. Nello stesso periodo, tuttavia, stava diventando evidente che le autorità egiziane erano intenzionate a ricorrere a depistaggi ed insabbiamenti, mentre i fautori della realpolitik “italian style” stavano attivando una potente “macchina del fango”, tesa a screditare la  figura di Giulio Regeni. Si rendeva quindi necessaria la pubblicazione, in tempi brevi, di un saggio che tentasse di smascherare le trame  del tiranno egiziano, e le falsità dei suoi estimatori nostrani.

Il primo capitolo del testo è dedicato all’analisi degli avvenimenti storico-politici del paese nord-africano, dalla rivoluzione del 2011 fino all’anno scorso. Vengono  inoltre ricostruite la permanenza di Giulio in Egitto, le attività di ricerca sociale da lui svolte per conto  dell’ateneo di Cambridge e dell’Università Americana del Cairo (UAC), nonché le vicende riguardanti la sua scomparsa e la  morte.

Declich descrive la drammatica situazione dell’Egitto alla vigilia della fiammata rivoluzionaria del 25 gennaio 2011, che avrebbe comportato l’abbattimento del trentennale regime di Hosni Mubarak. Nel paese, su una popolazione di quasi 80 milioni di abitanti, si contavano 48 milioni di poveri, di cui due milioni e mezzo erano ridotti alla fame. 12 milioni di egiziani non avevano un riparo. La corruzione risultava sistematica. Le sopraffazioni della polizia erano estremamente diffuse. La piattaforma di coloro che scesero in piazza per cacciare Mubarak  chiedeva, in particolar modo, di affrontare il problema della povertà, l’abolizione dello stato di emergenza, la limitazione della possibilità di candidarsi alle elezioni presidenziali per più di due volte.

L’ondata di violente proteste riuscì infine a provocare, l’11 febbraio del 2011, le dimissioni del “rais” Mubarak. Restava tuttavia ancora irrisolta una questione fondamentale della vita politica dell’Egitto, quella dello strapotere dell’apparato militare. Dotato anche di un notevole peso economico, grazie al controllo di quasi il 40% della struttura produttiva del paese, l’esercito rimaneva il vero garante della stabilità.

L’autore del saggio evidenzia che nei mesi successivi all’estromissione di Mubarak, i media  mondiali sottovalutarono il manifestarsi di un nuovo protagonismo politico da parte dei militari egiziani, esercitato attraverso il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Scaf). Si preoccuparono molto, invece, dell’ampia vittoria elettorale dell’organizzazione politica dei Fratelli Musulmani, conseguita alle presidenziali del giugno 2012, temendo che questi ultimi avrebbe potuto trasformare l’Egitto in un paese islamista.

Il successivo ritorno al potere dei militari egiziani è avvenuto nel luglio del 2013. Si può ritenere il loro colpo di stato, diretto dal feldmaresciallo al-Sisi, come l’epilogo di una strategia sapientemente orchestrata. I militari hanno in un primo tempo, nel periodo successivo alle dimissioni di Mubarak, mostrato di voler favorire l’avvio di un processo democratico,  Hanno in seguito finto di accettare la vittoria elettorale dei Fratelli Musulmani, guidati da Mohamed Morsi. Sono infine intervenuti, sostenendo di voler porre fine alla paventata deriva islamista dello stato e di essere determinati a prendere efficaci misure contro la grave crisi economica che stava continuando ad attanagliare l’Egitto.

Nel maggio del 2014, si è tenuta una nuova elezione presidenziale, ma si è trattato di una farsa. In quell’occasione hanno votato solo il 46% degli aventi diritto ed al- Sisi  ha vinto con una maggioranza “bulgara”, ottenendo il 96% dei voti. Nell’ottobre successivo, verrà emanato un decreto, il quale stabiliva che tutte le strutture pubbliche sarebbero passate sotto la giurisdizione militare.Tale decreto non verrà ratificato da un parlamento, dato che ancora non esisteva. Nei mesi seguenti, infine, verranno arrestate almeno 41 mila persone e si registrerà un considerevole aumento, da parte di tribunali militari, di condanne a morte e di processi irregolari. Sara’ il pieno compimento, rispetto agli avvenimenti del 2011, di una vera e propria controrivoluzione.

