L’autogestione come sfida collettiva del nostro tempo: “I ragazzi fanno autogestione per avere una vicenda da inserire nella loro storia emotiva di vita, per potersela narrare e poterla raccontare all’esterno, nel presente e nel futuro”.

2 luglio 2014

Durante l’età evolutiva il bisogno di essere visibile è prioritario, in quanto, non avendo ancora un’identità strutturata, la conferma del valore dell’esistenza dell’adolescente arriva dallo sguardo dell’altro per lui significativo.

1Colpire l’attenzione deriva da un duplice ed antinomico bisogno: quello del consenso e quello del dissenso. Il consenso è necessario per crescere attraverso un processo di indifferenziazione nei confronti dei modelli significativi attraenti, ma serve, al contempo, anche il dissenso per distruggere alcuni aspetti del sè che sono stati costruiti per avere approvazione ma che non ci appartengono oppure non ci appartengono più e che, per essere distrutti, implicano la necessità di differenziarsi da quei modelli. Per esempio un giovane apprezzato dai genitori perché bravo a scuola potrebbe non aver più bisogno di essere percepito così e, per modificare la prospettiva in cui viene visto, può non operare lentamente ma adottare una modalità dirimente e quindi mandare un segnale scandalizzando, in modo costruttivo, se viene recepito nel mondo giusto. In questo modo il soggetto si sente visibile e lo scandalo diviene un elemento di rottura che, se temporanea, può servire per ripartire in modo più proficuo nella relazione.

La sfida va raccolta scandalizzandosi ma, allo stesso tempo, valorizzando il coraggio dello sfidante, anche se l’elemento più importante è la capacità di dimostrare che ci siamo accorti della sua presenza e che siamo pronti allo scontro che deve naturalmente preludere, grazie alla forza dell’adultità, ad un incontro ancora più significativo e nutriente in grado di rafforzare la relazione.

1eQuando poi si parla di adolescenza si entra in un campo minato perche non rendersi conto di una sfida lanciata può portare ad una depressione collettiva o individuale di svalutazione del soggetto che, tramite l’azione di sfida, pensava di aver assunto la dimensione eroica che l’adolescenza stessa richiede, mentre l’innalzamento del livello della sfida può colpire l’adulto con una trasgressione deviante e rischiosa della quale, come educatori, siamo responsabili dal momento che  bastava accettare la sfida quando il livello dell’azione era ancora sostenibile.

Uno degli esempi di sfida collettiva contemporanea che gli adolescenti ci lanciano in ambito scolastico è sicuramente l’autogestione che annualmente vede bloccate le normali attività didattiche per una settimana durante il mese di Ottobre.

E’ del tutto evidente che l’autogestione sia un rito comodo, in quanto mantiene elementi temporali e simbolici di ciclicità, quali il mese della scelta, la durata settimanale, la tipologia dei corsi autogestiti, che spaziano dalla attualità politica alla musica, ad altri con  modalità cialtronesche di autovalutazione  egoica, come ad esempio corsi con riferimenti erotici e grotteschi,  per compiacersi attraverso una forma di divertimento insensato.

La comodità invece deriva dalla scelta del periodo dell’anno scolastico nel quale svolgere la protesta o la campagna di sensibilizzazione nei confronti dei coetanei, un momento in cui è improbabile compromettere il risultato scolastico.

1bL’autogestione è, quindi, un rito comodo perché viene portata avanti senza scontro con la dirigenza scolastica, fissando dei paletti mobili rispetto a ciò che non potrebbe essere normalizzato. Da un punto di vista puramente logico è come se dei rapinatori decidessero, insieme al direttore della banca, il periodo migliore per agire e la somma sostenibile da rapinare. Ovviamente sappiamo che il mondo adolescenziale non può essere semplicemente represso o disprezzato ma deve trovare un senso, mentre la sopportazione è forse peggiore dell’indifferenza e dello scontro perché sancisce invisibilità con, in più, un leggero fastidio. D’altra parte è impensabile che i nostri adolescenti possano non essere afflitti dal male contemporaneo del qualunquismo e del perbenismo, intrisi da una sorta di trasgressione sostenibile che noi adulti concediamo perché il modello sociale ce lo consente e non perché abbiamo una reale forza di contrapposizione al modello di riferimento.

