Il bacino di Livorno sta, in Sentenza del Giudice per le indagini preliminari. Intervista a Franco Rossi, Uilm

4marzo 2015 di B.G.- Intervista a Franco Rossi, Uilm responsabile territoriale UILM, Rosignano, Livorno, Collesalvetti.

sodanoInutile dirlo, attorno al Gazebo Trw Piazza civica si sta concentrando tutto il malumore, di quanti hanno perso il lavoro e di chi non riesce a trovarlo, è Stefano Sodano ex operaio TRW che ci ricorda una Livorno con 160mila abitanti di cui, 30mila sono iscritti all’agenzia di collocamento, nel mentre, altri raccontano le loro storie e lamentano il dato oggettivo: “Livorno continua a perdere posti di lavoro e quando c’è, è totalmente sotto ricatto”.

trw tendaLa politica risulta assente, se non addirittura asservita agli interessi speculativi e interessata solamente alla autoconservazione di una casta di carrieristi del tutto fallimentare e autoreferenziale, come sta dimostrando l’attuale Parlamento. Significativo che, col venire meno la credibilità sociale su questa politica dominante, ci si affida ai residui spazi di legalità ancora resistenti.

Uil franco rossiLa recente notizia del direttore Irpet, sul fatto che anche in Toscana l’economia sembra dare segnali di ripresa e che, la crescita dello 0,1%, porterebbe la Toscana al secondo posto per tenuta delle regioni italiane, apre necessariamente il dibattito. Abbiamo chiesto, in materia, come la vede Franco Rossi , responsabile territoriale UILM di Rosignano, Livorno, Collesalvetti, incontrato proprio al presidio “Gazebo exTrw”:

“Non ho gli strumenti per valutare le dichiarazioni riportate, ma certamente non è l’area Livorno –Collesalvetti a concorrere in questo “miglioramento”.

Cioè?

Lo dico per il semplice motivo che questo territorio ha avuto, nel corso del 2014, un incremento significativo di iscritti nelle liste di disoccupazione ed un altrettanto numero significativo è quello dei lavoratori posti in mobilità che, con il passare dei mesi, si troveranno completamente senza sostegno economico a causa dello scadere degli ammortizzatori sociali concessi dall’INPS (penso ai lavoratori della Baroncini, della MTM, della Toscana Impianti, a quelli della Delphi e della TRW per esempio)

Ma non credi che, tuttavia, possa significare un segnale in controtendenza, dopo anni drammatici per l’economia, che non dovremmo sottovalutare:

Di fronte a quello che è e che è destinato ad aggravarsi, un disastro economico sociale i cui effetti negativi sono difficilmente prevedibili, non mi sembra che gli strumenti messi in campo dimostrino, da parte delle forze economiche e sociali, ma anche delle stesse istituzioni, la consapevolezza del dramma che intere famiglie vivono. Se da un lato si assiste ad una interminabile discussione sull’accordo di programma, dall’altro non si vede nessuna soluzione a breve termine: i benefici del potenziamento del porto e di quanto questo significa per l’economia livornese è infatti lontano dal poter dare le risposte occupazionali necessarie per poter riportare Livorno a livelli apprezzabili. Il Governatore Rossi ha stimato che siano necessari 20.000 posti di lavoro e quelli attesi dall’accordo di programma sono estremamente inferiori e soprattutto saranno visibili tra cinque/dieci anni…… ed in attesa???

E allora, quali proposte spendibili per affrontare l’emergenza?

In questo scenario desolante si inserisce la questione dei riparatori navali che, potrebbero dare una risposta significativa in tempi rapidi alla domanda di lavoro, ma che non trovano una quadra o, comunque, una parziale quanto inutile disponibilità dell’Autorità Portuale, evidentemente tesa a difendere altre scelte, senza ricercare un tavolo capace di verificare le reali compatibilità del sistema.

Mi stai parlando di una rivendicazione che ormai sembra assumere caratteri storici, piuttosto che delineare una opportunità per il futuro, inoltre la vertenza giudiziaria promossa dai riparatori si è conclusa in giudizio, dove il GIP non ha ritenuto che vi fossero prove sufficienti per evitarne l’archiviazione:

No, non direi, anche se la complessa situazione giudiziaria promossa dai riparatori, si trascina da anni e la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno di seguito riportata), evidenzia una situazione compromissoria che non fa onore nel complesso, soprattutto a chi aveva ed ha il dovere di salvaguardare gli interessi della città. Non entro nei termini legali: a tale scopo i riparatori hanno già presentato un ricorso in Cassazione ma al di là della prescrizione dei termini o di altri aspetti legali, il fatto che si parli (nella sentenza) di “combutta” e di “disegno delittuoso”ed altro, dovrebbe far rabbrividire le persone di buon senso e vergognare gli autori di tutto quanto è descritto.

