Sabato 28 e domenica 29 Marzo alle 21:15 si sono tenute al Teatro del Grattacielo grazie alla compagnia del Piccolo Teatro Città di Livorno due messe in scena de “L’Amante“ di Harold Pinter, il quale non necessita di presentazioni seppure da tempo scomparso, essendo stato uno dei piu’ noti esponenti del cosiddetto Teatro dell’Assurdo.
30 Marzo 2015 di Enrico Bulleri
“L’Amante” di Pinter in questa recentissima rappresentazione si avvale dei due due giovani e unici protagonisti Silvia Michelucci e Matteo Seghetti quali Sarah e Richard, e di una appropriata scelta di brani musicali famosi e pop, a chiudere e ad aprire i diversi intermezzi dell’unico atto della commedia.
All’epoca (1962) della sua prima apparizione, “L’Amante” poteva sembrare per Pinter una digressione, rispetto alla consueta critica politica dei rapporti di classe e di famiglia della societa’ inglese, concentrandosi invece sull’analisi delle dinamiche di una coppia sposata “da dieci anni” e sulla loro routinaria, grottesca quotidianita’, andando così come le altre due commedie pinteriane “Vecchi tempi” e “Tradimenti”, a comporre una trilogia sul tema.
Come nell’originale, nella rappresentazione messa in scena fino a ieri sera dalla compagnia del Piccolo Teatro Città di Livorno, è messa in pieno risalto la giocosità’ della piece e dei rapporti di stuzzicamento erotico e amoroso della coppia protagonista. La quale gioca volta volta nell’arco delle stesse ripetitive giornate il ruolo di marito e moglie e dei rispettivi amanti, pur nel loro gioco ammorbidita un poco la nota emotiva e ansiogena della mancanza di comunicazione vera tra i due, che era un tema principe a partire proprio dagli anni sessanta, e sul quale era anche molto incentrata la commedia nella prima rappresentazione messa in scena da Pinter stesso.
La scenografia è volutamente essenziale e con pochi elementi come una sorta di divanetto e un mobile mini bar con dei liquori e alcuni bicchieri, più’ un “bongo”. Pochi elementi dettati per lo più’ da giochi di luci colorate, ombre proiettate dei protagonisti, oscurità’ ben dosate, ed idealmente ambientata nel salotto di un appartamento, rispetto alla villetta originaria ideata dall’autore inglese. I protagonisti si mettono a nudo nelle loro menzognere convenzioni borghesi e nelle proprie velleitaristiche trasgressioni; seppur meno messi a nudo come corpi che in talune altre rappresentazioni precedenti più’ impegnative dal punto di vista delle concessioni alla nudita’ e all’erotismo, pur sempre declinato in termini di ritualistici giochi d’amore.
Gioco che è una recita nella recita, e il quale non può’ esimersi ad un certo punto di far indossare due maschere vere ai protagonisti, oltre a quelle che indossano almeno pomeriggi alla settimana nei rispettivi giochi di ruolo. Sarah passando i pomeriggi- almeno tre a settimana- da anni con un amante che è Richard, mentre Richard stesso è o dovrebbe essere, al lavoro in ufficio o trattenuto fino alle sei del pomeriggio in sfibranti, stressanti riunioni, nella City londinese. Salvo poi intrattenersi prima del rientro a casa delle sei con la sua prostituta abituale, ovvero sempre Sarah.
Ottimizzando e perpetuando così il desiderio, la ricerca dell’altro e al contempo cercando di anestetizzare la paura di perdersi. La commedia di Pinter è di per se’ volutamente soggetta ad alti e bassi così come lo sono le quotidianita’ di un matrimonio ma anche di una qualunque relazione.
Nelle sue incomprensioni insite in ogni rapporto interpersonale, stress lavorativi, equivoci, contrasti, litigiosità’, che i due giovani protagonisti Michelucci e Seghetti tengono bene in scena riuscendo a mantenere un buon ritmo. Nella rappresentazione della dura realta’ di coppia risiede sempre la grande attualità’ di questa commedia, risultando a cinquant’anni di distanza sempre incisiva e quasi profetica, nella sapienza del mettere a nudo i continui compromessi e le inevitabili piccole grande bugie sulle quali far sopravvivere lo sfibrante, e sempre più’ precario equilibrio, delle coppie moderne.
Dei due protagonisti ho già parlato, ma non posso non citare l’approccio inevitabilmente attento alle psicologie dei personaggi, seppur sotto un’apparenza leggera, del regista Maurizio Paolo Formichi Gori il quale è medico psichiatra, e che incentra la sua attenzione unicamente sui due protagonisti – seppur sbilanciandosi maggiormente a favore del personaggio femminile, ma questa è l’attenzione dei tempi e dell’adesione corrente ai nuovi modelli un po’ misandrici della coppia e dei rapporti uomo-donna- piuttosto che su qualunque altro elemento scenico.
Il risultato di questa variazione è molto stimolante e accattivante, anche come studio sulla diluizione odierna delle identità’ e la dispersione dei valori tradizionali di un tempo non troppo lontano, sacrificati a falsi valori di emancipazione e autosufficienza, che hanno con crudeltà’ massacrato l’affetto e il supporto emotivo di un vero e di valore, rapporto di coppia.
Trovando grazie a questa prospettiva anche lo spunto per una amplificazione del senso di realta’ alienata e soltanto apparente che è la vera cifra stilistica della scrittura pinteriana, la quale si è sempre preoccupata del crescente materialismo della nostra società, come della commercializzazione dei sentimenti dettata dalla dittatura del denaro.