E’ all’interno  di tale contesto, caratterizzato  da una feroce repressione, da un clima di impunità ed omertà, nonché da una campagna di caccia alle spie straniere, che si svolge la vicenda di Giulio Regeni. Egli era giunto al Cairo a metà settembre del 2015, per realizzare, per conto dell’Università di Cambridge, ricerche riguardanti le organizzazioni sindacali. Le sue attività incessanti lo avevano portato ben presto a stringere una fitta rete di relazioni e di amicizie che riguardava  leader ed attivisti dei sindacati,  accademici ed italiani residenti nella metropoli.

Il 25 gennaio del 2016, data che coincide con il quinquennale della rivoluzione, è l’ultimo giorno in cui Regeni viene visto in vita. Giulio scompare di sera, senza lasciare tracce. Il 3 febbraio, verrà ritrovato morto, con evidenti segni di tortura sul corpo, in un’area vicina alle Piramidi.

All’inizio del secondo capitolo, l’autore del saggio afferma che tra le finalità prioritarie del suo lavoro c’è lo smontaggio di tutte quelle teorie complottiste, le quali sostengono che la tragica storia di Regeni rientra all’interno di un “disegno misterioso”.  Molte di tali tesi sono state elaborate proprio dal regime di al-Sisi.

D’altro canto, bisogna tenere presente che lo strumento del complotto è stato spesso utilizzato nella storia recente dell’Egitto, per diffondere una  lettura fuorviante degli avvenimenti politici e sociali, favorevole agli interessi di chi deteneva il potere. Teorie complottiste sono state elaborate, in particolar modo, intorno alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. In base ad una di queste, gli Stati Uniti avrebbero fornito sostanziosi aiuti economici alle organizzazioni “prodemocrazia” che progettavano di deporre Mubarak. Un’altra tesi sosteneva, invece, che attivisti egiziani si erano recati in Serbia, nel 2009, per studiare tecniche e strategie di rivolta non violente.

Ciò che le teorie complottiste cercano di nascondere, sono in realtà le vere radici della rivoluzione egiziana, i  motivi per cui i manifestanti  avevano deciso di mettere a rischio la loro vita. Molti dei giovani  che erano scesi in piazza nel 2011, non si erano limitati a chiedere l’adozione di una democrazia rappresentativa o una modernizzazione neoliberista dell’economia.  Essi  esigevano libertà, dignità e giustizia sociale.

Secondo Declich, nel 2011 in Egitto, come in Tunisia, si era realizzata una fusione tra le richieste di una nuova generazione di attivisti e le rivendicazioni dei lavoratori organizzati in maniera più o meno strutturata. Tale fenomeno,  che era l’oggetto delle ricerche di Regeni e che era stato analizzato anche da altri studiosi di livello accademico, non aveva ricevuto la dovuta attenzione dai mezzi di comunicazione mondiali. Questi ultimi dimostrarono allora di essere maggiormente interessati a descrivere l’ascesa dell’islam politico nei paesi nordafricani, che a mostrare la realtà davvero rivoluzionaria delle “primavere arabe”.

Il  radicamento dei sindacati indipendenti, avvenuto negli ultimi anni in Egitto, ha finito col rappresentare  una delle principali minacce alla stabilità del regime di al-Sisi. Per contrastarla, esso  ha adottato una strategia articolata: da un lato ha represso violentemente le lotte dei lavoratori, dall’altro lato ha cercato di cooptare una parte del movimento sindacale.

E’ in occasione di un’assemblea  svoltasi nel dicembre del 2015 al Cairo, allo scopo di riunire le varie sigle del sindacalismo indipendente, che è stato innescato il meccanismo che ha determinato l’omicidio di  Regeni. Giulio, che era presente all’incontro, venne fotografato da una ragazza sospettata di essere legata ai servizi di sicurezza.

Il terzo capitolo del volume esamina i rapporti economici e politici esistenti tra l’Italia e L’Egitto. Vengono in particolar modo considerati i rilevanti interessi dell’Eni nel paese nordafricano. dove è presente fin dal 1954. L’Eni, secondo un suo comunicato del 30 agosto 2015, ha effettuato in Egitto una scoperta di rilevanza mondiale, individuando un enorme giacimento “offshore” (con un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas), denominato Zohr. L’ente italiano, in base a precedenti accordi col regime egiziano, ha iniziato i lavori per la valorizzazione del sopracitato giacimento. Va anche aggiunto che nel marzo del 2015 era stato firmato un “framework agreement” per lo sviluppo di risorse petrolifere, che prevedeva investimenti dell’Eni in Egitto, stimati intorno ai 5 miliardi di dollari.