La risposta occupazionale deve essere ricercata attraverso mille rivoli: non esistono risoluzioni univoche, solo attraverso la ricerca di più soggetti, ognuno per le proprie competenze, rinunciando a volontà di monopolio e favorendo un pluralismo economico, si può tentare di dare una risposta interessante. La vicenda dei riparatori (si parla di un potenziale prudenziale di trecento posti) rischia di diventare una delle tante occasioni mancate: Livorno ha un bacino per le grandi navi, ha (per ora) le professioni, ha gli investitori  (20 milioni) come possiamo essere così sordi? I ventinovemila disoccupati ed i tremila in mobilità (solo Livorno- Collesalvetti) meritano più rispetto.

Pubblichiamo di seguito, per completezza di informazione, tutta la Sentenza:

Documento: Tribunale di Livorno

REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI LIVORNO

Ufficio del giudice per le indagini preliminari
Il giudice per le indagini preliminari di Livorno, ——— sciogliendo la riserva,
OSSERVA IN RITO
Il decreto di rimessione in termini” non è abnorme.
Ed, infatti, secondo le indicazioni di Cass. u.21806/2014, un provvedimento giudiziale è da considerarsi abnorme in due casi:
1) se, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dal sistema processuale;
2) se, pur astrattamente riconducibile ad un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste.
Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, l’abnormità può essere strutturale o funzionale, a seconda che l’atto si ponga fuori dal sistema o determini la stasi del procedimento e l’impossibilità di proseguirlo.
Ebbene, nel caso di specie è stato adottato un decreto di rimessione in termini a seguito della doglianza, apparsa fondata, della mancata ricezione dell’avviso ex art.408 cpp. È stato, dunque, adottato un provvedimento previsto dal sistema processuale penale (quindi, strutturale al sistema), riconducibile alla esigenza di assicurare l’effettività del contradditorio.
A tale proposito, giova considerare che la riforma dell’art. 175 cpp è stata ispirata al fine di assicurare la conoscenza effettiva, così intendendo superare il dogma della conoscenza legale; ed anche la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l’effettiva conoscenza dell’atto deve essere intesa come sicura consapevolezza della sua esistenza e precisa cognizione dei suoi estremi, collegata ad una presa di notizia certa che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si è verificata (Cass. 25041/2005).
Né la remissione in termini ha determinato la stasi del procedimento o l’impossibilità di proseguirlo, avendo la restituzione nel termine portato ad ulteriori sviluppi procedimentali: previa implicita revoca del provvedimento di archiviazione, del gip si trova, invero, nelle condizioni di potere adottare uno qualunque dei provvedimenti conseguenti all’opposizione.
Non è, quindi, vero che il giudice che ha restituito nel termine si troverebbe in un vicolo cieco, perché non potrebbe ordinare nuove indagini, previa revoca del decreto di archiviazione.
Del resto, non è neppure pacifico in giurisprudenza che il decreto di archiviazione non possa essere revocato, esistendo pronunce che ammettono tale possibilità, argomentando principalmente dal potere di riapertura delle indagini ex art. 414 cpp (Cass. 45161/2010). Inoltre, l’orientamento che ritiene il potere di revoca geneticamente abnorme, richiamandosi ad una sorta di consunzione del potere di esercizio dell’azione penale e ad una supposta stabilità del provvedimento dì archiviazione, non appare coerente con i principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso.