Questa è una delle derivazioni del periodo sessantottino che ci ha lasciato patrimoni straordinari ma anche un’eredità pesantissima in quanto il “voglio tutto” include anche il volere la comodità del falso rispetto formale nel volto dell’altro che mi deve riconoscere anche se in modo ipocrita.

1dI ragazzi fanno autogestione per avere una vicenda da inserire nella loro storia emotiva di vita, per potersela narrare e poterla raccontare all’esterno, nel presente e nel futuro. La reazione dei media ed adulta di sopportazione toglie valore alla narrazione; nessuno scrittore vorrebbe che un proprio romanzo fosse sopportato e considerato banale dai lettori. Si scrive e si narra per provocare adesioni od opposizioni, per essere vivi, per sconvolgere, per farci capire ma il mondo adulto sembra non essere in grado di venire colpito né in positivo né in negativo, per cui questo urlo rimane strozzato e ricacciato dentro e, dopo una settimana, tutto torna come prima e dimenticato.

Narrare e non lasciare traccia è una delle esperienze più deludenti della vita perché non ti consente neppure di provare rabbia per essere stato represso. Io, come docente, non ho la pretesa di diventare modello, ma credo che sia utile narrare il mio modo di reagire che è, ovviamente, contraddittorio ed ambiguo perché non si può reagire con coerenza significativa a ciò che è nebuloso e contraddittorio.

1cPer questo ho deciso di scontrarmi e di accettare la sfida opponendomi; ad esempio, durante l’ultima autogestione svoltasi a ottobre 2012 nel Liceo dove insegno da anni, ho reagito all’assenza di una parte della mia classe in modo teatrale, inizialmente repressivo e provocatorio. Dopo aver contestato a priori l’ipotesi dello svolgersi dell’autogestione ho tenuto le mie lezioni con gli alunni presenti mentre evitavo il saluto agli altri con la giustificazione dell’insostenibilità di entrare a scuola e vedere i propri allievi che non ti contestano ma svolgono attività didattiche autonome escludendo la componente docente. Al rientro ho simbolicamente fatto venire verso la cattedra la parte della classe che non aveva partecipato, lasciando in fondo gli altri in una modalità palesemente inaccettabile dal punto di vista pedagogico; agli alunni ed alunne che hanno partecipato all’autogestione, ho fornito delle riviste di gossip chiedendo loro di fare una relazione, vista la vacuità delle lezioni a cui avevano scelto di partecipare durante l’autogestione. Ovviamente questo ha suscitato una reazione ed uno scontro che ci ha consentito di parlare e di raccontare le nostre emozioni; in questo modo io, come docente, ho narrato la mia delusione, la mancanza che ho provato nel non avere una relazione didattica per un periodo con degli alunni che amo e stimo, il non riuscire a leggere una realtà che non comprendo, il sentirmi umiliato. Gli alunni, per tutta risposta, hanno parlato dell’impossibilita di non essere partecipi ad un evento collettivo, giustificandosi col riferimento alla loro curiosità, alla loro voglia di dare un senso personale all’esperienza.

1La mia reazione non deve essere presa come un paradigma ma come storia a sè, che a mio avviso, è comunque stato un comportamento che ha lasciato il segno dando valore ad un gesto, seppur in negativo, che ha consentito di riavviare la relazione comunicativa in modo costruttivo e forse anche rafforzato. Credo, infatti, che sia insostenibile un modello adulto che non lascia il segno, che non reagisce, che non accetta la sfida o che pure reagisce con la mistificante amicalità di un “Ti comprendo” perché anche io l’ho fatto quando valeva ma il tuo gesto vale meno, oppure con la predica alla quale i ragazzi reagiscono con frasi stereotipate che, di fatto, sminuiscono e rendono inenarrabile un’esperienza.

Lamberto Giannini – docente di storia e filosofia , pedagogista esperto della relazione genitori-figli,

Autore dei volumi:

1Genitori in ascolto – Erasmo editore 2012

1aMettiti il giacchetto, adolescenza età di incomprensioni e fili spezzati – Erasmo editore 2012

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