Un simile volume di affari ha spinto l’Eni a stringere salde relazioni economiche con l’Egitto, sebbene i dirigenti dell’azienda petrolifera italiana non potessero certamente ignorare che nel paese partner venivano quotidianamente calpestati i diritti umani. La scoperta della salma di Regeni non ha fermato le attività dell’ente, che ha continuato a firmare accordi con la giunta che prevedono impegni almeno fino al 2019.

Declich si pone l’interrogativo se l’Eni, prima di decidere di assumersi tali onerosi impegni, abbia valutato attentamente l’affidabilità del proprio partner commerciale. I militari di al-Sisi, infatti, non sembrano aver dato prova, fino ad oggi, di possedere particolari competenze in campo economico, dato che il sistema produttivo egiziano continua ad evidenziare gravi criticità. Il regime, infine, non sta rispettando i suoi impegni, come pagare i debiti, e ciò tende ad allontanare gli altri investitori internazionali.

Oltre all’Eni, sono presenti in Egitto circa 130 aziende italiane. Si tratta di note imprese quali: Edison, Banca Intesa San Paolo, Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, Alpitour e Valtour. L’Italia, in pratica, rappresenta il primo partner commerciale dell’Egitto in Europa ed il terzo a livello mondiale,  dopo Cina e Usa. Va inoltre considerata l’entità della vendita di armi italiane, che raggiunge un valore di quasi 4 milioni di euro.

I rapporti tra Italia ed Egitto non riguardano unicamente le questioni economiche. Un’altra delle cause per cui l’ esecutivo del nostro paese ha scelto di impostare ottime relazioni diplomatiche col regime di al-Sisi, riguarda le politiche migratorie e gli accordi relativi al rimpatrio di migranti. I principali effetti di tali accordi possono essere indicati in arresti, in Egitto, di chi prova a fuggire dal paese,  mentre in Italia si è assistito all’espulsione illegale di egiziani che, secondo le leggi dello stato nordafricano, risulterebbero minorenni. Grazie all’approvazione dell’amministrazione al-Sisi, l’Italia ha continuato a respingere con regolarità cittadini egiziani, senza svolgere le opportune verifiche per stabilire se  essi fossero dei perseguitati politici.

L’impostazione delle relazioni tra l’Italia e l’Egitto è stata  notevolmente determinata dalle nette posizioni assunte dall’ex-premier  del nostro paese, Matteo Renzi, nei confronti del Pinochet egiziano. Renzi, primo leader politico internazionale a recarsi in Egitto dopo la vittoria “bulgara” di al-Sisi alle presidenziali del 2014, ha manifestato  subito il suo pieno appoggio al generale ed ha assegnato all’Egitto un ruolo cruciale per la stabilità della regione. Successivamente Renzi ha invitato al-Sisi a Roma e ha dichiarato la disponibilità italiana ad accettare appalti nel settore della difesa e nelle infrastrutture.

E’ il caso di riportare alcune frasi di Renzi, espresse in una intervista ad “al- Jazeera”, nel luglio del 2015: “ Penso che al-Sisi sia un grande leader [… ]In questo momento l’Egitto si salva solo grazie alla leadership di al-Sisi. Sono orgoglioso della mia amicizia con lui e sosterrò i suoi sforzi in direzione della pace”.

Nel quarto capitolo del libro, l’autore ritorna ad esaminare le teorie complottiste che sono state fatte circolare per nascondere l’evidenza dei fatti. Le menzogne sono ossigeno per una dittatura allo sbando che deve distogliere l’attenzione dai suoi crimini. Secondo Amnesty International Italia, nel 2015 ci sono stati in Egitto 464 casi documentati di sparizione forzata in carceri segrete e 1.676 casi di tortura, 500 dei quali terminati con la morte della persona torturata. Solo nei primi due mesi del 2016, ci sono stati 88  casi di tortura, 8 dei quali con esito mortale.

