Gli ultimi dati sul lavoro di marzo, resi noti il 30 aprile dall’Istat, danno il quadro generale dell’occupazione, dopo l’ingresso del Jobs Act
3maggio 2015 di S.L.
Nel primo trimestre del 2015, l’occupazione italiana continua il suo andamento in flessione, di fatto cresce la disoccupazione e, non conosciamo dati più generali relativi alla qualità del lavoro.
I numeri sono impietosi: dopo il calo subito nel mese di febbraio, a marzo gli occupati diminuiscono ulteriormente dello 0,3% (59mila unità in meno) rispetto al mese precedente.
Il tasso di occupazione, pari al 55,5%, cala nell’ultimo mese ancora di 0,1 punti in percentuale e, se lo raffrontiamo a marzo 2014, l’occupazione è in calo dello 0,3% (70mila unità in meno).
In sostanza, la disoccupazione a marzo 2015 è aumentata tornando al 13%, con circa 140 mila disoccupati in più rispetto a marzo 2014. Mentre la disoccupazione giovanile è al 43,1%, in aumento rispetto a febbraio 2015.
Dopo un mese dall’ingresso del il jobs act si può già prendere atto degli scarsi effetti che queste nuove norme hanno e potranno avere sulla disoccupazione, sul numero degli occupati e sulla qualità del lavoro. Neanche la norma introdotta sulla possibilità dei datori di lavoro che, a partire dal primo gennaio 2015, potranno non pagare i contributi ai nuovi assunti, per i primi tre anni, sembra essersi tradotta in aumento dell’occupazione.
L’effetto della decontribuzione essendo vantaggiosa per le Aziende, probabilmente, ha rappresentato un incentivo a modificare i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Al di là della propaganda del Ministro del lavoro e di Renzi, quanto emerge da questi dati (del tutto prevedibili), è il fatto che gli sgravi fiscali, si sono rivelati un affare per le Aziende ma, non hanno inciso minimamente sul produrre nuovi posti di lavoro.
La tanto decantata “stabilizzazione di un precario” è irrilevante, non solo per il fatto che con l’abolizione dell’art. 18 permane, comunque, la condizione di poter essere licenziato senza giusta causa, ma ai fini del computo dell’occupazione, un occupato resta un occupato e, anche se gli cambi la tipologia di contratto o il numero di ore lavorate, sempre quello è.