Lavoratori del gas: buoni per trivelle, ma non per le privatizzazioni?

di Mario Agostinelli e Bruno Ravasio

MAgostinelliNondimeno, ci sono gruppi di lavoratori e di lavoratrici sui quali i vari governi che si sono succeduti in questi ultimi anni sembrano essersi accaniti in modo particolare.

fornero

La Legge Fornero, ad esempio, ha prodotto per tutti un aumento dell’età pensionabile in una misura che non ha uguali in Europa.  Ma decine di migliaia di donne – soprattutto – che si erano licenziate sulla base del minimo contributivo allora richiesto, hanno scoperto che la loro pensione si sarebbe spostata di cinque, sette, e persino dodici anni, con una perdita di reddito atteso calcolabile dai 50.000 ai 100.000 euro e oltre. Un prelievo forzoso, spesso ai danni di famiglie al limite del minimo vitale, di cui nessuno parla e prova vergogna.

Un altro esempio di particolare accanimento riguarda i lavoratori del settore della distribuzione del gas. Lavoratori, quelli del gas e del petrolio, che balzano al centro dell’attenzione ammirata dei loro datori di lavoro quando si tratta di tenere in vita impianti compromessi sul piano ambientale -come nel caso delle trivelle in mare- ma che non contano niente nemmeno per il Governo e sono lasciati alla deriva senza protezione quando sono vittime della smania di privatizzazione che affascina quasi senza eccezione l’intero arco politico.

Comincia nel 2000 un giovane Enrico Letta, ministro dell’Industria del governo D’Alema con l’emanazione di un decreto che liberalizza il settore. Cioè, le aziende municipalizzate potranno, anzi, dovranno essere vendute ai privati.  Pensiamo che anche il gas per uso domestico in questa fase di transizione sarebbe da considerare quasi un bene comune, da proteggere anche attraverso una politica tariffaria, interventi di risparmio e la sua progressiva sostituzione con sistemi rinnovabili da gestire sul territorio, ma …pazienza!

La liberalizzazione è solo una semplificazione economica, un vantaggio per le lobby economiche ormai desuete, ma ancora potenti, che combattono contro i piani energetici locali e i sistemi di produzione di energia e calore decentrati. E’ ovvio allora che la privatizzazione di fatto abbia creato contrasti e subisca un iter faticoso: ci ha pensato comunque il governo Renzi ad accelerarla con una raffica di decreti. Dunque, se per ora siamo in presenza di casi limitati, in prospettiva i quasi cinquantamila lavoratori del settore potrebbero essere coinvolti nella stessa situazione kafkiana in cui si trovano 42 addetti a Prato e i 34 della municipalizzata di Como. Perché kafkiana? Perché come in un incubo, nel 2010 un decreto del Ministro Tremonti ha stabilito che i lavoratori che passano dalla previdenza pubblica (ex-municipalizzate) a quella privata (vincitori di gara d’appalto) devono pagare la ricongiunzione onerosa della loro pensione.

Inoltre, un successivo decreto del 2011 (sulla cosiddetta clausola sociale), sempre con il Governo Berlusconi, ha stabilito l’obbligo per le aziende subentranti di garantire solo le condizioni economiche in godimento, ma non i diritti. Il Jobs Act di Renzi completa l’opera.

lavoro  municipalizzata Acsm-Agam ComoE così i lavoratori dell’azienda municipalizzata Acsm-Agam di Como passeranno al gruppo nazionale “2i Rete Gas”, vincitore della gara privata di assegnazione del servizio, trattati come neo-assunti, dopo anche 35 o 40 anni di anzianità e senza più l’articolo 18. Se volessero andare in pensione di anzianità senza una forte penalizzazione (per intenderci, con una riduzione quasi pari al cinquanta per cento) oppure – peggio ancora – fossero licenziati, dovrebbero pagare la ricongiunzione onerosa della loro pensione  con cifre da capogiro (abbiamo calcolato che nei casi di anzianità più alta dovrebbero sborsare anche 100.000 Euro, più della loro liquidazione!). Sarebbero altrimenti costretti, nel primo caso, a continuare a lavorare, nel secondo caso, a rimanere senza alcun reddito, per tutti gli anni che mancano alla pensione di vecchiaia.

Una soluzione ci sarebbe e i lavoratori l’hanno segnalata ai deputati del Parlamento: Il cosiddetto “Decreto Madia” sui Servizi Pubblici Locali (il cui testo è in corso di definizione) prevede una “clausola sociale” nei confronti del personale dipendente delle aziende dell’igiene ambientale, dei servizi idrici, del TPL.  Perché non estendere le tutele anche per i lavoratori del settore del gas che saranno “ceduti” alle aziende private?

Già, perché? Ma le risposte non ci sono o sono reticenti. E’ una questione complessa, fa sapere la segreteria di Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera. E’ una questione complessa, dicono anche alcuni dirigenti sindacali nazionali.  Intanto i fatti (e i diritti) inesorabilmente precipitano. Qualcuno nel Governo, fra i deputati della maggioranza, fra quelli delle minoranze, fra i sindacalisti nazionali del settore può battere un colpo? Anche perché i delegati particolarmente esposti nel sostegno alla discriminazione in corso si sentono isolati e finiscono tra i trasferiti sotto il giogo del Jobs Act, senza più alcuna protezione. Pessimi tempi se tornano di moda le punizioni e le intimidazioni.

L’esito negativo del referendum del 17 Aprile è stato rivendicato da Renzi come “una vittoria di lavoratori delle piattaforme”, dopo che erano stati diffusi numeri infondati sulla perdita di posti di lavoro nell’esecrabile estrazione del gas dal mare. I “sepolcri imbiancati” che si scandalizzano per le “vittime” riallocabili di una riconversione possibile e ambientalmente auspicabile, non soffrono invece per quelle della logica delle privatizzazioni, che porta gran beneficio alla finanza e ai bilanci delle corporation, sulla pelle però dei diritti e del patrimonio della parte più debole, sempre di più in credito di diritti faticosamente conquistati.

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