Il regime ha inizialmente addossato la colpa dell’assassinio di Regeni ai Fratelli Musulmani. Successivamente ha diffuso la notizia di aver eliminato cinque criminali specializzati nel sequestro di stranieri, che avrebbero catturato ed ucciso Regeni, senza chiedere alcun riscatto. Uno dei ritornelli che la dittatura ha maggiormente ripetuto è stato quello della “pista terroristica”. I nemici esterni dell’Egitto hanno orchestrato l’omicidio di Regeni per colpire vigliaccamente uno stato che sta conducendo una strenua lotta contro l’estremismo ed il terrorismo.

Le evidenti falsità diffuse dalla propaganda del regime di al-Sisi, avrebbero dovuto produrre nel nostro paese una decisa reazione. Era lecito pretendere che i media italiani avrebbero dovuto dedicarsi ad una ostinata opera di controinformazione. Con alcune eccezioni, tuttavia, ciò non è avvenuto e molte testate hanno finito con lo sposare la confusa narrazione dei fatti egiziani fornita dai molti fautori della realpolitik.

Nelle prime settimane che seguono la morte di Regeni, anche in Italia, come è accaduto in Egitto, hanno cominciato a circolare disparate ipotesi riguardanti la figura e la tragica fine del nostro giovane dottorando. “Analisti” o “esperti di intelligence” hanno insinuato che Giulio fosse in realtà un collaboratore dei servizi segreti italiani, oppure una spia britannica o, persino, un agente della CIA statunitense . Altri operatori  dell’informazione hanno ritenuto che l’uccisione di Giulio sia stata provocata da un conflitto  tra i servizi segreti egiziani e l’”intelligence”militare egiziana, oppure da agenti fuori controllo. Non mancano nemmeno gli esperti italiani convinti della bontà della “pista” dei Fratelli Musulmani, o coloro che hanno ritenuto probabile che Regeni sia stato assassinato da un “servizio d’ordine” dei sindacati indipendenti, che avrebbe scambiato l’italiano per un informatore degli apparati di sicurezza.

La  macchina del fango nostrana non ha risparmiato nemmeno i docenti universitari stranieri che seguivano le ricerche di Giulio in Egitto. Questi ultimi sono stati accusati di aver sfruttato per l’avanzamento della loro carriera il pericoloso lavoro che Regeni stava svolgendo e di averlo irresponsabilmente mandato allo sbaraglio. Un’accusa questa, che comporterebbe anche il pesante giudizio che Giulio fosse una sorta di sprovveduto, ignaro dei rischi che poteva correre. Declich, al contrario, sostiene che Regeni stava lavorando in maniera rigorosa su un tema non straordinario, riguardante l’economia e lo sviluppo. Va anche ricordato che Giulio, che aveva già soggiornato, in precedenza, in Egitto, stava seguendo un tipico protocollo, riguardante le attività degli accademici presenti nel paese.

In maniera apparentemente paradossale, l’unico al quale sembra che non siano state rivolte accuse è stato proprio al-Sisi. Costui, anziché essere ritenuto il principale responsabile della vicenda ha finito con l’essere considerato come una figura che da essa è stata fortemente danneggiata.

L’ultima sezione del quarto capitolo denuncia l’incapacità del governo Renzi di salvare Giulio Regeni. Dal 25 gennaio al 3 febbraio sono trascorsi nove giorni, durante i quali l’ Italia non è riuscita a ritrovarlo. Secondo l’autore del saggio la nostra ambasciata al Cairo ha privilegiato l’utilizzo di eccessive cautele e di procedure informali che hanno finito col determinare un rallentamento della campagna, intrapresa negli stessi giorni dagli attivisti di Amnesty, per il ritrovamento di Giulio Regeni. Alla base del profilo basso adottato dal governo Renzi, si può probabilmente individuare un errore macroscopico di valutazione, la convinzione che le autorità egiziane fossero realmente disponibili a collaborare con la sede diplomatica italiana del Cairo.

Nelle conclusioni, Declich si sofferma nuovamente su due temi scottanti affrontati nel suo libro: la subalternità mostrata da buona parte dei nostri media  nel  trattare la vicenda Regeni ed il rapporto di connivenza evidenziatosi tra il governo Renzi ed il regime di al-Sisi.

