Honduras: il ritorno del Golpe Soave..in forma preventiva

Dopo aver inaugurato nel 2009 la stagione del Golpe Soave con la deposizione del legittimo Presidente Manuel Zelaya, reo di essersi avvicinato all’Alba[1], in questo giorni in Honduras si sta scrivendo una nuova pagina di storia relativa a questa, ormai consolidata, strategia destabilizzante.

3dicembre 2017 di Andrea Vento, Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

Il Golpe Soave, Blando o Istituzionale a seconda delle definizioni e delle sfumature di realizzazione viene attuato in forma incruenta attraverso l’azione convergente di alcuni settori della Magistratura, di forze politiche disposte a clamorosi ribaltoni degli esiti elettorali, di settori degli apparati di Sicurezza, con il fondamentale appoggio dei media, soprattutto privati, che ne preparano l’attuazione con potenti campagne diffamatorie tese a creare consenso nell’opinione pubblica interna e internazionale, intorno all’opera di deposizione di Presidenti eletti attraverso regolari passaggi elettorali. Il tutto sotto la regia internazionale dei poteri forti e delle strutture di Intelligence statunitensi.

Dopo il già citato caso di Zelaya, ricordiamo in ordine cronologico, tralasciando le numerose fallite, la deposizione del Presidente paraguayano, l’ex Vescovo Fernando Lugo, nel 2012 e quella più clamorosa di Dilma Roussef in Brasile nell’estate del 2016[2] che oltre a portare il suo ex vice-presidente Temer alla presidenza, a seguito del ribaltone del suo partito (il Pmdb), con un nuovo governo espressione delle oligarchie, ha, soprattutto, mutato gli equilibri geopolitici interni al Sud America e al Mercosur, spostandone decisamente l’asse a destra.

Il copione ormai consolidato del Plan Condor 2.0, come definita tale strategia da diversi analisti, risulta tuttavia sempre oggetto di aggiornamenti e di integrazioni: se fino ad oggi sono risultati vittime di tali strategie Presidenti in carica, in questa occasione in Honduras sembra si sia andati oltre.

Veniamo ai fatti. Domenica 26 novembre si sono svolte le elezioni presidenziali che vedevano contrapposti il Presidente post golpe in carica dal 2013, Juan Orlando Hernández del Partido Nacional, espressione dell’oligarchia, ricandidatosi grazie a una forzatura dell’articolo 239 della costituzione che vieta la rielezione alla massima carica nazionale, contro Salvador Nasralla, candidato dell’Alleanza di opposizione contro la dittatura, la cui significativa denominazione lascia più di un dubbio sulle piene condizioni democratiche dell’assetto politico-istituzionale del paese istmico. I primi risultati elettorali ufficiali, arrivati con sospetto ritardo, già vedevano in vantaggio il candidato dell’opposizione e allorché la vittoria di quest’ultimo era ormai certa, appurati i 5 punti percentuali di vantaggio accumulati dallo spoglio del 57% delle sezioni elettorali,  il Tribunale Supremo Elettorale, controllato dal governo, ha diramato la sconcertante dichiarazione di non poter procedere oltre nella diffusione dei risultati a causa della mancanza di dati, assicurando però di essere in grado di effettuarla «al più tardi giovedì», casualmente dopo la partenza degli Osservatori internazionali. Il presidente del Tse, David Matamoros, ha poi aggiunto che i risultati finali sarebbero stati disponibili solo giovedì, a causa del tempo impiegato dai camion dell’esercito per trasferire nella capitale le casse dei verbali dei seggi provenienti dall’interno del Paese, quelli che non erano stati inviati elettronicamente dai centri di votazione. La ripresa della diffusione dei dati, seguita con trepidazione e sospetto dalle forze di opposizione, ha visto inizialmente un inaspettata rimonta di Hermandez culminata in un clamoroso, seppur risicato, sorpasso. Infatti dal 94,81% delle schede scrutinate Hernandez risultava sorprendentemente in vantaggio col 42,69% dei voti contro il 41,60%. L’incredulo Nasralla non ha quindi riconosciuto l’esito del voto ed ha richiesto ufficialmente di visionare «i 5.174 verbali introdotti nel sistema senza essere stati trasmessi tramite scannerizzazione dai centri di votazione» che, peraltro, erano stati inviati, oltre che al Tse, anche ai partiti e, non casualmente, all’ambasciata degli Stati Uniti in Honduras, a conferma della regia internazionale che coordina le strategie destabilizzanti in America Latina, il tradizionale “cortile di casa” statunitense.

La sconcertante vicenda elettorale ha innescato precise richieste di ripristino della legalità del processo elettorale da parte dell’Alleanza di opposizione contro la dittatura e innescato manifestazioni e proteste di piazza da parte del popolo che vede sempre più concretizzarsi il rischio di un nuovo ribaltamento della volontà democratica uscita dalle urne. La risposta del governo al momento è stata di natura repressiva e violenta  causando, al momento, la morte di 11 persone fra cui un bambino 11 anni, numerosi feriti, oltre a centinaia di arresti. Il governo ha ulteriormente inasprito la repressione dichiarando sabato 2 dicembre lo Stato di Emergenza per 10 giorni, durante il quale non si potrà uscire di notte oltre, oltre a concedere alla polizia e all’esercito il potere di sgomberare strade, ponti ed edifici pubblici occupati dai manifestanti che chiedono il rispetto della volontà popolare.

La situazione in Honduras si presenta delicata e in pericolosa evoluzione vista la spirale di violenze innescate dalla repressione governativa. Il ripristino della legalità istituzionale, a mio avviso, in assenza di pressioni della comunità internazionale, Onu in primis, si prospetta alquanto improbabile accertato l’incondizionato appoggio riservato all’oligarchia honduregna dagli Stati Uniti e l’oscuramento mediatico attuato sulla inquietante vicenda dall’apparato mediatico main stream internazionale. E’ un caso fortuito che la Rai, pseudo servizio pubblico, dopo aver per mesi enfatizzato la crisi venezuelana stravolgendone i connotati e i ruoli, stia ignorando totalmente i brogli elettorali e la violenta repressione in atto in Honduras?

Eppure poteva effettuare un clamoroso scoop sull’evoluzione della strategia del Golpe Soave: dalla deposizione di Presidenti nel pieno delle loro funzioni al ribaltamento degli esiti elettorali. In pratica l’inaugurazione del Golpe Soave preventivo. Ma forse era chiedere troppo ad un servizio pubblico che si dimostra sempre più subalterno agli interessi geopolitici degli Usa, i quali per rivestire davvero il tanto sbandierato ruolo di paladini delle libertà e della democrazia dovrebbero iniziare a rispettare i processi democratici e gli esiti elettorali degli altri paesi, senza intervenire per sovvertirli, né preventivamente né in corso di mandato istituzionale.

[1] , L’Alleanza Bolivariana de los pueblos de nos America

[2] Dilma è stata destituita per corruzione, benché prosciolta in seguito dal Giudice Federale, da un voto del Senato che ha registrato 20 voti contrari e 61 favorevoli, fra questi ben Senatori 49 avevano procedimenti giudiziari in corso.

 

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