Neppure il provvedimento di fissazione dell’udienza a seguito della opposizione è abnorme, in quanto conseguente alla remissione in termini.
NEL MERITO
In data 2.12.2003 l’amministrazione controllata della cooperativa Cantiere Navale Fratelli Orlando cedeva alla Azimut-Benetti i beni mobili ed immobili della amministrata al prezzo di euro 50.600.000.  Sostengono i riparatori navali di Livorno che la vendita sarebbe stata stipulata per un valore inferiore a quello reale, stimato in 60 milioni di euro (per la parte immobiliare) ed in 13 milioni di euro (per la parte mobiliare); inoltre, la società cooperativa avrebbe versato in condizioni di decozione tale (200 milioni di debiti) da imporre direttamente una dichiarazione di fallimento; la vendita, effettuata a trattativa privata, avrebbe dovuto, infine, fare seguito ad una gara ed avrebbe dovuto ricomprendere l’avviamento , calcolato in 6 milioni di euro.
Tutto ciò condurrebbe ad interrogarsi sul comportamento dell’amministratore e del commissario giudiziale.
I quali avrebbero agito in combutta con l’autorità portuale, che ha concesso la licenza di subingresso in data 22.10.2003, vale a dire prima del contratto di vendita (2.12.2003) e prima della autorizzazione giudiziale alla vendita.
L’autorità portuale, poi, avrebbe omesso dolosamente ogni doverosa vigilanza, lasciando che fosse portata a compimento la dismissione dei bacini di carenaggio e delle banchine, in vista del mutamento della destinazione d’uso delle aree.
Nel programma delittuoso avrebbe concorso l’amministrazione comunale: prima deliberando l’edificabilità delle aree; poi, entrando a fare parte dell’acquirente STU Porta a Mare con la partecipazione dell’1% (l’acquirente STU è rimasta, per il resto, costituita dalla stessa Azimut-Benetti).
Il disegno avrebbe raggiunto il suo coronamento nel momento della vendita finale alla società Porta Medicea (in mano a cooperative rosse), con conseguente realizzazione di insediamenti edilizi di rilevante valore commerciale (200 milioni di euro).
Ora, a seguito di laboriose indagini, il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione “in quanto appare difficile ipotizzare l’esistenza di un preordinato piano speculativo illecito, che avrebbe dispiegato i suoi effetti in un arco di tempo ultradecennale e nel cui ambito i vari soggetti pubblici e privati, persone fisiche e giuridiche, pubblici ufficiali e privati cittadini, tutti presunti concorrenti, si sarebbero dovuti tramandare, almeno per alcuni passaggi, una sorta di eredità criminale comprendente un pactum sceleris già preconfezionato, cui tutti avrebbero dovuto aderire…”.
Avverso tale richiesta è stata proposta opposizione, essenzialmente basata sul seguente assunto: “…tutti i soggetti interessati, tutti legati da rapporti economico-politici, hanno pilotato la distruzione dei cantieri e la valorizzazione del complesso immobiliare che, se fosse rimasto quello del 1992, sarebbe stato non solo limitato ma estremamente poco appetibile sotto il profilo economico-immobiliare ……il movente è chiaro: dare un sito immobiliare alle cooperative rosse comprato a poco per la presenza del bacino di carenaggio delle navi e poi assunto ad un valore molto più elevato proprio in ragione del fatto che il bacino si è seccato nel frattempo …”. Secondo gli opponenti, cioè, ci sarebbe stato un progetto criminoso che, previ favoritismi dell’amministratore e del commissario giudiziale del Cantiere Navale Fratelli Orlando; grazie ai mancati controlli dell’autorità portuale; attraverso la compiacenza dell’amministrazione comunale, avrebbe condotto allo smantellamento dei cantieri, al mutamento della destinazione urbanistica delle aree, alla lucrosa rivendita di tali aree alle cooperative rosse.
Le conclusioni degli opponenti si basano sostanzialmente sul giudizio del consulente del pubblico ministero, secondo cui:
a) il degrado non sarebbe dipeso da sottovalutazione dei problemi, ma sarebbe stato perseguito nella prospettiva di un cambiamento radicale della destinazione d’uso delle aree;
b) l’autorità portuale avrebbe dovuto non soltanto indirizzare le attività manutentive del concessionario ma, una volta verificata la mancata conservazione del bene demaniale, avrebbe dovuto intervenire direttamente con l’esecuzione dei lavori necessari.
In sintesi, la concessionaria avrebbe realizzato una colossale operazione commerciale fraudolenta, prima acquistando a prezzo vantaggioso immobili e mobili già appartenuti alla Fratelli Orlando; poi, lucidamente dismettendo i bacini di carenaggio e le banchine, al fine di fare spazio a lucrosi insediamenti abitativi e commerciali; infine, realizzando cospicui lucri economici attraverso la vendita alle cooperative rosse di detti insediamenti.
Il tutto con il concorso sia degli organi della procedura, che avrebbero concorso vendendo a prezzo di favore; sia degli amministratori comunali, che avrebbero concorso deliberando la edificabilità di alcune aree già destinate a cantiere; sia delle autorità portuali, che avrebbero concorso, omettendo di controllare che fossero effettuati i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ed omettendo i necessari interventi sostitutivi.
Il programma criminoso, coinvolgente una pluralità di soggetti pubblici (organi della procedura di amministrazione controllata; amministratori comunali; autorità portuali) si sarebbe sviluppata nell’arco di un quindicennio (come affermato dal presidente della camera di commercio, (…dalla sua genesi all’avvio del progetto Porta a Mare sono trascorsi almeno quindici anni…).
Ebbene. le complesse indagini svolte non hanno consentito di acquisire la prova della riconducibilità delle molteplici condotte a soggetti collegati da cointeressenze e da disegni e finalità comuni; inoltre, manca del tutto la prova dell’elemento psicologico qualificante ed unificante di tali condotte, essendo gli ipotizzabili reati di associazione per delinquere e di abuso d’ufficio perseguibili soltanto a titolo di dolo.
In particolare, non soltanto non è emerso il collegamento psicologico e finalistico tra tutti i protagonisti della vicenda, ma non è in alcun modo risultato che il vantaggio infine conseguito da Azimut-Benetti sia stato procurato intenzionalmente dagli amministratori comunali o dagli organi della procedura di amministrazione controllata; né è risultato che l’autorità portuale abbia omesso dolosamente di vigilare sulla manutenzione ordinaria e straordinaria del cantiere da parte della concessionaria o che, altrettanto dolosamente, abbia omesso di procedere ad interventi sostitutivi.
Rimane da considerare il danneggiamento dei beni demaniali marittimi.
Ora, anche ammettendo che la mancata manutenzione ordinaria e straordinaria sia dipesa dalla prospettiva di un cambiamento della destinazione d’uso, e non da problemi legati alla anti economicità degli interventi necessari o da mera negligenza o da difettoso coordinamento con l’azione della autorità portuale; ed anche ipotizzando la consumazione del delitto doloso di danneggiamento aggravato attraverso l’adozione volontaria di comportamenti negligenti, si tratterebbe di condotte ormai prescritte, tenuto conto della risalenza nel tempo della interruzione delle ultime attività manutentive (trattandosi in ipotesi di reato permanente mediante omissione, il momento consumativo sarebbe individuabile nel momento della definitiva cessazione degli interventi manutentivi).