In merito al primo argomento, viene ricordata l’intervista rilasciata da al-Sisi al quotidiano “Repubblica” (pubblicata il 16 e 17 marzo del 2016). In quell’occasione due professionisti dell’informazione , Mario Calabresi (direttore del giornale) e Gianluca De Feo (vicedirettore) hanno consentito ad al-Sisi di esporre la sua falsa versione dei fatti e di produrre una serie di spot promozionali del regime. Al termine della prima parte dell’intervista, la figura di al-Sisi è stata addirittura descritta dai due giornalisti come quella di un generale che ha messo da parte la divisa per indossare i panni del Presidente lungimirante, anzi, di un “padre prima che Presidente”.

Relativamente alle complicità dell’esecutivo Renzi col regime di al-Sisi, queste possono trovare un’ulteriore conferma  in una notizia riferita da “ANSAmed”, il 12 aprile 2016. L’agenzia ha riportato che  le misure del nostro governo per fare pressioni sull’Egitto non sarebbero state di tipo economico, perché avrebbero finito per essere controproducenti e inutili, specie se fossero state attuate solo a livello bilaterale.  Secondo l’amaro commento di Declich, tale notizia è  sembrata voler indicare che l’Italia abbia mandato il seguente messaggio: “continueremo a fare business con l’Egitto e nessuno andrà più a ficcare il naso negli affari sporchi di quel paese”.

Un anno fa, al Cairo, durante una cerimonia di commemorazione, sono stati letti in onore di  Giulio Regeni alcuni  versi del componimento “Murale”, del poeta palestinese Mahmud Darwish:

Ripetono la storia? Qual è l’inizio?

Quale la fine?

I morti non si fermano a dirmi la verità…

Aspettami, morte, lontano dalla terra,

Aspettami nel tuo paese, mentre concludo

Questa fuggevole conversazione con ciò che resta della mia vita.

L’Autore:

Lorenzo Declich è un esperto di mondo islamico contemporaneo. Co-traduttore dall’arabo di saggi e romanzi, ha curato libri e collaborato con diverse testate giornalistiche. Le sue pubblicazioni più recenti sono: “L’islam nudo: le spoglie di una civiltà nel mercato globale” (Jouvence, 2015) e “ Islam in 20 parole” (Laterza, 2016).

L’Egitto, dalla rivoluzione del 25 gennaio del 2011 al delitto Regeni

25 gennaio 2011: inizio della rivoluzione che condurrà all’abbattimento del regime trentennale del ex-generale dell’aviazione Hosni Mubarak

11 febbraio 2011: dimissioni di Mubarak; il potere passa successivamente sotto il controllo del Consiglio supremo delle forze armate (Scaf), composto da 18 militari e presieduto dal feldmaresciallo Mohamed Hosein Tantawi; il parlamento viene sciolto dal Consiglio, che decide anche per la sospensione della costituzione.

24 giugno 2012: Mohamed Morsi, candidato dei Fratelli Musulmani, vince le elezioni presidenziali.

Novembre 2012: Morsi si attribuisce, con decreto, amplissimi  poteri, anche in campo giudiziario.

3 luglio 2013: colpo di stato, perpetrato dal ministro della difesa ed ex-direttore dell’”intelligence” militare, feldmaresciallo  Abd al-Fattah al-Sisi; arresto di Morsi.

Maggio 2014: al-Sisi viene eletto plebiscitariamente presidente della Repubblica, col 96,91% dei voti.

2015: il 25 gennaio viene rapito al Cairo  Giulio Regeni, dottorando italiano che stava svolgendo ricerche sociali per conto dell’Università di Cambridge; emanazione di una legge che obbliga la stampa a non contraddire la versione ufficiale del ministero per quanto riguarda vicende di terrorismo; appena il 22% degli egiziani partecipa alle elezioni di ottobre.

3 febbraio 2016: viene ritrovato il cadavere martoriato di  Regeni.

Febbraio 2017: il generale Khaled Shalabi,  il primo a tentare di liquidare la tortura e l’uccisione di Regeni come un banale incidente stradale, è stato promosso a capo della polizia del Fayyum, capoluogo dell’omonimo governatorato a cento chilometri dal Cairo.

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