In conclusione, le condotte astrattamente incriminabili si sono rivelate prive di elementi unificanti, sia dal punto di vista dei collegamenti personali che dal punto di vista progettuale, in quanto sviluppatesi nel corso di un decennio e variamente riferibili a soggetti succedutisi nel frattempo; inoltre, difetta l’elemento psicologico del dolo, costituito dalla consapevolezza di concorrere con condotte consapevoli e volontarie all’arricchimento della concessionaria.
Risulta, allora, evidente che eventuali imputazioni non supererebbero il vaglio del dibattimento (e, prima ancora, dell’udienza preliminare), ma sarebbero destinate a fallimento certo.
Né le ulteriori indagini proposte (audizione di giornalisti che si sono occupati professionalmente della vicenda; audizione degli opponenti; audizione dell’attuale presidente dell’autorità portuale di Livorno) condurrebbero alla acquisizione di elementi di novità, idonei a supportare l’accusa in giudizio.

Non rimane, allora, che decretare l’archiviazione del procedimento per insostenibilità dell’accusa in giudizio (e per mancata indicazione da parte degli opponenti di proficui filoni di indagine ulteriore).
Per completezza, è appena il caso di osservare che un decreto di archiviazione può essere sufficientemente motivato con rinvio per relationem alle motivazioni della richiesta relativa, specie quando non sia stata proposta opposizione, essendo la valutazione del gip finalizzata ad un controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale e non ad un accertamento su] merito dell’imputazione, come affermato dalla Consulta con ordinanza n, 54 del 5.3.2003 (si intende riferirsi al decreto di archiviazione del 16.9.2013, emesso quando ancora non era stata proposta opposizione)
PQM
Il giudice, visti gli artt. 408 ss cpp, rigetta l’opposizione, ordina l’archiviazione del procedimento e dispone restituirsi gli atti al pm.
Livorno, 26.1.2015

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